10ar25 opera iscritta premio articoli otto milioni 2025

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10ar25 Ester Aleksandrovsky
Kaddish per il mio papà

Quando ho visto il mio papà per l’ultima volta, mi disse: “Lo sai, se un maschio non ha un figlio, allora la sua figlia maggiore può leggere il Kaddish”.
Il suo unico figliolo, di due anni, è rimasto per sempre al bosco di Rumbula.
Ecco, il mio Kaddish per te, mio amatissim e indimenticabile papà!
Poco prima della Seconda Guerra Mondiale mio papà, di nome Mendel Max Vulfovich, lavorava come responsabile tecnico, nei tempi sovietici chiamato, in breve, “technoruk”, in una fabbrica di pelletteria .
Doveva evacuare da Rīga insieme a sua moglie Rahil e al suo piccolo figlio Simon.
Però, da poco egli aveva avuto un attacco di colecisti, così la sua famiglia non poteva andarsene in tempo.
Vennero condotti al Grande Ghetto di Riga.
Non rimasero insieme a lungo.
Gli uomini giovani e forti furono mobilitati per lavorare nella vicina torbiera, mentre le donne, gli anziani e i bambini rimasero nel Ghetto fino alla sua liquidazione amministrativa.
Questi eventi erano stati pianificati in anticipo, abituando alcuni a condizioni disumane ed altri alla ottusa indifferenza.
Max, mio padre, rimase seduto, con le lacrime che gli correvano giù dagli occhi, tutta la notte accanto al lettino di suo figlio.
Il bambino si svegliò e gli chiese: – Pape, farvos veinst du? Vein nit, Ich vel sein alle mol a guter ingele, nor vein nit! (Papà, perché tu piangi? Non piangere, e io sarò sempre un bravo ragazzo; non piangere!)
Loro due mai più si rivedranno.
Max sopravvisse a suo figlio Simon di 40 anni e ogni volta che lo rivedeva nel sogno, come lui era durante la sua ultima notte, si svegliava urlando.
Quando mio padre morì, il medico ci disse che, dal punto fisiologico, quest’uomo non aveva avuto cuore da molto tempo.
Il suo cuore ardeva sia per la perdita del suo figlio, che per il ripetuto pericolo di morte.
Già dalla sua fondazione, nel Ghetto di Riga si era sviluppato un movimento di resistenza e Max ne fu uno dei suoi partecipanti.
Il suo soprannome clandestino era Koh, che significa in yiddish e in tedesco “Cuoco”.
Max e i suoi amici, Isak Adler, Isser Russ, Israel Hajtov e anche un certo V. M., trovarono una cantina segreta sotto una casa al numero 43 di via Ludzas, nel territorio del Ghetto.
Qui, al secondo piano, le cose e le robe personali degli ebrei venivano disinfettati con l’aiuto del gas.
Lavoravano tutti nella sala di smistamento, quindi sapevano dove e quando aprire le finestre per evitare l’avvelenamento da gas.
Decisero di preparare questo seminterrato per la loro fuga dal Ghetto.
Quando tutto fu pronto, Max incontrò V. M. per strada e gli raccontò che i tedeschi avevano trovato questo nascondiglio.
In seguito, mio padre non spiegò mai a mia madre Dora, figlia di David, nome da nubile Levina, perché trattava sempre V. M. con sospetto.
Max si rivolse per chiedere aiuto a un suo vecchio conoscente, di nome Ananiya Seljushkinsky, che. qualche tempo prima. lui aveva salvato dalla deportazione in Siberia.
Questa rispettabile famiglia, i Seljushkinski, abitava quel tempo in via Marijas 21 e accolse Max sotto la propria ala protettrice, nella propria casa, come un cugino (falso) della moglie di Ananiya, Evdokia, che i figli dei Selyushkinski chiamavano zio Kolya.
Così Max visse con loro per sei mesi.
Un bel giorno i tedeschi perquisirono la casa, stavano seriamente cercando qualcuno.
Max si nascose dietro la porta dell’appartamento dei Seljushkinski con una pistola in mano; aveva solo tre cartucce; quest’ultima tenuta per sé.
I tedeschi perquisirono tutti gli appartamenti del quartiere, escluso quello dei Seljushkinski. Passarono oltre senza cercare, però Max capì che non poteva più esporre quella famiglia al pericolo e al rischio.
I Seljushkinski iniziarono a cercare una nuova dimora anche per se stessi, perché in quel periodo i tedeschi avevano iniziato a mobilitare giovani per portarli ai lavori in Germania.
Selyushkinsky incontrò casualmente per strada Isaac Adler, il quale gli chiede se sapesse dove fosse scomparso Max Mendel Wulfovich, perché loro, gli altri compagni del destino di Max, erano di nuovo “sul viale”, dal 1° ottobre 1942, in uno stretto, ma sicuro bunker.
– Tu dirai a Max che lo stiamo aspettando, che avrà sempre il suo posto da noi.
Però, chi era quel traditore, V. M. oltre a un’altra persona dei pochi che erano sufficiente informati?
Vissero insieme in un bunker in via Ludzas 43 fino al 13 ottobre 1944, quando Riga fu liberata e loro furono, tra i pochi ebrei, i primi ad apparire nell’unica sinagoga realmente sopravvissuta a Riga.
Israel Hajtov e Isser Russ hanno avuto la fortuna di ritrovare le loro famiglie, scomparse durante la guerra, mentre Isaac Adler e mio padre hanno fondato nuove famiglie e hanno avuto ancora i figli, come me.
Ogni 13 ottobre loro, sopravvissuti, si incontravano per celebrare insieme quella che si potrebbe chiamare la loro rinascita.

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