Il Dispari 20240111 – Redazione culturale DILA APS

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Il Dispari 20240111

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Storia dell’emancipazione femminile dalle Suffragette ai giorni nostri

Prima puntata: Come tutto è iniziato…

Se nasci donna, c’è un prezzo da pagare a questo mondo.
Dalla mela avvelenata di Eva all’acido muriatico sulle guance.
È il pedaggio necessario per uscire dall’anonimato ed entrare nella storia.

Nessuna donna è mai entrata nella storia in punta di piedi o coi tacchi rosa di Barbie.
Di solito le donne si conquistano un posto nel mondo tra urla, sofferenze, battaglie e resistenze. Talvolta, con la morte.
Come un soldato, che combatte in prima linea una guerra non sua, senza la protezione di un generale stellato, ogni donna avanza nel mondo nel sottofondo della guerriglia.
È così che è iniziata la lotta femminista, una lotta di donne per le donne, durata oltre un secolo e mai terminata.

Le femministe nascono in Inghilterra, nella Gran Bretagna del 1900, quando l’industrializzazione è avviata e la Prima Guerra Mondiale è alle porte.
Le Suffragette(nome dato dai giornali per schernire le prime contestatrici) erano attiviste, operaie, politiche, che volevano il voto.
Un voto a suffragio universale femminile.

Come soldati, le Suffragette hanno portato avanti la loro battaglia contro il governo inglese con volantini e polvere da sparo.
Erano pericolose.
Armate di ideali più forti delle loro bombe.
Utilizzavano slogan, petardi e dinamite.
Ma esiste una preistoria del femminismo: femministe insospettabili, ante-litteram, dimenticate, come Olympe De Gouges signora della Rivoluzione Francese, Mary Wollstonecraft, filosofa inglese, e Madame de Stael, intellettuale europeista.
Le antesignane delle Suffragette.
Volevano donne istruite, lavoratrici e stipendiate.
Scrissero saggi e opere, alla fine del 1800,per diffondere il verbo dell’uguaglianzatra Francia e Inghilterra.
Furono proprio le Suffragette a raccogliere la loro eredità intellettuale, ma capirono che il pensiero di Olympe de Gouges e di Mary Wollstonecraft non bastava a liberare le donne.

Ci voleva la forza.
Dovevano fare rumore per essere ascoltate.
Dovevano protestare davanti Buckingham Palace, pena l’arresto.
Ed avevano ragione: ci voleva un braccio armato per avere il voto.
Le Suffragette, nonostante gli arresti che subirono, le bombe che sparsero qua e là per l’Inghilterra e gli incatenamenti alle pubbliche ringhiere, riuscirono ad ottenere il diritto di voto dal Parlamento Inglese nel 1918, ben 28 anni prima dell’Italia.
La prima ondata di quote rosa.

Ma fu una vittoria parziale, in quanto il voto fu concesso solo alle mogli dei capifamiglia con più di 30 anni.
Ci vollero altri dieci anni per estendere il voto a tutte le donne inglesi senza distinzioni di età o di genere.
Era il 1928.

Giuni Tuosto

Il Dispari 20240111 – Redazione culturale DILA APS

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Il Dispari 20240105 – Redazione culturale DILA APS

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Il Dispari 20240105

Liga Sarah Lapinska intervista la professoressa lettone Baiba Rivža
ex ministro dell’Educazione e della Scienza (seconda parte)

Liga Sarah: Zontas di Jelgava ha appena festeggiato il suo 26° anniversario. Cosa rende speciale Zontas di Jelgava?
Baiba: Zontas è un club femminile impegnato nella filantropia e nella lotta alla violenza contro le donne.
Zontas di Jelgava si riunisce regolarmente sia per conferenze tematiche che per eventi di beneficenza con Zontas di Rīga e diversi città di Estonia e Scandinavia. I suoi partner sono le Soroptimistes, cioè, le donne che aiutano le grandi famiglie, il Rotary Club in Lettonia, uno dei suoi leader è Viktors Valainis, docente del Dipartimento di Sport, e il Club di Hercogs Jēkabs, Jelgava.
L’attuale sua Presidente è Anna Vintere.
Rita Vectirāne, la Vicesindaca della città di Jelgava, Daiga Latkovska, una brillante artista di moda sono le note Zonte.
Grazie a Daiga Latkovska abbiamo organizzato una bellissima mostra nella sua casa di moda “Tēma”.
Hanno partecipato attori, musicisti, poeti e artisti visivi da tutto il mondo.
Conto molto sul tuo aiuto per organizzarla anche nella bella Isola d’Ischia, da te tanto decantata.

