Come i cinesi – volume secondo – Il nodo – Il nodo

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Come i cinesi – volume secondo – Il nodo – Il nodo

Il nodo – Il nodo

 Il NODO

Tu mancavi quando iniziò la spinta.

Altre presenze di forme strane, sfuggenti (lunghe, grosse, rotondeggianti), tinte a ceroni e pastelli, finanche tatuate in bello stile con varie fantasie ed anelli a gruzzoli, alcune all’apparenza più rigide che candide, si materializzavano per rapporti casuali e rapidi.

Belle a modo di meteore o comete, non chiedevano niente e niente offrivano.

Non certo a me con i miei limiti.

Preparato soltanto ad esprimermi, laccato e lucido, scontavo in palpitanti solitudini pudori di primitivi insegnamenti.

Non più di venti anni, assistevo inerte alla decomposizione di principi da poco assimilati ed al decadimento delle strutture logiche ed espressive che di essi avevano costituito il fasciame.

Non avevo più voglia di correre dietro me stesso, rifiutavo l’idea di pensare.

Quotidiana stasi di stimoli avviluppava ogni teoria e l’ammansiva, come in un rodeo di tori e di vaccari, di tigri e di circensi.

Non ricordo se quelle presenze avessero un nome o se fossi io a costruire  dei suoni per identificarle.

Helèna, Marella, Kass, Murilla: null’altro che affinità di compagni.

Voglia di sregolatezza (purché non crei problemi), costumi diversi (emancipati si diceva), allontanavano tensioni culturali, tanto latenti quanto ineluttabili.

Finisce una guerra, finisce un regime, capisco, per prima si attiva una fase di ricostruzione, si curano le ferite, poi si mettono in discussione genesi, connivenze, attori e padroni.

Se trasferiamo questo concetto sotto un profilo ideologico, diamo rilievo a processi che si differenziano dagli altri per la caratteristica peculiare di non contemplare discussioni infinite in aule di tribunali.

Né essi si piegano o si esauriscono attraverso sentenze di giurie fantoccio, poiché, pur comportandosi come larve, a volte, come leoni ruggiscono e dilaniano.

I giorni seguivano fisionomie barocche, con tutta la lentezza involutiva di rosoni, ciascuno fisicamente agganciato al precedente e preludio del seguente.

Attenti a non debordare dal tema iniziale, come in un concerto Mozartiano.

Innumerevoli piccole variazioni, sufficienti ad indicare ad un occhio attento una diversità individuale, per un distratto fruitore, invece, banali ripetitività.

Anche loro, le presenze, inserivano distinzioni elementari, anzi di elementi, nella composizione articolata e statica, dialettica e suadente, quasi fluente immobile, di quell’inizio di stagione che aveva preso il posto di un lungo e monotono freddo tempo di studio.

Stagione di vita e stagione di clima.

La primavera sull’isola si annunzia, di solito, con una illusione di tepore e di gemme presto strappata da venti rumorosi e taglienti per alberi e per onde.

Pochi giorni, in quanto presto i flussi della natura ricevono dal nuovo sole definitivo impulso.

Scrivevo “L’estate con la parrucca“, curando che le sensazioni allo stato puro rimanessero intatte, che i concetti non fossero snaturati da immagini, i luoghi e i personaggi vivessero di forza propria senza effetti sfumati, la trama, simile ad una catena, si srotolasse con ganci di spessore e metalli diversi: dove l’oro di una fede di poesia, accanto, il bronzeo oblò della vista di un’alba.

Altro non era il mio problema, avendo scelto di scrivere per me lettore e critico passionale.

Ricordo i versi che sentivo appartenermi più intensamente:

Ed io ti parlerò

di cani e di animali

delle mie pallide albe di sconfitte

di ore mai vissute

di stelle.

Ed io ti creerò bellezze

e ti richiamerò ricordi.

E la mia mente

lenti accordi espia.

 Fu in quel tempo, al di là della mia coscienza, che in me, muovendo furtivamente i primi passi, l’anima diceva

-«Sono compressa, mi sento inespressa, la nostra convivenza rischia di diventare un ibrido simulacro di esistenza e passività.»

Tranquillo, il cervello:

-«Non si inventa mai nulla realmente.

Si può costruire, quando ci sono materiali e tecniche, una struttura diversa, innovativa, d’impatto immediato con l’immaginifico predominante; tale da ribaltare alcuni schemi oleografici, e che presenti valori d’autonomia, di piacevolezza, di interesse.

Non sarà mai di creatività pura, in quanto essa non appartiene a ciascuno o a qualcuno, ma solo a tutti e tutto in un unico insieme.»

