Cant’Autorando 2014

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Cant’Autorando 2014

Operazone “Stadio Olimpico” perfettamente riuscita. Qualcuno sostiene che ogni anno ci siano sempre più spettatori.

Serata che sembra essere stata apprezzata.

Sara Delpero e Alberto Pangrazzi hanno incantato il pubblico con la loro musica.

Manuel Panizza pur, credo, non avendo mai letto poesie per un pubblico prima d’ora, è stato molto attento ai testi.
Di questo lo ringrazio.
Ai poeti questo fa sempre molto piacere ed è qualcosa meno facile di quanto sembri.

La poetessa trentina Maddalena Bertolini ci ha onorati della sua presenza e ha letto le sue poesie.

Roberta Panizza

Cant'Autorando

JACOPO GALIMBERTI
La placca adriatica impattò.
Questi sassi si sradicarono a un crampo millenario
incominciando a aggredirsi,
a fondere.
Vennero poi trasportati
dai dorsi dei ghiacciai
o rasi al suolo
dilavati da piogge di zolfo.
Morsi ora da una muta verde, i cavalloni
protraggono le loro ernie segrete
montandosi o franando
in schiume glabre,
su un letto di scisti.
Con gesto grande i primi licheni si inerpicarono
su questi scogli in secca
sotto un cielo livido di monsoni.
Con il treno entriamo nella montagna.
Nel tunnel pare di sapere da sempre
che tra i crepacci torneranno
le danze immense e i corteggiamenti
dei cetacei.

STEFANO DAL BIANCO
Albori di io
Ma se nessuna cosa esiste prima
di ricevere un nome,
se senza il nome non c’è esistenza,
se una chiamata lo precede e lo crea,
che cosa sarà stato io
prima-di-essere-stato-chiamato?
Una poltiglia, un surgelato,
il vuoto, il niente, l’assoluto…
Oppure solo… solo niente, in tutta
gravità,
senza la dimensione dell’attesa…
Ma ora che sento che sono
stato chiamato e so che sono
(in qualche infinitesima parte sono),
sono un abbozzo di centro
nel regno della prima aggregazione
con memoria intermittente
di tutta la disgregatezza vera
di ciò che per brevità, di ciò che per errore,
di ciò che per dissennatezza vera
e abitudine mortale
avevamo incominciato a chiamare
avevamo chiamato io.

ANNAMARIA FERRAMOSCA
di voce attesa
una specie di lamento sottile
un gemito piccolo di gioia
come un timbro distorto per l’iridescenza delle acque
è la voce embrionale che attraversa la bolla salina
risuona nelle vene alla madre
e preme e le canta la sua elementare infanzia
chiede di sfolgorare in concerto nel giorno
dell’uscita luminosa quando
il minuscolo corpo verrà adagiato
sull’ addomepianeta che riconosce

l’emissione di onde alla madre si compie
per distacco di corone vocali sottili come aureole
e lei interpreta e trema e costruisce
un paesaggio di case-alberi-strade
divinazione al primo cammino
lei avvia un’assertiva preghiera
salute prima poi bellezza e buona sorte ex aequo

tutto accadrà dovrà accadere
per volontà- rito-destino
o solo
per un in-cantamento
 
ROBERTA PANIZZA
LETTERA AL FIGLIO
Ti incontro sui profili d’oro del sogno,
estate di luce, e gli occhi riempi ed il cuore
che solo per te sgrana rintocchi di cielo e parole
ma raggela in domande la stasi del suono
orrido abisso d’inascoltati dolori.

Lastricata di giorni a venire la strada
svanisce tra specchi di orizzonti
e tu sempre laggiù
nell’attesa del mio passo
certezza del cammino che la terra divora.

E s’alzano al cielo muto d’azzurro
nuvole del mio sudore tributo a te
che nel labirinto del caso
mi cerchi e non sai.

E ti dirò di quando sempre l’universo
immolava orbite su orbite agli dèi
vibrando solo un poco in fondo di tacita tristezza
ed io ribelle mi negavo all’indice del divenire
teso nello spasimo di antiche leggi ed osceno
sulle sponde del possibile a cui m’incatenava.

Ti dirò dunque.