Liga Sarah: Credi che la numerologia, l’aromaterapia e la litoterapia siano scienze indipendenti o solo una perdita di tempo?
Baiba: Credo che la numerologia, l’aromaterapia e la litoterapia siano una preziosa ed utile fonte di informazione.

Liga Sarah: Cosa scrivi nel tempo libero e vuoi pubblicare ciò che hai scritto?
Baiba: Continuo a scrivere il mio diario fin dall’infanzia.
Nel 2021, insieme alla poetessa Rasma Urtāne, abbiamo pubblicato la mia autobiografia.
Si chiama “Baiba”.
Nel libro descriviamo l’albero genealogico della mia famiglia, le nostre tradizioni familiari, la mia infanzia e anche le mie opinioni economiche.
Raccomando di leggere questo libro a chi legge il lettone.
Sono nata a Ventspils, ma vivo a Jelgava da molto tempo. Qui sto al mio posto.
In qualità di ex ministro dell’Educazione e della Scienza, sto valutando le mie opzioni per il futuro e non intendo tornare attivamente in politica.
Ho un bellissimo giardino, adorabili nipoti e due dolci cani.
Se per noi si chiude una porta, credo, sicuramente se ne aprirà un’altra.
Non vale la pena bussare a porte chiuse. Non ci sono vicoli ciechi nella vita.

Liga Sarah: Cosa ti aiuta ad essere energica e sempre elegante? Il tuo motto è?
Baiba: La consapevolezza che io sono necessaria mi aiuta. E le mie preferenze nella vita.
La mia eleganza? Come un tipico Sagittario, adoro i gioielli pesanti e i vestiti stagionali.
Il mio moto? Ecco: “Il tempo fa il suo lavoro. Cosa stai facendo tu?”

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Il Dispari 20240104 – Redazione culturale DILA APS

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Il Dispari 20240104

Ischia saluta NICK PANTALONE

voce  di “Un  enorme palcoscenico”

Questa mattina l’isola ha salutato Nick Pantalone, poliedrico artista e cantore di una Napoli che fu. Nick ha accompagnato l’isola con la sua musica e la sua voce.

Lo ricordiamo con un suo scritto raccolto da Angela Maria Tiberi e abbracciamo, con sincero affetto, la Signora Luciana e gli amici Enzo ed Oscar.

Salve, mi chiamo Nicola Pantalone e sono un musicante.

Qualcuno, all’inizio della mia avventura, scrisse Nick su un manifesto e questa abbreviazione del mio nome me la sono portata per tutta la vita, vuoi perché a pronunciarla era più facile per tutti, vuoi perché un nome americanizzato all’epoca era più affascinante.

La mia povera mamma non ne era felice perché, fino a quel momento aveva associato questo nomignolo al cane, e allora temeva che mi avessero appunto chiamato come un cane dopo avermi sentito cantare.

A parte gli scherzi, considero di essere stato un uomo fortunato: sono nato a Napoli, sono da tanto tempo Cittadino di Ischia, questa isola meravigliosa, ho come Amico fraterno un uomo geniale, scrittore e poeta di valore che si chiama Bruno Mancini e, soprattutto, ho ricevuto nelle mie corde la possibilità di comunicare col resto del mondo con il linguaggio più armonizzante, più pacifico, più convincente e simpatico che esista: la Musica.

Tanti e tanti anni in musica mi hanno permesso di conoscere e di interpretare canzoni di tutto il mondo, ma il ritorno alle origini, alla mia napoletanità, mai perduta nonostante ripetuti impegni musicali in giro per l’Italia e all’estero, mi ha regalato l’amore per la canzone napoletana, di cui spesso ho raccontato la storia, attraverso gli Autori e gli aneddoti riguardanti la loro vita.

Lo sapevate che Piedigrotta, la festa più amata dai napoletani, era già menzionata in un libro dello scrittore di Roma antica Petronio?

E che alla Piedigrotta venne affidata verso la metà dell’800 la prima rassegna di canzoni napoletane che, fino a quel momento, non avevano avuto una consacrazione nazionale o, addirittura, internazionale?