-«Ma ti nascondi, ti acquatti!»

-«Non è come spedire una lettera.»

-«Cioè?»

-«Spedisci e sei quasi certo almeno che giunga.

A noi manca anche questa percentuale di aspettativa.

Neppure abbiamo indirizzi.

Poi avremmo bisogno di lettori.

Ancora, che essi leggessero con l’attenzione che vogliamo. In più che fossero provvisti delle informazioni essenziali, sia a conoscerci, sia a consentire loro di seguirci con la corretta “visione” dei nostri intenti strutturali e fantastici. Solo allora potrebbe aver valore un giudizio, ed essere efficace sollecitazione verso quel processo di verifica che è necessario anticipo per un nuovo atto.

Abbiamo questa opportunità?

No!»

-«In una ragnatela di doppi sensi, di perifrasi, allusioni, ti spezzi le ali.

Farfalla ti voglio, farfalla con me.»

La prospettiva era per lui intrigante.

La tentazione padroneggiava per la stessa allusione all’offerta di un’intimità che, per quanti sforzi e quanti inganni e lusinghe avesse tentato in tutti gli anni precedenti, non era mai riuscito ad ottenere.

Farfalla con me”.

Aveva voglia di pensare.

Chiese una pausa.

L’estate con la parrucca” finì, e con essa la foga di vuotare i cassetti pieni di immagini lasciò più spazio ad una contemplazione fotografica.

Quasi tendessi a costruire un album da utilizzare per nuove avventure letterarie, e, già questo, avrebbe potuto essere un segnale indicativo di qualche cambiamento strutturale della mia personalità.

Usavo la vita a fruizione, a vantaggio, di una sua parte, di una sua componente, la quale, piuttosto che svilupparsi come avrebbe dovuto autonoma, per abbellire, orlare, gratificare, viaggiava scroccona.

Se “Una notte di stelle lucenti”, ponevo, come dire, a magazzino, nell’album, “Una notte di stelle”.

Tanto successivamente avrei saputo con fantasia ricostruirla nel fondale di una scena oppure in uno schizzo, in un disegno.

Un senso logico per l’utilizzazione del quotidiano.

La traccia di un emergente bollore che non raccolsi.

Passò del tempo, molto, prima che io riprendessi a scrivere con assiduità; forse perché mi mancavano le foto, o gli stimoli, o il tempo, o la voglia, o forse più concretamente perché m’illudevo di aver esaurito con la prima esperienza la curiosità di confrontarmi con la scrittura.

Cominciava un’altra estate di libertà da impegni di ogni genere, ed ancora ricordo con quanta rapidità si trasformarono in ansiosa ostinazione le prime titubanti ricerche che facevo di te.

Nata quasi per diversivo -per il gioco di cercare la strada in un labirinto-, l’idealizzazione di cui ti adornavo, ad ogni ipotetica soluzione diventava più nitida nelle forme, ma non appena un risultato appariva disponibile, e solo allora, pronta e prepotente, una forza autonoma ne stagliava più precisi particolari irrinunciabili.

Quanto più mi impegnavo ad accorparli in una definitiva unità, tanto più risaltavano, come ad azione microscopica, nuovi punti fermi, nuove strutture, e via via per un crescendo di perfette aderenze: quasi atomizzazioni di una perfezione.

Iniziai a scrivere “Ambiguità” dove “Se non c’è

niente, e niente c’è da difendere, voglio conservare la mia memoria, le mie memorie per cercare di dare un senso ed un seguito all’assurdo tentativo di far quadrare il cerchio (lei cerchio, io quadrato) che ho esasperatamente inseguito” era la prima frase.

Mi mancavi molto più di quanto non riuscissi a comprendere, ma se non fossi stato disattento, vanesio, incantato, fisso nella voglia di conquistarti, avrei potuto udire voci interiori esprimere reazioni inquietanti già alla prima lettura.

-«Perché lo fai?» diceva l’anima.

Il cervello ben sapendo che prima o poi sarebbe venuto il momento di dare un senso compito al precedente incontro, aveva infatti chiesto soltanto una pausa, e non ritenendo corretto eludere ulteriormente la necessità di presentarsi ad un faccia a faccia determinante, rispose alla domanda introducendo una delle innumerevoli considerazioni elaborate per accantonare il progetto:

-«Non riesco ad avere completamente sottomesso il corpo, a te sfuggono emozioni incontrollate.

Se voglio non dico eliminare, ma almeno attutire un dolore, se tu intendessi eludere manifestazioni di sentimenti, se io volessi fermare il sangue, affrettare il battito del cuore, isolare un organo, se tu ambissi piangere o ridere in situazioni di estremi opposti, credi potremmo? Certo che no.