Ma ora, Penelope strana,
dono fili di luna alla tela del tempo
e nel giorno immoto vi ricamo sorrisi
coi raggi di sole che mi raccontano il tuo volto.

ROBERTA PANIZZA
POESIA
Lo so che mi aspettavi.

Intraviste nuvole
di raggi caduti
indicavano la strada
per la notte solita
di malinconie e vuoti colori.

So che mi aspettavi al varco
di porte sempre chiuse
che solo te
vedo oltrepassare
in cerca d’irregolari palpiti
e dolori muti
di anime irrequiete
e sempre mai paghe.

E ancora mi aspetti
non so se prodiga d’ali
per l’anima pesante e stanca
ma a te mi arrendo
che sola mi vuoi.

Altro non posso.

GIANMARIO LUCINI
Da dove viene questa gente nella notte
da quale rifugio, baracca,
da quale spiazzo spazzato dai venti,
dai confini di quale deserto?

Sono tutti a pezzi, monchi,
storpi, bevitori di vino,
all’occasione selvatici, invissuti,
braccati dal nulla e dal destino
sepolti in fretta dalla storia futura
in poca terra che l’erba ricopre,
rovo, pietra…

Che fai tu: li vedi
o sei visto? Riposi
o l’ansia della notte ti tormenta?

Lontano ci dicono che lenta
avanza una strage
che siederà il mondo a un altro banchetto,
che benedetti da Dio
sono pazzi e tiranni,
ma nessuno risponde ormai: siamo canne
piegate in balìa d’un impeto
d’acqua, di vento…

BRUNO MANCINI
Temerario

Torbido il mare trema.
Sotto nuvole basse
chi tenta di domarlo
lo corre in barca bruna;
lo fende lo sfida
il temerario.

Sui sassi
stanchi
svolazzi di panni neri tacciono.

Laggiù c’è un cuore,
quaggiù si piange il suo coraggio.
Laggiù c’è l’Ira
che partorisce fiamma di dolore,
laggiù la fame l’ingiustizia
l’odio.
Sul bianco dell’onde infrante
il supplizio dell’impotenza
e la pietà che è figlia di un impossibile desiderio di aiuto.

Torna, ritorna figlio
all’ossa sue piangenti
ai suoi sofferti occhi
nel grembo che ti conobbe infante
ritorna alla terra calpestata
dove non più riso di fanciullo
fulgide rende l’erbe
ma lacrime
lacrime di sangue innocente
bruciano l’ortica velenosa.

Mugola a te vicina l’onda
battuta contro il legno della tua vita
e i venti liberi
filtrandoti i capelli
mentre le basse nuvole
disegnano la morte.

ROBERTA PANIZZA
CUORI SENZA TERRA
Quando anche l’odio
stremato
rovinerà esanime
nella sua nera pozza
ogni più piccolo granello
di terra
sarà infine recapitato
all’indirizzo più forte,
busta color pelle
e colla rossa.

Nello stupito silenzio
di una pace non cercata
appoggerete il capo
a riposare,
ma il gemito
di labbra mute
per sempre
calpesterà il respiro
e la mente confonderanno
e gli occhi
i purpurei vapori della terra.

Impazziti correndo
nella notte
la polvere di giovani ossa
vi bruci allora le suole
e la cancrena il cuore.

ROBERTA PANIZZA
FORSE UN GIORNO CAPIREMO
Luccichio di armi
e la notte delle anime
incupisce
sciogliendo in odio
triste sete di cuori.
Bagliori malvagi
oscurano il cammino
e vagano anime perse
dimentiche dei loro perché.
– Muori nemico! – S’alza un grido
e dal tuo lago coscienza
evaporando
un volto ancora
scompare.

