Nina Lavieri – scrittrice, giornalista, traduttrice

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Nina Lavieri – scrittrice, giornalista, traduttrice

Nina Lavieri

Breve Curriculum circa la vita artistica di Nina Lavieri

Nina Lavieri vive ed opera a Genova

Nina Lavieri - scrittrice, giornalista - traduttrice Nina Lavieri Breve Curriculum circa la vita artistica di Nina Lavieri Nina Lavieri vive ed opera a GenovaNel 1965 lascia l’Italia e si reca in Inghilterra per motivi di studio e di lavoro.

Nel 1968 consegue il diploma di laurea all’Università di Cambridge in lingua inglese e letteratura anglosassone.
Nel 1970 rientra nella sua città di Genova ed inizia il lavoro d’insegnate della lingua inglese presso l’Istituto scolastico Vittorino da Feltre, Via Maragliano Genova.
Nel 1975 e 1978 è invita negli Stati Uniti d’America con due borse di studio: la prima in California e l’Oregon, la seconda nello Stato di New York.
Nel 1982, ritorna in America con un Master, a Washington D.C.

Tornata a Genova, riprende il suo lavoro di insegnamento.

Oltre al libro di “Racconti di Nina Lavieri” del quale presentiamo un video in questa pagina, Nina Laveri ha pubblicato i seguenti titoli:

Il Sud negli occhi” 1972 Tipografia Parodi
Sensazioni” (prima edizione 1981 – seconda edizione 1989) Edirice Pirella
Fiori di Vento” 1989 Editroce Tolozzi
L’inquiedudine della luna” 1990 Editrice Pirella
Trascendersi” 1996 Editrice Compagnia dei Librai
Poesia” 2001 Editrice Libero di Scrivere
“Guerra” 2007 Editrice Compagnia dei Librai

Alcune delle sue poesie e racconti, sono stati pubblicati in molte Antologie tra le quali vanno segnalate l’antologia

“Poeti e novellieri di oggi e di domani” (edizione Ippocampo 1964) e l’antologia

“Otto milioni” (abbinata all’omonino premio) nella quale la sua poesia “Autunno a Camoglio” è stata designata tra le finaliste.

C’è da dire che molte migliaia di copie dell’antologia “Otto milioni”, edita nel mese di Settembre 2012 a cura di Bruno Mancini e di Roberta Panizza con la sponsorizzazione e il patrocinio dell‘Istituto “Agostino Lauro“, sono state rese disponibili alla gratuita lettura di tutti i passeggeri (circa otto milioni ogni anno, appunto come dice il titolo) in viaggio con la Flotta Lauro in navigazione nel Mediterraneo.

Nina Lavieri ha ottenuto importanti premi, tra i quali possono essere segnalati:

Poeti e novellieri d’oggi e domani – Edizione Ippocampo Milano 1964 con cinque poesie.
Poeti al Video a cura d’Alessandro Cutolo 1965 con la poesia “Una casa in campagna” che vinse il primo premio e fu recitata in televisione da Giorgio Albertazzi.

In altre occasioni le sue poesie sono state declamate più volte da Sandro Bobbio e lette da Alfredo Bianchini sia in Televisione e Radio, sia in alcuni Teatri.
Inoltre, Nina Lavieri, ha collaborato per circa 5 anni come pubblicista, de IL GIORNALE sulle pagine di Genova, con articoli di cultura e colore, la cui raccolta è depositata presso la Sede de Il Giornale.

Una delle sue commedie teatrali è stata rappresentata al Teatro Margherita di Genova nel 1974.

Primi Premi:

Poeti al Video
Premio Città di LEVANTO
Premio Internazionale CESARE PAVESE Santo Stefano Belbo
Premio SANVALENTINO
Premio SANTACHIARA Assisi con un saggio su Santa Chiara.
Premio Internazionale IL MACCHIAVELLO ROMA.