Come illuderci quindi di interferire sul tutto, se ci manca la forza di farlo sui particolari?!»

Anima:

-«Da soli si perde, uniti si vince.

E sempre stato così, e così (“Così e così”: sarà questo

il titolo del nostro stemma) si cambia.

La stessa riproduzione nelle strutture evolute abbisogna

di unioni.

Maschi e femmine, da maschi e da femmine.»

Cervello:

-«Per uno diverso da loro, d’accordo. Non certo per trasformare loro stessi in diversi.

Nulla e nessuno sarebbe in grado di farlo.

Tu vorresti la metempsicosi tra vivi, è differente, capisci, inconcepibile.»

L’Anima:

-«Tu sai cosa pensassero i primi esseri che si accoppiarono?

Se avessero definito lo scopo procreativo della loro azione, ed in caso affermativo (per me molto ma molto improbabile) quale fosse la percentuale di risultato positivo insita nelle loro attese?

O non supponi più primitivamente che ciascuno avesse per intento fagocitare l’altro?

Come non ammettere che l’ipotesi di un risultato quale quello realizzato, sarebbe apparsa temeraria, logicamente improponibile, fantasiosa?

Noi siamo loro, noi siamo propaggini di loro azioni, noi dobbiamo tentare di andare oltre le convenzioni, le aspettative correnti e soporifere.

Andare oltre l’azzardo.»

-«Andare, come?

Andare, dove?»

-«Con te voglio andare oltre l’amore, come in una totale simbiosi.»

Riusciva a confonderlo utilizzando le peculiari risorse della sua natura: lo poneva in un angolo di lusinghe e adulazioni.

Ne ammansiva le difese con l’accorta tattica di fingersi

inoffensiva, ne otteneva attenzione ed interesse

stimolandogli visioni oniriche, partecipazione, avvicinandosi con abile e suadente serenità all’ideale che lui custodiva.

Una crepa era aperta.

Lo sguardo deciso prolungato che le rivolse, per lei preludio d’intesa, la vide pudicamente arrossire. Ingenuità?

Tenerezza?

Inganno?

Lei bruna sedeva

«Mi schianti e mi strazi.»

Lei donna ansimava

«Abbandonata e sola.»

Così va dietro un sogno

-ancora schiacciando le noci

tra nocche-

bandelle

nella galleria del vento.

un sogno eterno

come l’ombra

di luci-riflessi-luna

mobile

deforme, appiccicosa

più scura del buio,

tacita, sfuggente,

più forte del chiaro.

 

—°°°—

 

Lui rosso fuggiva

«Scorteccia l’anima.»

Lui maschio taceva

«Liberata contorta.»

 

Strisciava ai piedi un rischio

-di dune incoerenti

tra rovi-

sbuffi

in grotte di voli anonimi.

 

Un rischio pesante

come palle da schiavi

di gesti-attese-silenzi

senza catene,

ingiuste,

consunte, represse,

diffuse

schiumose,

più interne del tronco.

 

—°°°—

 

Per me

un rischio e il foglio

dell’erba

e del prato.

 

Per me

un sogno e il foglio

dove la pista è il deserto

del fato

del soffio e

 del vento.

 

E devo voltarmi

a capire

se

è notte o c’è il sole

se è un sogno od un rischio.

 Ambiguità” si avviava all’epilogo quasi premonitore dicendo: “Lo stesso dubbio sembrava pretendere la propria esistenza, dileguandosi dopo comparse, che, sempre più brevi si imponevano giungendo con maggiore frequenza.

Troppo brevi per consentirmi di prendere una decisione, troppo frequenti per liberarmene”.

Il tormento di non riconoscerti in alcuna immagine, più che deprimermi, eccitava la mia fantasia nel proporre ulteriori abbellimenti in un incastro già saturo di tanti, troppi, particolari irrinunciabili.

Ti volevo ancora più velata, satinata, splendente, ed altro ed altro…

Però, come sempre quando si rincorre un sogno, una visione, il grande mosaico dei desideri e delle velleità s’infrange nell’impatto con la realtà di un singolo evento: nel mio caso di una immagine abbacinante.

Veniva, in un viaggio di promozione, da un piccolo borgo dell’Umbria ad un passo da Fabriano; la figlia più giovane di una numerosa famiglia d’antiche tradizioni, celebre, stimata, quasi nobile.

Insieme con altre anche più interessanti.