Lo sapevate che Libero Bovio, autore di alcune tra le più appassionate e belle canzoni napoletane, poeta sopraffino, soprannominato “‘o chiattone“per la sua pinguedine da ragazzino, non ebbe nessuna voglia di studiare, per cui costrinse sua madre, ormai vedova, a raccomandarlo per un posto di scrivano?

E qui avvenne la metamorfosi di Bovio, oggi tra gli autori più amati dai napoletani, che ogni anno, nel giorno in cui fanno visita ai loro cari defunti, lasciano un fiore sulla tomba del Poeta.

Ischia, anche prima di diventare meta esclusiva di turisti era già stata menzionata nelle classiche canzoni di Napoli.

Michelemmà, scritta tra il 500 e il 600, parla appunto di una ragazza d’Ischia “E’ ‘na scarola“, figlia di un notaio, che si era intrufolata  nell’accampamento dei turchi invasori e, mentre dormivano, li aveva uccisi “a duie a duie”, salvando l’isola dalle future  scorribande.

Ai primi del 900 l’isola è stata la location nella quale si svolse la storia, poi a lieto fine di Anna Rossi, figlia di un fornaio napoletano.

I matrimoni all’epoca erano combinati e, specie le famiglie più povere, non potevano opporsi a richieste di personaggi particolarmente in vista e per giunta ricchi.

Così Anna sposò Pompeo Corbera, ricco proprietario ischitano e albergatore di Ischia, molto più anziano di lei.

La giovane era triste, perché il suo amore era un coetaneo, il giornalista e poeta Eduardo Nicolardi, che disperatamente le aveva dedicato la canzone “Voce ‘e notte“.

Il signor Corbera, però, dopo poco tempo defunse, lasciando Anna ricca e libera di unirsi per tutto il resto della vita al suo Poeta.

L’uomo della canzone napoletana è quasi sempre un perdente: vive, sperando e disperandosi, il rapporto con la donna che ama.

Lo testimoniano decine e decine di canzoni, tra le quali una che rende particolarmente l’idea è la “Malafemmena“ di Totò.

Secondo me questa caratteristica conferisce una maggior teatralità a ogni storia.

L’osservazione di scene di vita quotidiana potrebbero infatti portare a pensare che il popolo napoletano è “anormale“.

La normalità è svegliarsi presto al mattino, prendere il bus, andare in ufficio e passare circa 7 ore seduto al computer a sbrigare pratiche.

A Napoli, chi si comporta così è una esigua minoranza.

Tutti gli altri cercano di trovare, o addirittura di inventarsi, lavori che permettano di stare in movimento, in mezzo alla gente e, anche inconsciamente, di esibirsi nella maniera più semplice, ma con grande professionalità.

Ecco perché la mia, forse ingenua, riflessione, mi convince sempre più che Napoli è un enorme palcoscenico.”

Nicola suona la batteria e MIna balla

Nicola Pantalone suona la batteria e MIna balla

Da sinistra intorno a MIna: Saverio Toma, Enrico Roja, Gino PInto, Nicola Pantalone

Da sinistra intorno a MIna: Saverio Toma, Enrico Roja, Gino PInto, Nicola Pantalone

 

Nicola Pantalone e Pippo Baudo

Nicola Pantalone e Pippo Baudo

NICK per tutti

Dico subito che, pubblicando questa breve ricordo di Nicola Pantalone, parto dal presupposto che non esista un ischitano amante della musica che non abbia avuto modo di ascoltare le sue melodie o non abbia partecipato in qualche maniera alla sua vita artistica.

Però sono anche convinto che non tutti conoscano alcuni “particolari” della sua umanità, ed è su questo che desidero soffermarmi con qualche breve considerazione.

In una foto del suo archivio, Nicola suona con Mina; in un’altra foto è sul palco con Pippo Baudo e, scavando ancora nell’album fotografico della sua vita, potremmo riempire diverse pagine di giornale con testimonianze di partecipazioni con artisti di chiara fama, non soltanto italiani.

Però Nicola, nonostante il suo blasonato curriculum, ogni volta che è stato sollecitato a rendere magicamente armonico un incontro culturale organizzato senza scopo di lucro, non ha mai messo il naso all’insù fregiandosi dei successi ottenuti per ottenere un qualsiasi beneficio economico o anche solo di immagine.

Nicola ha sempre risposto “Pronto! Dove e quando?”.