Attualmente Nina Lavieri è finalista in due sezioni del premio internazionale “Otto milioni” 2018, ed esattamente nella sezione“Arti grafiche” con il Cod.079AG e nella sezione “Poesia” con il  Cod015PO-

Nina Lavieri
INFO: Tel.010.3514612– 3284057441 –
charlotte1908n@gmail.com

Nina Lavieri

L’11 Gennaio 2018 dalle ore 17,30 alle ore 19,00 presso la sala del Quadrivium nella Piazza Corvetto di Genova è stato presentato il libro “Racconti di Nina Lavieri  – Voci dal terzo millennio (edizione Vertigo)” scritto da Nina Lavieri.

Relatori: Prof. Maria Pia Bozzo, Prof. Padre Giuseppe Oddone, Signor Guido De Marchi.
Animatore: Club Banchina.
Fotografo e regista: Carmelo Marino.

In tale occasione è stato proiettato il cortometraggio “Una visita senza tempo” tratto da un racconto della scrittrice per la regia di Marino Carmelo.
Insieme al regista e a Nina Lavieri erano presenti gli attori Claudio Pozzani e Ferruccio Repetti.

“Una visita senza tempo”

Cod015PO Nina Lavieri – Lo spirito del vagabondo

Cod.079AG Nina Lavieri

Codice 11 Nina Lavieri – A mio padre il delfino

A mio padre il delfino

Sono tornata
Oramai grande
E busso sulla tua tomba
Picchio sul marmo freddo
Con la mia fronte
E mi sento più dentro di te.
Ho camminato il mondo
Ho dimenticato
E poi ricordato
Ti ho ritrovato
Negli occhi di una formica
E l’ho tenuta con me fino alla sua fine
Le sue spoglie sono nel mio taccuino.
Ma, in mezzo al mare infinito
Ti ho ritrovato nell’allegria di un delfino
E mi sono rappacificata

Padre Baravalle e Cesare Pavese

Una visita senza tempo

Nina lavieri

“…………….spiacente – disse Padre Bravalle, al giornalista che insistentemente lo voleva intervistare –
Questo pensiero mi addolora molto, so che Cesare Pavese mi cercò in quei giorni e non mi trovò, lo cercai anch’io, ma mi accadde la stessa cosa, non riuscii a contattarlo…….”

L’alba era una luce ancora fioca, in alcuni punti sembrava zucchero filato; la strada aveva il chiarore tenue dell’alba, ed appariva come fosse ancora illuminata dalla Luna già molto alta nel cielo, pronta a lasciare spazio al sole, ma la sua luce filtrava insistente attraverso quella densità quasi fluida, ed il sole stentava a farsi strada dentro la magica densità lunare: in fondo, il sole e la luna erano in perenne rincorsa e molto raramente si potevano incontrare, eccetto in quelle ore particolari di albe appena accennate e di tramonti sfumati.

In lontananza, all’inizio della strada in salita, un’ombra si mosse e lentamente si incamminò, verso un luogo sconosciuto alla silhouette, che si muoveva un po’ incerta.

Ad un tratto, di fronte a lui, si materializzò la visione di un palazzo che aveva lo stesso colore dell’alba e dal quale arrivava una musica sottile e penetrante, mista al dolce canto di piccoli uccelli bianchi che volavano e cinguettavano emanando una musica penetrante.

L’ombra si avvio verso un viale, con alberi dalle foglie d’argento; spinse il cancello satinato ed entrò, di fronte c’era uno scalone con gradini ampi e bassi di marmo rosa; in cima allo scalone c’era una figura di uomo alto e snello, vestito con un abito a doppio petto grigio ed una sigarette accesa in una mano.

L’uomo vide l’ombra, che man mano che si avvicinava, prendeva forma umana ed indossava una tonaca nera, con infiniti bottoni neri ma lucidi, che partivano dall’attaccatura del colletto bianco fino a coprirgli le scarpe.

Cesare, lo vedeva in piena luce ora, ed un senso di tonfo fisico gli schiacciò il petto, quando si rese conto che da quell’ombra, presa in pieno dal chiarore, gli apparvero le sembianze di Padre Baravalle.