MADDALENA BERTOLINI
Le montagne sono piene di costole
hanno schiene glabre e vertebre
sorgenti da offrire ai piedi
ai ramponi ai chiodi alle corde
non chiedono uomini ma ne ricevono e
non ascoltano. Le montagne non crescono
non battono cuori rocciosi sono presenti
nei nostri sentimenti sono belle
quando ci accorgiamo di vederle

MADDALENA BERTOLINI
CADUTA
La montagna
seduta per terra mi fa salire
sulle ginocchia – le affondo
i ferri nel fianco le punte
dei tuoi occhi addosso

ricordo di essere caduta quel cielo
veloce e leggero il labbro del crepaccio
pronto al bacio precipitato – mi hai girato
cadevo mi ricordo pensavo sarò
fatta a pezzi da tale bellezza

mi hai girato amore mio come al
mattino mi sveglio con la faccia
nella neve nel cuscino – il sangue
in bocca e l’urto del tuo volto
mozzafiato

BRUNO MANCINI
Segni

Rendimi pari desideri e sbagli:
è alle acque il sogno.

Sbattono soli su scogliere
in fiamme.

Rompono stasi,
squadrano paesi,
traguardi di vicoli e ghetti
di stagni e di betulle,
“Curvi i bambini a leggere le sabbie”.
Svolgiti,
arrenditi.

Altro è sudare
altro è sommergersi.

Battono onde su scogliere
ruvide.

Non siamo stati insieme
lungo la Senna
– sui monti della follia –
a passo di Tamigi
– in anni di malinconia –
alla foce dell’Arno – d’autunno -.
Canto elegiaco
canto di mare.
 
BRUNO MANCINI
L’aspra vicissitudine
è vinta
con uno e con tanti meriggi di giugno.
Forse volarono rondini
simili a gazze, e foglie di verde virile frescura
gettando un’ombra fuggita
ancora non lieta
tra duro cemento e tufo
chiesero i termini
a barche limpide
– navigli inutili –
Lo schianto vero
della sirena:
Ulisse mitico e fabbrica,
in terra di fuochi e di vulcani.
Non dico il tuo nome.
Così mentre ancora bugiarda, è l’ora,
di poco bugiarda,
sorride infine
per sempre e una volta,
stanco di nubi e di ricordi
un mito fermo
a vincere l’attesa.

BRUNO MANCINI
La zingara parla
guarda e parla
negli occhi e cogli occhi
in confusione assorta
mistica:
ruba ai secoli.
Sarai più forte dei venti
salirai sopra tutti i sogni
stringerai gli azzurri più chiari
scuoterai vampate in vorticose aurore.
Abbi coraggio.
Guarda nelle tombe
e leggerai
di gelo
ossa.
Succhiale.
Profondità rischia supplizio.
E allora, infine,
da sopra ai tuoi capelli
la mano rosa attesa
annullerà tutti i silenzi
per farti voce.

CORRADO BENIGNI
Radice
Chi sei colpa senza nome
che ancora scavi come un cerchio?
fiamma chiara dell’invisibile che
vegli vorace sulla demenza del mio sonno?
Ora la notte è un silenzio spogliato
un controluce di passi che risale la mente
e nel buio dello specchio si rompe il seme
il sangue torna alla sorgente
luce impaziente tra le dita
la fronte pronta per il battesimo
quest’aria improvvisa che muove le porte.
Attendo il nascere nel sangue
l’acqua pura delle stelle
e un vento che batte alle tempie,
perché tutto tutto torna alla radice.

GIAN MARIO VILLALTA
Generazioni

La pressione dell’erba nuova aggruma il verde
a un centimetro dal suolo, in sospensione.
Così le parole di chi si innamora
formano un nuovo colore
sul parlare comune, delimitano appezzamenti del sentire,
contendono alle frasi il nutrimento.
Così si forma la lingua famigliare,
così cresce e diventa quotidiana
la lingua propria del sentimento
di quegli unici corpi, di quei muri,
quella scansione condivisa del tempo.
La lingua che i figli falciano e disseccano
crescendo, disperdono di nuovo per distrazione,
per la pressione del desiderio, per amore.
 
MATTEO FANTUZZI
PIÙ DELLE PAROLE VALGANO I SILENZI
Più delle parole valgano i silenzi
quello che non dici, il movimento
delle dita, il male e il bene uniti
nella stessa frase che racconta
tutta un’altra storia eppure parla così bene
a me che riconosco ormai qualsiasi
tuo respiro, l’incrinatura della voce,
ogni lamento, disperazione, pianto.
Quello che non dici riempie ogni tramonto
colora i capannoni industriali, copre le saline
veste gli autotreni, muove l’asfalto
come un filo d’erba che entra nel cemento
(e porta un po’ di gioia su questo mondo).