L’abbiamo visto nelle piazze in occasioni di feste locali e patronali; come l’abbiamo visto nell’incomparabile scenario del Palazzo Reale o nella suggestiva Villa La Colombaia che fu residenza prediletta di Luchino Visconti; nella Biblioteca comunale Antoniana; sul palco Telethon; per la celebrazione di numerose Shoah; così come per la presentazione di molteplici antologie Made in Ischia pubblicate dall’Associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA”; e, in particolare, per la presentazione dell’anteprima dell’antologia “Adotta una poesia” contenente le opere finaliste del premio omonimo voluto dalla testata giornalistica IL DISPARI di Gaetano Di Meglio; nei salotti e sulle piscine di alberghi con più stelle di quelle presenti sulle bandiere della Bosnia e dell’Australia messe insieme; ecc ecc.

Gratis, sempre e solamente gratis.

Nicola ha mostrato tanto talento e tanta professionalità e tanta capacità di ammaliare il pubblico fortunato di poterlo ascoltare, quanta è stata la modestia che, fino alla fine, lo ha trattenuto dal compiere imprese a lui congeniali pur essendo proibitive per tanti Artisti.

Nicola Pantalone è stato, è, e, nel ricordo, sarà mio amico da sempre e per sempre, oltre ogni circostanza e al di sopra di ogni stucchevole convenzione.

Gaetano Di Meglio e tutta la Redazione di questo giornale si associano alle mie condoglianze alla sua famiglia.

Bruno Mancini

Da sinistra Bruno Mancini, Nicola Pantalone, Enrico Roja - Accovacciato Franco Esposito

Da sinistra Bruno Mancini, Nicola Pantalone, Enrico Roja – Accovacciato Franco Esposito

Bruno Mancini e Nicola Pantalone

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Il Dispari 20240108 – Redazione culturale DILA APS

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TINA BRUNO |UNA PAGINA RITROVATA

terza parte

La prima parte è stata pubblicata il 16 gennaio 2023 e la seconda l’11 settembre 2023.

Lina non si aspettava tanto dal suo Edo, ma il fatto che ancora la pensasse la rincuorava ad alimentare la speranza che anche per lei qualcosa con il tempo potesse cambiare.

Edo, come Lina, non dimenticò mai il tempo trascorso insieme, le grandi gite, i lunghi pomeriggi a studiare insieme e a fare progetti.

Lui seduto vicino al suo letto, la guarda con amore e ammirazione.

Era passato qualche anno da quando lei lo aveva abbandonato per seguire Pierpaolo e lui non aveva accettato questo rifiuto, anzi da quel giorno si chiuse in se stesso e pensò soltanto allo studio della musica, e poi ai concorsi che gli diedero la possibilità di far parte dei maestri componenti la grande orchestra del Conservatorio di Santa Cecilia.

Edo non si accorgeva del tempo che stava trascorrendo a casa di Lina, ma se ne rese conto all’arrivo dei sanitari per le terapie.

Alle 16.00 esclama «Vado via perché devo raggiungere il conservatorio per le prove.

Ti lascio la rivista medica.

Ciao Lina, tornerò domani se ti farà piacere

A modo suo Lina fa capire che ne è felice.

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Lina era una bellissima ragazza laureata in psicologia con 110 e lode e prima d’essere colpita da SLA -così avevano diagnosticato i medici- lavorava in un centro sociale della sua città.

Stimata dai colleghi per i suoi modi garbati nel rapportarsi con il pubblico, e in virtù dei quali aveva fatto della sua professione un servizio sociale, non demorde ma neanche s’illude di vincere senza lottare.

I sanitari dopo avere somministrato i farmaci e fatto la fisioterapia, pensano di esporre la novità che la ricerca scientifica in questo campo aveva raggiunto.

– «Devi sapere Lina che la Ricerca…» il medico non fece in tempo a pronunciare  una parola che lei lo interruppe e attraverso le forme di comunicazione che aveva sviluppato insieme a Edo, fece capire che era stata informata dei fatti riportati dalla rivista.

I medici, entusiasti nel vedere che anche Lina riusciva ancora a percepire le varie situazioni che si presentavano e che il percorso seguito era quello giusto per la terapia, perché rispondeva ai bisogni manifesti della giovane, si convinsero che la terapia eseguita fosse giusta.

Conclusa la visita il medico e i paramedici andarono via tranne Sofia, la terapista, che avendo finito il suo turno lavorativo in ospedale rimase ancora un po’ per fare compagnia a Lina: l’amica del cuore.

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Allora, oggi come stai?

Ti ha fatto piacere ricevere la visita di Edoardo? 