Cesare, scese le scale gli andò in contro, si avvicinò a quella figura da lui tanto attesa. Si trovarono l’uno di fronte all’altro, si guardarono a lungo e rimasero muti per alcuni secondi, poi si abbracciarono.

Padre Baravalle fu il primo ad emettere un suono articolato di parole piene di emozioni, e disse:

-“Eccomi qua finalmente Cesare! Non so quanti anni umani ho camminato per raggiungerti!”

-“Ed io non so quanto tempo umano ti ho atteso, ma finalmente sei qui.”

Ora se vuoi – disse il Padre – potremmo anche darci del tu, dopo aver superato la soglia del tempo umano, non ti pare?”

-“Ma con piacere Padre, volevo chiederglielo anch’io: quale grande piacere rivederti! Vieni, qui al termine dello scalone, c’è una grande sala con l mio studio, dove possiamo sederci intorno al tavolo pieno di carte e libri, un po’ in disordine, ma dove possiamo riprendere le nostre conversazioni rimaste in sospeso e parlare ancora di Dio, si, di Dio.

Ti ricordi come ero entusiasta di parlare di Dio con te?

-“Come potrei non ricordarlo Cesare? E’ anche a causa di questo profondo ricordo che ho intrapreso questo viaggio, dopo avere avuto la grazia della concessione.

-“E’ proprio così, Padre, tu me lo avevi detto. Mi avevi detto che ci si deve umiliare nel chiedere una grazia per poi scoprire l’intima dolcezza del regno di Dio. Quasi si dimentica però, ciò che si chiedeva e ripercorrendo il ricordo si vorrebbe godere sempre, di quello sgorgo di divinità. Fu questo tuo messaggio che mi entrò nell’anima e segnò la strada per giungere alla fede, ed il mio modo di essere fedele a Dio dopo averlo incontrato attraverso un lungo e duro cammino, e scoprire che il silenzio di Dio qui, ha suoni e messaggi incomparabili, che non si possono descrivere e tu lo sai. Il cammino è stato senza alcuna possibilità di definizione del tempo poiché l’infinito non ha tempo, è tempo non tempo. Il tempo, in questa dimensione, non esiste ma è stato ed è pieno di grandi avvenimenti. Ho attraversato le lunghe notti profonde, dove non vi era nessuna forma o bagliore di luce, solo alcune lontanissime stelle che apparivano come puntini di spilli fissi, senza alcun tremolio, infinitamente lontane ed intorno un nero compatto ed a tratti rigido e duro come l’ardesia, e nessun tipo di suono o rumore. Lungo questa dimensione ho incontrato molti uomini che sulla terra erano stati illustri personaggi i quali stavano, me compreso, in piedi, fermi, muti come me. Tutto era immobile e denso di buio, dove non vi era né aria, né luce, né freddo né caldo: nulla si muoveva, anche la fissità dei nostri occhi era parte di una immobilità perenne. Poi, ci fu un tempo che fu posto al mio fianco destro un’altra creatura, e nonostante l’intensità e la profondità del buio e della notte, lo riconobbi, era Guy de Maupassant di cui, in un tempo lontano, amai alcune sue opere. Lui aveva lo sguardo vitreo, come tutti noi ma, proprio in quell’attimo,che mi parve di avvertire un guizzo nei suoi occhi ed un sentore di una voce lontana, mi sentii scivolare bruscamente in un’altra dimensione, dove una luce – sia pure fioca – ferì la fissità dei miei occhi e lentamente iniziai a vedere la luce più nitida. Dentro questa luce, come trasportato da uno scivolo luminoso, mi trovai in questo salone. Intorno a questo tavolo qui, c’era una moltitudine di uomini saggi con lunghe barbe bianche, che mi attendevano e dopo, mi chiesero di sedermi, e mi sedetti. Allora, mi vidi, con questo abito grigio seduto e circondato da creature che sembravano divine, solo uno di loro, apparentemente il più dotto e saggio, parlava a tutti i presenti e parlò a lungo circa l’allegoria dell’amore umano, del cantico dei cantici, di Salomone, dando svariate spiegazioni e riferimenti di cui tutti i presenti prendevano appunti, cosa che feci anch’io. Poi il Saggio, che teneva una vera e propria catechesi, passò, dopo un tempo senza tempo, al Vangelo di Gesù ed iniziò un lungo ed affascinante monologo circa l’assenza di carnalità nel nuovo Testamento e del senso unitario che è Cristo, ed in fine, se fine posso definirla, della Mistica: i sensi mistici, l’anima e Dio, sentire Dio dentro di se. Dopo un tempo che percorse, nei minimi dettagli, tutto l’antico e nuovo Testamento. Allora,il saggio, rivolgendosi solo a me, mi ordinò di assolvere dei compiti e mi indicò un foglio, sul quale c’era scritto tutto quanto dovevo fare, poi tacque. Da quel momento ebbi la sensazione che trascorse un tempo senza inizio né fine poi, tutti si alzarono in piedi ed i loro mantelli bianchi emanavano una luce con tutti i colori dell’iride, e senza che me ne rendessi conto, improvvisamente scomparvero e non li vidi più. Da allora, rimasi sempre in questo luogo di pace, a compiere il mio dovere, a leggere, rileggere tutti i capitoli dell’antico e del nuovo testamento che mi avevano lasciato e scrivere tutto quanto mi fu richiesto di scrivere.”