ANILA RESULI
nella notte un mormorio appena, un corpo
interno alla terra a scoprirsi innato, parte
mancante d’una sola anima, volto e rivolto
sullo stesso capo, ha nodi corposi
il sentire sulla lingua quel che non detto
schiaccia le membra e le intona
a somiglianza di te, d’una pena inconscia
come il portarti dentro, come una veglia
segreta dentro la mente; la casa irrompe
anch’essa nella mia forma più debole,
nella curva e stretta vena che circonda
il sangue furioso a non darsi pace.

dimmi con che volto dimoro in te,
per scandire la mia pazzia e lasciar invecchiare
lo stesso spazio – colmo – dal grembo alla gola.

MARIA MARIOTTI
PARTENZA DEI VERMIGLIANI

Ai 22 di agosto
Una voce si sente udir
Che tutto Vermiglio
Doveva partir.

II°
Qual dura prova fu per Vermiglio
La voce funebre della sentenza
Tragedia orribile della partenza
Dobbiamo tutti ormai provar.

III°
Piangon le madri strillan i figli
Forti sospiri s’udivan sortir
E i vecchi pure tutti angosciati
Van barcollanti al lor destin.

IV°
Da una casa partono un moribondo
E da quell’altra un misero storpio
E la sui cari della croce rossa
Tutti uniti li caricavan.


O moribondi e poveri vecchi
L’ultimo addio date al paese
La morte sussura che gia v’attende
In terra strana, terra Viennese

VI°
Povere spose; ov’e il marito
Sui campi d’Austria giace mortal
Oggi voi pure tutte partite
Dalla sfiorante terra del Tonal

VII°
Straziante scena crudele addio
Il popolo mio tutto partì
Chi in cuor ha affetto piangete loro
Che in terra strana sen vanno a morir.

MARIA MARIOTTI
ROSA DI CIMITERO
Sei nato sotto l’ombra di un cipresso
malinconico fiore!
sovente io a tè mi appresso
per ammirarti, e mi stringe il cuore.

Dal tuo profumo, la gentil careza
rosa bella e romita,
la blanda tenerezza
dei tuoi colori coglierti mi invita
e non oso toccarti…

Su te poso solo gli sguardi miei,
vago fiore odoroso,
nato presso un sepolcro,
sacro sei!!
 
MADDALENA BERTOLINI
MONTE STIVO
le vacche ruvide raspano l’alpeggio
l’erba delle estati senza tregua sbordata
alle trincee accanto alle casematte
la lingua della guerra rumina eroi
fanti austriaci con la bocca piena
di consonanti e di pidocchi
l’acqua della borraccia la mulattiera
i sassi piatti per i passi dei cannoni
in vista sulla valle bella
tutta quella guerra aperta per il prato
sparpagliata e rotta con le bestie
a leccare onniscienti e precise
la pelle perduta dei perdenti

Roberta Panizza - Scrittrice - Vermiglio

PREMIATI CONCORSO

NUOVE PAROLE

RACCONTO PRIMO CLASSIFICATO

CARLA EBLI
IL QUADERNO ROSSO VERMIGLIO (tre passi)
…Oh Miliota, sto per tornare a casa. Son partito ‘striaco e torno ‘taliano, ma le mie montagne sono sempre le stesse, i pascoli sempre ripidi e le vacche sempre da mungere mattina e sera. Non so nemmeno se abbiamo vinto o perso questa guerra, so solo che non vedo l’ora di essere a casa. Finalmente a casa; chissà come sarà cresciuta la piccola Anna e te…Miliota…

Vedo un uomo correre lungo il sentiero di terra battuta. Anna mi chiede chi mai possa essere quel forestiero che sta salendo il sentiero correndo come un matto. Oh Bepi, quante volte ho immaginato il tuo ritorno. Vedevo la bambina che ti saltellava incontro gridando papà ed io con l’abito delle feste, una lunga treccia e due fiorellini in mano per darti il benvenuto. Invece ho l’abito lacero, i capelli raccolti sotto ad un vecchio fazzoletto da testa e tengo in braccio un fascio d’erba per i conigli. …

