25ar25 opera iscritta premio articoli otto milioni 2025

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25ar25 ROBERTO MAGGI
Gli incipit di Chiara Pavoni “Gli Accordi Spezzati”

Album Oro
Brano I–MorningBallad
Un raggio obliquo colpisce le membrane degli occhi.
Espandendo macchie di rossore sottopelle, fa dileguare strascichi di sogni confusi.
La mente fatica a riconoscere la fisionomia dei luoghi, ma ben presto il ricordo si fa strada, dando coerenza a una realtà inedita.
Un letto di rugiada imperla il bosco intriso di fragranze di humus, chiome gigantesche fanno da tetto.
Un sottile svolazzo condensato manifesta il respiro emesso da un interminabile primo sbadiglio, anche le membra, intorpidite dalla frigida bruma, scricchiolano con lamenti di quercia.
Lunghe mani sottili si stiracchiano,similmente alle radici dei faggi secolari che segretamente canticchiano, ordendo trame nodose sotto un molle tappeto di foglie.
I gesti sono naturali.
Di chi è abituato alle operazioni pratiche, giornalmente ripetute in determinate fasi della vita.
Un piccolo fuoco acceso alla bisogna ravviva di tiepido calore l’aria umida e fredda, leggere lingue incandescenti al di fuori di un improvvisato rifugio di rami.
Il paese lasciato alle spalle si trova a pochi chilometri da lì, si intravedono lontane case tra gli alberi, il profilo slanciato del campanile medievale, la passerella di legno sul fiume, il sentiero che vi conduce. Ma è già lontano nei ricordi, cartoline al di là di un altro ponte tagliato.
Una frugale colazione fatta di pane nero e formaggio cremoso, l’odore già sospettosamente acidulo, una tazza di caffè arabico amaro, forte, bollente, direttamente espresso dalla vivida brace.
Poi la discesa al ruscello, dove lavare le stoviglie essenziali e se stessi alle fredde acque gorgoglianti, l’occhio vigile a periscopio nei dintorni, mai fidarsi.
Niente di superfluo, ogni azione viene svolta nel tempo necessario, occupando il giusto spazio, così come gli oggetti riposti nei corrispondenti scomparti, attrezzi e coltello davanti, a portata di mano, nella tasca laterale l’immancabile fiaschetta di Southern Comfort.
Elementi fondamentali della vita del randagio.
Ricomincia l’ennesima fuga, l’ennesimo abbandono di un luogo temporaneo, un altro viaggio con destinazione ignota.
Le trascurate case del piccolo borgo incastonato nella valle, il loro intonaco scrostato di pallido miele, già appartengono al passato, codificate e appallottolate in un angolo invisitabile del ricordo, sequestrate in una camera blindata del cervello.
Desideri inconsci non le richiameranno, non le decodificheranno, la volontà di cancellazione, come sempre, sarà ferma determinazione inscalfibile.
Come in un sonno senza sogni, incapaci di rivelarsi attingendo ai depositi più reconditi della psiche. Fotografie di un altro paesaggio indecoroso ridotte in cenere, così come meritano i trascorsi condotti secondo vie obbligate.
Non si perdeva niente, perché niente c’era da perdere né niente da guadagnare.
Solo l’esigenza di una ricerca urgente e indefinibile contava, rapiva, smuoveva, una smania di perlustrazione che conducesse alla terra ritrovata, ammesso fosse mai esistita; tutti i fiumiciattoli melmosi che la vita si ostinava a far confluire ai suoi piedi non significavano nulla, era solo feccia spurgata dall’esperienza.
D’altronde, cosa avrebbe potuto rimpiangere?
I fumi nauseabondi di quella lurida bettola, i comandi brutali, i doveri come muti sacchi sulla schiena? No, via, bisognava spazzare via tutto anche stavolta, decorticare la posa schiumosa affastellata sulla coscienza, rendere vergini le matrici trascritte da un’esistenza ridondante, reiterata, amorfa.
E poi quegli sguardi sempre addosso, quelle battute idiote, quell’odore fetido.
Meschinità e volgarità, urla arroganti, dopobarba vomitevoli: ben poco da immortalare sull’album dei ricordi.

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