Nel suo gruppo ricordo che ve ne erano alcune con

fattezze da rivista di moda, patinate, altre, poche, sembravano adatte soltanto a muoversi in cucina, ma per la maggior parte, quasi identiche, parevano uscite dallo stesso stampo.

Vederla e innamorarmi fu tutto uno.

Pulita, chiara, soltanto un sottile filo di filigrana a mettere in risalto il corpo.

Senza tremore, permise che la guardassi con attenzione e incanto.

Lasciava fare, già sapendo che alla mia scelta non avrebbe potuto porre un rifiuto, troppo forte il desiderio non concedeva spazio ad una qualsiasi diversa determinazione.

Eppure ne aveva avuti pretendenti, ce ne erano stati rifiuti!

Troppo eclatante, sfrontato, per non destare attenzione, il mio corteggiamento privo di inibizioni, notato dall’uomo con gli occhiali che le accompagnava, lo spinse ad avvicinarsi e chiedermi se sapessi il suo nome, se già l’avessi conosciuta altrove.

Mi trovavo in quell’ambiente rustico e rumoroso, scavato come una grotta in una parete lavica cinta da rovi e da ginestre -ginestre, fiore amato dalla mia donna-, per ritirare un pacco di auguri per la Pasqua.

-«La voglio tutta,» gridai ponendogli una mano sulla spalla «e la chiamerò Candor Image, la mia bianca candida immagine.»

Pagai il conto, la presi in braccio e uscimmo strisciando contro i rovi e le ginestre senza dare ascolto alla timida reazione di stupore dell’uomo con gli occhiali.

Correvo con la mente in brividi di eccessi.

Che bella sensazione poter pensare che sarebbe stata solo mia!

Che grande conquista la certezza che avrebbe vivificato tutti i miei giorni.

Con la mia Image, sapevo, sarei stato delicatissimo -tanto mi appariva fragile-; muovendomi nel nostro cosmo con ogni necessaria moderazione, avrei svestito i panni del gaudente, avrei cercato il suo consenso, prima di dare un senso al mio futuro e, chiusi con chiave tutti i ricordi della mia vita, -la mia vita-, che altro offrirle!

Attirando l’attenzione dei passanti, lentamente ci avvicinammo all’auto.

Ricordo una voce dire scherzosa “Vuoi che ti aiuti?”.

Dall’imbrunire all’alba il passo è breve.

La notte, non ancora finita, ci vide avvicinarci alla poesia.

«Sotto un vento d’incanto

sono un curvo pastore d’illusioni».

 L’Anima e il Cervello ci spiarono per tutto il tempo necessario a consolidare la loro intesa, e ad ottenere il decadimento delle risorse di fantasia alle quali, sole, tenevo legato i nostri passi.

Discreti, avevano, in situazioni diverse, eseguite alcune prove: insinuandosi con innocui espedienti, attenti a non farsi identificare, modellando collocazioni camaleontiche, valutando i minimi cedimenti ed i più larvati cenni di stanchezza.

Segretamente inseriti, plagiando la struttura dei testi che scrivevo, lusingavano la mia vanità con un lettore più sensibile.

Contravvenendo la prassi riuscivano, con presenza crescente per ogni tentativo, ad ottenere un processo di sintonia tra un inesistente amico lettore e quel poco o tanto di vibrante che zampillava dai verbi e dalle parole.

Forse potrei dilungarmi ricostruendo le diverse occasioni nelle quali, a mia insaputa, avevano offerto chiavi di lettura, giuste o sbagliate, limitate od esagerate, di contrasti e di ricerche (mai banali né piatte), attraverso una mimetizzazione ingannevole.

Oppure quante volte da parte loro, in mia vece, la prosa

fosse stata mutata in poesia, ed anche, paradossalmente, la poesia utilizzata per spiegare la prosa, e poi il presente sbiadito in passato o futuro, ed altro ancora.

Senza crearmi angosce sostituivano soggettività con oggettività.

L’occasione da loro così tenacemente attesa, venne quel giorno che lessi di un premio letterario consistente nella pubblicazione di un racconto su un quotidiano di grande prestigio.

Lo sai, ne fui tremendamente eccitato.

Per la prima volta credei valesse la pena esporre la nostra intimità.

Volgendogli le spalle come ad offrirgli l’ultima occasione l’Anima gli disse:

-«Sei pronto?»

-«E tu sei sempre determinata?»

-«Per cos’altro credi abbia sopito finora ogni ambizione?»

-«Fino a mettere in discussione la tua immortalità?»

L’Anima si volse per mostrare la luce che le brillava negli occhi:

-«Essere immortale di un banale!

Meglio la gloria di un artista, fosse anche solo da oggi a domani!