Il salone era ampio con grandi finestre, dalle quali filtrava una luce argentea con sfumature color paglierino che dava un lieve tepore piacevole.

La parete, tra una finestra e l’altra, era coperta di libri appilati e totalmente privi di polvere, molti di essi erano ricoperti di bianco, con i titoli scritti in oro, il Sacerdote pensò che fossero i nuovi libri scritti da Cesare Pavese ed un forte senso di gioia gli riempì il cuore.

Il Padre girò lo sguardo in tutte le direzioni della stanza e non vide il ben ché minimo granello di polvere ovunque; il raggio di luce che attraversava la stanza era privo di corpuscoli di qualsiasi forma o tipo. L’atmosfera priva di rumori molesti, avvolgeva le loro persone come un abbraccio benefico.

Il Padre guardò nel profondo degli occhi di Cesare Pavese e si fissarono a lungo.

E Padre Baravalle, vide un volto sereno ed un sorriso denso di gioia negli occhi e sul viso di Cesare Pavese.

Il Sacerdote si guardò ancora in giro e con gioia notò che su quel tavolo pieno di fogli, appunti, libri e cartelle, in prima fila c’era una Bibbia bianca ed a fianco un Vangelo quasi consumato.

La Bibbia era aperta al capito del libro di Qoèlet, ciò lo emozionò e pensò agli innumerevoli anni trascorsi, ed in particolare a quell’anno che Cesare Pavese aveva passato con lui a Casale Monferrato ed al reciproco sforzo di parlare di Dio, sia per Cesare Pavese, nello sforzo di capire l’intangibile, il mistero, sia per Padre Baravalle nel tentativo di far entrare Cesare nella dimensione di Dio, senza forzare la mano e senza essere troppo pedante: non era un compito facile con una persona di così grande livello intellettuale e culturale e di tale raffinata sensibilità.

Però, Padre Baravalle immise un piccolo seme nell’anima di Pavese che, nonostante ci volle molto tempo, aveva dato i suoi grandi frutti.

-“Questo libro del Qoèlet, Padre, mi è stato di grande aiuto e mi ha fatto pensare e meditare sull’inutile vanità ed attaccamento alle cose materiali di noi esseri terreni.”