Secondo me la tua malattia non è SLA ma qualche altro disturbo che i medici non hanno capito

Ma che cosa farnetichi?

Non vedi come sono ridotta?

Parlo male e respiro male, non riesco a stare in piedi, ecc.»

Ma ti rendi conto che parli benissimo?

Che non sei affaticata?

Che mi guardi dritta negli occhi senza affaticare lo sguardo?

Due sono le cose: o si sono sbagliati i medici o la visita di Edo ha fatto miracoli.» finì l’amica.

Dopo qualche ora Sofia manifestò a Lina il desiderio di andare via.

Allora io vado a casa perché devo preparare la cena, altrimenti faccio tardi e quei mangioni di casa mia chi li frena?»

Bene, domani, però, ritorni?»

Certo, devo continuare la terapia. Adesso dammi un bacione.»

La mamma accompagnò Sofia alla porta e fece ritorno in camera di Lina, la quale appena la vide le chiese «Mamma mi prepari quella minestra tanto buona che cucinavi per me quando ero piccola?»

La mamma ascoltò tutto senza dare segni di meraviglia e continuò il discorso in modo del tutto naturale «Certo, figlia mia, vado subito in cucina.»

«No, mamma fermati a parlare con me.»

«Va bene, facciamo come vuoi, continuiamo a parlare, ma di che cosa?

Di chi?

Di Edo?

Edo è un ragazzo bravo, premuroso, educato.

Non ti ha mai dimenticato e ti vuole ancora tanto bene!»

«Dici davvero mamma?

Io anche gli voglio bene, anzi devo dirti che non speravo più che potesse amarmi ancora, dopo averlo abbandonato.

Oggi appena l’ho visto qualcosa dentro di me ha cominciato a prendere vita.

Avvertivo sensazioni che abbandonavano il mio corpo e altre bellissime che lo occupavano.

Mi sembrava d’avvertire una forza nuova che mi spingeva a lottare, per non cadere in quel sonno profondo che mi escludeva dalla vita sociale, ma che irrorava il mio essere, provocandomi brividi infinti.

Quel torpore che lo bloccava da molti mesi, aveva ceduto il posto a una serenità che mi riempiva l’anima di gioia. Non so in che modo spiegarmi meglio.»

«Hai spiegato tutto bene e ne sono felice.»

«Mamma abbracciami e dimmi che non sto sognando.»

Un forte abbraccio, per qualche instante legò madre e figlia, in un rapporto gioioso.

«Lo ricordi il detto “Al cuore non si comanda”?

Edo ha saputo aspettare.

Adesso posso andare in cucina?»

«Certo, però io dovrei andare in bagno.»

«Non puoi aspettare?

Fra poco arriva l’infermiera di notte e ti aiuterà lei, io non ho la forza di aiutarti a sedere nella sedia a rotelle.»

«Io posso fare da sola.»

«Non azzardare potrai cadere. Cosa ti costa aspettare un quarto d’ora?»

In quel momento squillò il telefono.

Era Edo che chiedeva se all’uscita dal conservatorio poteva andare a visitare Lina.

La mamma prima di rispondere domandò alla figlia se si sentiva di ricevere la visita di Edo.

Lei rispose di sì.

«Va bene Edo puoi venire, magari dopo cena, intorno alle 21.30 se per te va bene.»

«Benissimo signora.

Grazie.»

Il giorno dopo, quando arrivò l’equipe medica trovò Lina seduta nel mezzo del letto che sfogliava la rivista, a farle compagnia c’era Edoardo che cercava di fare il possibile per incoraggiarla ad abbandonare quello stato d’intontimento che la teneva prigioniera e a riprendere la vita normale.

I medici dopo aver controllato lo stato di salute e verificato la sua spontanea ripresa, interruppero le cure pregando Lina di recarsi in ospedale appena possibile per rifare gli accertamenti, aggiungendone dei nuovi.

Quella musica era stata la conferma di un amore fra due giovani che avevano saputo alimentare la speranza di ricominciare.

Quella melodia diffusa nell’aria risvegliò i ricordi di quella mente che si era lasciata sopraffare dal dolore e la unì a un cuore che batteva forte, perché aveva avuto il coraggio di aspettare, prima di vincere la paura e di urlare al mondo intero il suo grande amore per Lina.

Quella musica chiuse la pagina ritrovata di un libro, aperto molto tempo prima, e ne aprì un’altra in un altro libro che racchiuse la storia dei due giovani immensamente.

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