A fine Aprile avremo il responso, c’è poco tempo, sbrighiamoci.»

E sento bestemmiare il cielo

e sento l’aria pungermi la carne

e sento quel malvagio gallo

in vicinanza di morte

di Cristo ricordarmi il tradimento.

Volevano diventare uno scrittore: l’Anima, il

Cervello.
L’Anima, il Cervello volevano diventassi uno scrittore.

Assumere forma d’impalpabile incoerenza.

Forza della sua essenza, cardine della sua coesione logica. Insieme volevano destituirmi, ripudiarmi per farmi diventare uno scrittore.

Che confusione.

L’Anima-il Cervello-uno scrittore-volevano-diventare-uno scrittore-diventare-voleva-uno scrittore-bla bla bla.

In maniera più specifica, al limite di un tempo, si ponevano l’obiettivo di riuscire, mediante una metamorfosi, ad infiltrarsi ed a miscelarsi all’Anima ed al Cervello generale, se mai queste astrazioni possano essere identificate.

Quindi, di ciò ne erano consapevoli, dovevano impegnare la loro immagine e la loro identità.

Dovevano distruggere la “mia” anima per indurmi a scrivere che “in un caldo mattino d’agosto strisciava lunghi capelli neri tra macerie di case prima rosa, gialle, bianche, e vasi di gerani carnosi e gonfi di luce, ora distrutti da una inutile bomba.”

Dovevano annientare il “mio” cervello affinché fossi disponibile a correggere la frase aggiungendo che “La bomba non era stata inutile per il ragazzo ormai a brandelli come gli intonaci, gli infissi, gli arredi.

Impegnare, va bene, ma a quale costo?

Si spinsero fino al punto da non concedersi la benché minima riserva.

Nessuna via di fuga era prevista in caso di difficoltà, nonostante che la messa in atto di una simile precauzione fosse stata fortemente reclamata già durante la prima fase del progetto.

In un dibattito tra coscienza e volontà, altalenato tra

minimi e massimi inconciliabili, la loro determinazione fu

irremovibile.

Neppure un baluginio lasciato come boa di segnalazione per un ritorno, seppure consapevoli d’attivare un gioco al buio, ove circostanze esterne contro precisione d’impegno, si sarebbero contrapposte, per appagarsi di vittorie-sconfitte riconducibili a processi di auto distruzione.

Il risultato fu la breve novella intitolata “Così e Così”, che tu conosci bene e che desidero rileggere.

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TESTO COMPLETO IN LETTURA LIBERA

Dedica – Introduzione

 

Ambiguità

Capitolo 1

Capitolo 2

Capitolo 3

Capitolo 4

Capitolo 5

Capitolo 6

Capitolo 7

Capitolo 8

Capitolo 9

Capitolo 10

Il nodo

Il nodo

Così e così

Il premio

La coda

Il chioccolo del fringuello

Il chioccolo del fringuello

Come i cinesi volume secondo

Come i cinesi volume secondo di Bruno Mancini

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Come i cinesi volume secondo

seconda edizione

ID 29z5vq

ISBN 978-1-4710-5423-5

 

Bruno Mancini
ISBN 978-1-4710-5423-5
Versione 4 | ID 29z5vq
Creato: 13 settembre 2022
Modificato: 14 settembre 2022
Libro, 98 Pagine
Libro stampato: A5 (148 x 210 mm)
Standard Bianco e nero, 60# Bianco
Libro a copertina morbida
Lucido Copertina
Prezzo di vendita: EUR 14.00

Titolo Per Aurora volume quarto
Sottotitolo Il Libro di Sonia – Il Nodo
Collaboratori Bruno Mancini
ISBN 978-1-4710-5423-5
Marchio editoriale Lulu.com
Edizione Nuova edizione
Edizione ampliata
Licenza Tutti i diritti riservati – Licenza di copyright standard
Titolare del copyright Bruno Mancini
Anno del copyright 2022

Dialoghi, intimità, ragionamenti, passioni, le irrazionali note, cadute, catarsi, sdegni, i vari volti di un atto, gli equivoci, i nodi, le sfide, i sensi dei vinti, i come, perché, dove, se, che abbiamo macinato più contro di noi per dare che non verso di noi per avere, più sciocchi per idoli che lucidi d’esperienze, sempre senza pause catalizzatrici.

Per Aurora volume secondo

TESTO COMPLETO IN LETTURA LIBERA

Come i cinesi – volume secondo

seconda edizione

Racconti

Ambiguità

Il nodo

Il chioccolo del fringuello

Come i cinesi – volume secondo

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