-“E’ vero Cesare, questo è uno dei miei libri preferiti: Qoèlet, attraverso il suo cammino, pur cosparso di onori e ricchezze, aveva scoperto che: Vanità delle vanità, tutto è vanità, quale utilità ricava l’uomo da tutto l’affanno per cui fatica sotto il sole? una generazione va, una generazione viene, ma la Terra resta sempre la stessa…..  – e tutto è molto fugace –” continuò Padre Baravalle “transitorio e, il tutto, logorandosi giorno dopo giorno, in fine, non rimane altro che polvere, e per i fortunati che lo hanno incontrato, stà Dio, e la sua immensa misericordia verso la pochezza dell’umanità.”.
“Cesare, tempo fa – disse il Sacerdote – ti ho cercato tanto sia in Albergo a Torino sia all’Einaudi, ma non ho avuto modo di rintracciarti, avrei voluto tanto parlare ancora ed ancora con te di Dio come quei giorni quando venivi nella Cappella, ma non ci sono riuscito. Allora, dopo la fine del mio cammino terreno, ho deciso di intraprendere questo lungo viaggio senza tempo poiché l’infinito non ha tempo, né inizio né fine. Ho iniziato questo viaggio specialmente concessomi, per raggiungerti qui perché, ora, anch’io vago pressappoco da queste parti. Però, non mi è stato concesso molto tempo oggi, ma mi hanno promesso che potrò venire a trovarti spesso.”

-“Padre – disse Cesare Pavese – quale grande felicità rivederti dopo tanta attesa, restiamo ancora un po’ qui finché potrai. Ti ricordi come ero entusiasta, turbato ma con un profondo desiderio di parlare di Dio con te? Nella mia anima è rimasto sempre questo desiderio incompiuto ed ora tu, Padre, sei qui e mi avevi detto in quel tempo anche che : “ Lo sgorgo di divinità lo si sente quando il dolore ci ha fatti inginocchiare. Al punto che la prima avvisaglia di dolore ci dà un moto di gioia, di gratitudine di aspettazione….
Si arriva ad augurarsi il dolore. Accettarlo vuol dire alla lettera entrare nel mondo del soprannaturale. Sai Padre, ho molto e profondamente meditato sulle tue parole e lentamente ho imparato ad assimilare Dio dentro di me. Ora, io sono immerso dentro la grazia concessami e la mia anima e la mia mente, sono avvolte da questo sgorgo di divinità: è forse questa la rivelazione del mistero che ogni uomo sente in se Padre?”

-“Si Cesare – rispose Padre Baravalle – ciò potrebbe essere una sfumatura del mistero di Dio“.

-“ Fu questo messaggio che mi entrò nell’anima – disse Cesare – e segnò la strada per giungere alla fede, ed il mio modo di essere fedele, di essere solo di Dio e della Sua misericordia infinita. Ho camminato tanto in questo mondo di pace, silenzioso e solitario ma Padre, questa non è la solitudine degli uomini, questa è l’immensa, serena solitudine di Dio, la cui soglia tra Lui e l’uomo è l’immensità, priva di principio e di fine ed il silenzio di Dio qui, ha suoni incomparabili, che non si possono descrivere e tu lo sai Padre, non esiste umana espressione per poterli definire forse, solo Dante Alighieri ebbe qualche intuizione, lui scrisse .…..«La materia è sorda – disse Dante – il poeta ed il musicista non esaltano la materia, lo scultore la esalta, ma mai la rappresenta pienamente poiché è una copia”» e qui, – continuò Cesare – in questa immensità divina, è tutto poesia e musica e, poiché Dio è l’essenza della poesia e della musica, la materia rimane muta.”

-“Si Cesare, – disse Padre Baravalle – e so anche quanto Dio è buono e misericordioso con anime straziate dal dolore e profondamente ferite, come era la tua: so anche che tu sei felice ora, di quella felicità priva di coinvolgimenti nocivi che intossicano l’anima e che il Signore vorrebbe per tutte le sue creature, ma che non tutte le creature possono raggiungere con la tua stessa percezione ed intensità.”

Smisero di parlare, la luce era più intensa con sfumature indefinibili, la musica ed il canto dolcissimo che circondavano lo studio di Cesare erano un cibo squisito per l’anima ed in quell’attimo, Padre Baravalle ricordò le grandi difficoltà che incontrò, in quell’anno che Cesare Pavese trascorse a Casale Monferrato, di fargli accettare la rivelazione cristiana. Il Padre, a quel ricordo, abbasso il capo e profondamente pregò e ringraziò Dio. Dopodiché disse: “Devo andare ora, ma ritornerò” E si incamminò verso il cancello per il suo viaggio a ritroso.

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