…Bepi, guarda, ho trovato questo quaderno dalla vermiglia copertina, nascosto dietro un sasso nel muro della vecchia stalla. I tuoi appunti Bepi, i tuoi appunti di guerra! Mi hai guardata senza riuscire a dire nemmeno una parola. Te ne stavi lì in silenzio, allora avevo capito che non eri ancora pronto, Bepi. Così ho posato quel tuo quaderno, come fosse una reliquia, su l tuo comodino accanto al letto. Avevi ancora bisogno di tempo, Bepi. Non so per quanti mesi rimase lì quel quaderno sgargiante nel suo bel color rosso vermiglio. Lo spostavo solo per fare la polvere, finché una sera, con la mano che ti tremava, ti sei messo a leggere ad alta voce le tue parole di allora. Finalmente avevi trovato il coraggio….

…Ora Bepi che anche tu sei dove io sono e siamo già distanti di cento anni dalla Grande Guerra, che di grande ha avuto solo il numero dei morti, vedi, tutti si sono messi a rovistare le vecchie cassapanche tarlate alla ricerca di lettere, fotografie e diari. Qualunque cosa pur di assemblare i pezzi di quella guerra, rammaricandosi di non aver ascoltato la voce autentica di chi quella guerra l’aveva fatta per davvero. Ora altri troveranno il tuo quaderno rosso vermiglio…

POESIA TERZA CLASSIFICATA

MASSIMO ROZZI
La grande guerra.
Ragazzo del 99 quante lacrime,
lo zio nei suoi racconti
della sua grande paura patita.
Corpi rovesciati in trincea, soli,
nemmeno il cuore per pregarli,
solo la fretta del terrore.
Poco importa se lontano ridono,
giovani come me ascoltano musica,
in locali assieme alle ragazze.
Noi come compagnia gli spari,
quei cecchini pronti a mirarti
al primo sguardo sulla libertà.
Tocca a noi, la patria
chiama l’unità sua territoriale,
difendiamo questi avamposti ancora occupati.
Chi verrà poserà un fiore,
sarà la nostra festa conquistata
su terre lontane, ma nostre.

POESIA SECONDA CLASSIFICATA

PIERGIORGIO LONGHI
ALBA
L’alba trasuda il nuovo giorno
nel profumo nuovo della primavera.

Mille colori e mille canti
si levano allo spuntare del sole.

I larici che avevano lasciato cadere
gli aghi dorati
ora si vestono di nuovo
come i fiori che bucano
la neve
allungandosi al sole.

Maestose montagne scaricano
nelle gole
slavine tuonanti
mentre il cantar della valle
porta via con sé
la neve
dell’inverno finito.

La nuova vita è alle porte.
Nuove stelle alpine
si levan dalle cenge dei monti.

Stelle alpine speciali
bagnate
dal sangue dei giovani soldati.

POESIA PRIMA CLASSIFICATA

GIUSEPPE CAPOLUONGO
Era il 15-18
Cosa raccontano le pietre
ancora lorde di macchie nerastre
sangue che in terra ha fatto concime
qualche ciuffo un arbusto un cespuglio
ogni roccia una storia un agguato
baionette innestate nel vento
e il canto di mitraglia nella carne
urla inutili lanciate nell’aria
accorato richiamo alla mamma
e le lacrime del grande macello
all’aperto tra le rocce stupite
oh l’Italia il Regno i Savoia
le trombe che suonan la carica
dentro al fango di tristi trincee
dove ancora una scritta un pezzetto
d’una storia ch’è stolido orrore
il morire per volere di altri
dentro al greto di creste ghiacciate
campi non più seminati
una guerra per quale potere?
l’egoismo incosciente dei capi
comandanti che ti giocan la pelle
tradimenti imboscate la fame
tra le rocce di quel triste confine.

RASSEGNA VIDEO

Cant’Autorando Roberta Panizza ringrazia Salvatore Lauro + 5 poesie con sigla

Cant’Autorando 2014 poesie 1

Cant’Autorando 2014 poesie 2

Cant’Autorando 2014 poesie 3

Cant’Autorando 2014 poesie 4

Cant’Autorando 2014 poesie 5

Roberta Panizza Cant’Autorando 2014 premiazione

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