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26ar25 opera iscritta premio articoli otto milioni 2025
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26ar25 Caterina Luisa De Caro
Gli INCIPIT scelti da Chiara Pavoni.
“Ara il romanzo della Gurfa”
_ “A breve la vita si risveglierà!” pensò Ara, mentre si lasciava cullare nel silenzio dalla musica divina degli astri, meditando sulla bellezza del racconto di come il cielo fosse un’immagine specchiata di quello che gli uomini rappresentavano con i riti in terra. Ogni rumore echeggiava tra le rocce. L’armonia del santuario imitava la musica remota delle stelle che tramontavano. Per lei era l’ultimo canto della notte. Volse lo sguardo a quello che rimaneva dell’immenso cielo stellato, falcato dall’arco della Via Lattea che tutto percorreva e che con la lucevelocemente svaniva.
Sorrise Ara nel vedere come il bagliore l’alba stesse esibendosi in lontananza. Ora, tornata in sé, si preparava a farsi sostituire dalla vigilante fedele cui toccava vegliare la fiamma. Il fuoco sacro ardeva sulla pira al centro del piazzale del grande edificio sacro. Questo per i Sicani era il santuario più santo dedicato nel territorio dei tre fiumi alla Madre.
Maestosa e pur nascosta, la grotta adibita a santuario, richiamava la presenza della Dea in tutto il creato: la Gurfa, come centinaia di secoli dopo l’avrebbero chiamata i popoli venuti dal mare o il Magnifico Santuario, come lo chiamava Ara, era il centro ove officiava i Misteri alternandosi con le altre sacerdotesse.
Il compito più arduo delle religiose era rimanere sveglie nella notte, poiché bisognava evitare lo spegnersi della pira accesa sull’altare posto all’aperto in questa stagione autunnale, affinché non entrassero influenze nefaste a gettare un cattivo auspicio alla tribù. Servivano le preghiere e i sortilegi avvaloranti la potenza delle guarigioni che potevano avvenire solo in un luogo non contaminato da presenze estranee e funeste.
Anche gli altri templi nelle varie vallate dell’isola si stavano preparando al giorno. I santuari collocati dove le forze telluriche emettevano magnetismo erano in accordo con il dinamismo astra-le che rispecchiava la Grande Madre: quell’Hybla la cui presenza si manifestava in tutto nelle sue triplici espressioni di potere sul mondo terrestre, celeste e acquatico.
Ara si guardò intorno. Da est stava albeggiando. Le lievi vibrazioni delle piccole placche di pietre, metalli, ossa di uccello e onagro, appese sui lunghi fili di lino, echeggiavano al suono del vento freddo. Il rumore delle piastre era stato trovato dagli uomini per tenere lontani gli spiriti maligni che lo temevano, infastidendoli e tormentandoli, facendoli fuggire. Le entità poteva-no essere scacciate solo dalle sonorità armoniche degli strumenti musicali e dei canti sciamanici che, nel santuario, si eseguivano durante i riti fortificando le vibrazioni esistenti.
In quell’autunno mite dell’isola, tutte le piante del bosco consacrato alla Dea Hybla realizzavano un paesaggio onirico melodioso immergendo il santuario in una dimensione magica. Ogni cosa nel santuario, sovrastante il bosco, era armonia e bellezza.Gli alberi di melograno, in bella mostra con i loro colori vivaci abbellivano il santuario, erano pieni di frutti maturi, evocanti i crani coronati dei re sacri che avevano regnato alla Gurfa. _