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Perché la probabilità (oggettiva) non esiste (II)
Luca Nicotra

Diceva il matematico e filosofo americano Charles Sanders Pierce (1839-1914): «Questa branca della matematica, la probabilità, è la sola, credo, in cui anche validi autori hanno dato spesso risultati erronei».
E ancora Bertrand Russell (1872-1970) ironicamente: «Il concetto di probabilità è il più importante della scienza moderna, soprattutto perché nessuno ha la più pallida idea del suo significato».
Bruno de Finetti, all’età di 24 anni, nel saggio Probabilismo, scritto nel 1930 ma pubblicato nel 1931, espresse i suoi dubbi e le sue critiche sulla validità dei modi di esprimere la probabilità oggettiva fino ad allora utilizzati dai matematici, che davano luogo a diversi “tipi” di probabilità (per partizione, per frequenza e per assiomi) ai quali il giovane Bruno, giustamente, non riconosceva la categoria di vere definizioni, ma soltanto di “modi operativi di calcolare la probabilità”.
La probabilità per partizione (detta anche classica perché utilizzata per prima) è definita come il rapporto fra il numero di casi favorevoli e il numero di casi possibili per un certo evento.
La probabilità di un evento per frequenza (generalmente utilizzata dai fisici e dagli ingegneri) è invece definita come il rapporto (frequenza relativa) fra il numero di esperimenti in cui l’evento si è verificato e il numero totale di esperimenti eseguiti nelle stesse condizioni, essendo tale numero opportunamente grande.
Infine la probabilità assiomatica è definita in maniera molto astratta come una legge in grado di assegnare ad ogni evento E, appartenente a un certo insieme S di eventi, un numero (compreso fra 0 e 1) che soddisfa i tre assiomi di Kolmogorov: la probabilità di un evento E è un numero reale non negativo compreso fra 0 e 1; la probabilità di un evento certo è 1; la probabilità di un evento composto dagli eventi semplici E1 e E2 incompatibili (E1 ∩ E2 = ∅) è la somma delle probabilità di E1 e di E2.
Accenno alle principali critiche mosse dal giovane Bruno a questi modi di definire (soltanto operativamente) la probabilità.
La probabilità per partizione è applicabile soltanto in tutti i casi in cui è possibile conoscere quali e quanti sono gli eventi che si possono realizzare e quali e quanti sono quelli favorevoli, non è applicabile quindi a eventi del futuro; inoltre gli eventi possibili devono avere tutti la stessa probabilità, vale a dire non ci deve essere nessun motivo che favorisca la realizzazione dell’uno piuttosto che dell’altro.
La sua definizione si richiude in un circolo vizioso, poiché essa fa uso dello stesso concetto di probabilità che “pretende” di definire.
La definizione frequentista, essendo fondata su un’operatività sperimentale, dovrebbe essere applicata soltanto a eventi ripetibili, ovvero generati da esperimenti ripetuti, inoltre, esattamente nelle stesse condizioni quante volte si voglia.
Tuttavia, in pratica, specialmente in statistica, la frequenza relativa è assunta come probabilità di eventi che non hanno tali caratteristiche, bensì hanno la connotazione di “accadimenti” avvenuti nel passato e non riproducibili quante volte si voglia.
Inoltre è una scelta arbitraria stabilire il numero di volte (opportunamente grande) da eseguire l’esperimento.
L’impostazione assiomatica della probabilità è accattivante per il suo rigore formale ma, come in qualunque teoria assiomatica, la probabilità è definita non nella sua natura ma soltanto implicitamente come “un” (e non “quel”) numero reale non negativo che soddisfa i tre assiomi di Kolmogorov.

La terza e ultima parte sarà pubblicata venerdì prossimo.

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Perché la probabilità (oggettiva) non esiste

Luca Nicotra

Se a una persona di media cultura, e non matematico, si chiedesse che cosa intende per probabilità, “probabilmente” risponderebbe con un’espressione del tipo: é la “fiducia (speranza o timore)” che “noi” riponiamo nell’avverarsi di un evento ed esprimiamo con un numero compreso fra 0 (evento impossibile) e 1 (evento certo) o, che è la stessa cosa, con un valore percentuale variabile fra 0% e 100% .

Questa idea di probabilità dell’uomo della strada, tuttavia, non è mai stata presa in seria considerazione dai matematici, fino a quando un grande matematico italiano negli anni Trenta del secolo scorso non solo ha avuto il coraggio di farla propria, ma ha anche dimostrato che sopra questa idea “soggettiva” della probabilità è possibile costruire in maniera rigorosa una nuova teoria matematica della probabilità.

Questo matematico, che in realtà è stato anche un grande statistico, economista e filosofo della scienza, si chiama Bruno de Finetti (1906-1985), riconosciuto oggi universalmente padre della moderna teoria soggettiva della probabilità.

«La probabilità: chi è costei? Prima di rispondere a tale domanda è certamente opportuno chiedersi: ma davvero ‘esiste’ la probabilità? e cosa mai sarebbe? Io risponderei di no, che non esiste». Così scrive Bruno de Finetti nella voce Probabilità dell’Enciclopedia Einaudi.

Una frase ormai storica, scritta proprio dal massimo probabilista del secolo XX e immortalata persino nella lapide posta a sua memoria accanto al portone della sua casa natale ad Innsbruck. Scandalo! Un probabilista che afferma che la probabilità non esiste!

E allora perché se ne occupa? Bruno stesso risponde: «Mah! Potrei anche dire, viceversa e senza contraddizione, che la probabilità regna ovunque, che è, o almeno dovrebbe essere, la nostra ‘guida nel pensare e nell’agire’, e che perciò mi interessa. Soltanto, mi sembra improprio, e perciò mi urta, vederla concretizzata in un sostantivo, ‘probabilità’, mentre riterrei meglio accettabile e più appropriato che si usasse soltanto l’aggettivo, ‘probabile’, o, meglio ancora, soltanto l’avverbio, ‘probabilmente’. Dire che la probabilità di una certa asserzione vale 40 per cento appare – purtroppo! – come espressione concreta di una verità apodittica. Non pretendo né desidero che tale modo di esprimersi vada bandito, ma certo è che l’asserzione apparirebbe assai più appropriatamente formulata se la si ammorbidisse dicendo, invece, che quel fatto lo si giudica ‘probabile al 40 per cento’ ».

Ecco la parola corretta che scioglie d’un solo colpo l’apparente paradosso della storica affermazione definettiana: “giudica”. La probabilità non esiste in quanto proprietà oggettiva ma esiste come valutazione soggettiva. L’affermazione nel mondo scientifico della nuova teoria soggettiva della probabilità di de Finetti ha incontrato inizialmente un muro di incomprensione (come del resto tutte le grandi innovazioni della scienza), proprio dai matematici di professione, per i quali, invece, la probabilità doveva avere un valore oggettivo, indipendente dal nostro giudizio.

Una probabilità soggettiva non poteva rientrare nella scienza deterministica di allora: sarebbe stata una contraddizione. Invece mostrerò, seguendo de Finetti, proprio il contrario: la concezione oggettiva della probabilità è in contraddizione con la scienza deterministica, in quanto rappresentazione di una natura deterministica.

… continua venerdì prossimo.

 

 

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