Roberto Ormanni e Alberto Liguoro commentano “Chi siamo”

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Roberto Ormanni e Alberto Liguoro
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del 23/06/2011   190 visite   2 voti

Roberto Ormanni e Alberto Liguorocommentano “Chi siamo” 

Giovedì scorso, in questa stessa rubrica abbiamo pubblicato un testo intitolato “Chi siamo” che auspicavamo fosse inteso come la prima bozza di un vero e proprio “manifesto” ideologico-programmatico atto ad indicare la futura linea guida del progetto culturale “La nostra isola”.

Il dibattito che ne è scaturito è stato particolarmente attivo, tanto che è stato difficile scegliere i due seguenti interventi come quelli più significativi.

 

Roberto Ormanni direttore responsabile dei settimanali “Golem – dalla notizia all’informazione” – e “Il Parlamentare” edito dalla Fondazione Paolo di Tarso scrive: 

“…credo che sia l’ideale come presentazione dello spazio “cultura” che stiamo costruendo su Golem.

 

Alberto Liguoro (magistrato, avvocato, poeta, scrittore, giornalista, pioniere e “Legal Senior” per la tutela dei diritti del progetto culturale “La nostra isola”) scrive: “Chi scrive poesie o si occupa di poesie  continuamente si trova a contrapporre la materialità, la quotidianità, l’aridità di molti aspetti – peraltro probabilmente ineludibili – della vita, con il sogno, lo spirito, lo scopo e il respiro della vita che teme possa non avere futuro, o si dà da fare, lotta perché abbia un futuro, magari rimpiange nel presente, o coltiva come si coltiva una delicata, esile, pianticella, e in questo si identifica, in ogni caso e in ogni sua espressione, il senso della Poesia. 

E poi… noi stessi, poeti, o appassionati, o cultori, o promotori di poesia, proprio noi, che facciamo?

Mettiamo balzelli, tasse, dazi per portare un testo ad un concorso, o peggio per passare ad un concorso; proprio noi su quelli che sono i tormenti, i dubbi, le urgenze di comunicare di chi scrive poesie, ci guadagniamo, sfruttiamo l’occasione, pretendiamo provvigioni e tangenti, perseguendo così l’obiettivo di far trionfare quegli aspetti grigi della vita, sopra richiamati, in contrapposizione ai quali abbiamo scritto… che cosa? Ma proprio quelle poesie stesse  portate ai concorsi.

Se non è  paradosso questo!

Dice: ma gli organizzatori pure si devono rifare, pure devono campare…

Allora dico io: per fare questo bisogna alzare il culo dalla sedia e andare a lavorare.

NO, ma dice: quelli non ne hanno bisogno, lo fanno per arrotondare, per hobby.

E che cosa sarebbe questo una specie di parassitismo?

Allora… se non sono questi morti di fame… evidentemente non si rendono conto.

Non si rendono conto? Sono quindi veramente loro la quintessenza del paradosso; e noi, boicottandoli, che cosa facciamo? Paradossalmente li aiutiamo… a capire.

E così  alla fine ci dovranno ringraziare pure.

Decisamente qui ci vuole un paradosso. Quale riferimento, allora, migliore di Piergiorgio Odifreddi il Maestro del paradosso:

Dalla prefazione a LE MENZOGNE DI ULISSE:

«In realtà, non è difficile accorgersi che fra matematica, letteratura e sentimenti ci sono analogie e rapporti profondi, al di là della superficiale contrapposizione suggerita dal vetusto slogan delle “due culture”. Ad esempio, basti notare che il verbo “contare” e il sostantivo “conto” hanno molteplici significati: a seconda delle circostanze e delle lingue, infatti, possono indicare l’enumerazione aritmetica, il racconto letterario e l’affezione psicologica, come nelle espressioni “ti presento il conto”, “ti conto una storia”, “ti tengo da conto”. »

Che dire? Io canto, io te le canto, io  mi metto in un canto.” 

 

 

Chi siamo

Noi, “La nostra isola”, siamo un gruppo di persone unite da un solo cordone: l’amore per la Poesia.

Abbiamo risvegliato entusiasmi sopiti, assegnato obiettivi ambiziosi a chi nella vita di  tutti i  giorni otteneva ed ottiene risultati al di sopra della media, ma, per alcuni strani motivi, nutriva rapporti tipo setta massonica negli sporadici incontri con “colleghi” poeti.

Sarà perché molte persone non accettano di mostrare la loro “faccia” di sognatori, e/o di teneri sentimentali, oppure sarà colpa del malinteso postulato che indica la Poesia come “l’espressione dell’anima” rendendo in tal modo prudente chi l’anima non ha nessuna intenzione di mostrarla, o sarà infine colpa degli insegnamenti scolastici preparati al limite della grulleria se è vero, come è vero, che nei programmi dei corsi di studi letterari, nemmeno nell’ultimo anno sono proposte l’analisi, l’assimilazione (ma basterebbe anche solo la lettura), delle opere dei poeti contemporanei, né vale che abbiano ricevuto qualunque importantissimo riconoscimento fosse anche il Nobel!

Viene da pensare all’insegnante di matematica che non possa dare riferimenti sull’uso della calcolatrice elettronica agli studenti del terzo liceo scientifico.

Chi soltanto si avvicini, ma ancora di più chi decida di vivere in uno specifico mondo, sia esso artistico o generalmente produttivo, dovrebbe ricevere innanzitutto gli imput alla reale situazione della materia scelta collegati all’attualità e, poi, ma molto dopo, essere informato delle origini storiche e della genesi scientifica delle moderne evidenze.

Chi siamo?

Noi siamo quelli che ribaltano l’insegnamento della Storia, della Poesia, cominciando dall’OGGI e non dal PASSATO REMOTO.

Non siamo stenografi dei nostri sentimenti, no, noi siamo Poeti.   

Bruno Mancini

 


Note dell’autore

 

I commenti

IL MALE DELLA POESIA

Mixio il 4 lug 11 12:11 ha commentato:

La poesia è una visione individuale di una realtà colettiva,è un bene di tutti, è un’astrazione reale, di un mondo irreale, perchè questo ne è il senso percepito. E’una palafitta nella palude della razionalità, razionalità che richiede comportamenti razionali, ma allo stesso tempo si concede il lusso di propoci eventi irrazionali alla nostra vista, se non uscendo dal nostro guscio individuale. E’ qui,a mio avviso, il danno della poesia. Che per propagarsi deve scendere, camminare in questa palude, palude che sotto i suoi passi si frantuma in tante piccle, insignificanti, individualità non coese. E’ qui che si blocca il processo di trasmissione, e anche il processo creativo. Perché la poesia, come diceva Pavese, non è la ricerca di semplici uditori, ma di anime “simili”. La mancata corrispondeza, nega al poeta, la misura del proprio intervento, gli nega la capacità di crescere, e quindi il pericolo di una necrosi creativa. Lo stesso Pavese diceva che chi ha veramente sofferto scrive, e se uno non scrive in fondo non ha veramente sofferto. Poiché il poeta soffre, è una piaga purulenta che non si chude mai,e guai se si chiudesse in una callosa difesa, in quanto avverte tutto il corpo della collettività che è viva e che sta camminando. Purtroppo, come si nota, dazi di ogni tipo, criteri, interessi economici che sfruttano questo malessere la rendono instabile, incapace di comunicarsi.

MIXIO

Commento 19723

Isola il 25 giu 11 0:10 ha commentato:

Una pagina di grande interesse.Spero che l’abbiano letta in tanti. Bruno, mi piace il tuo spirito infuocato , che bacchetta la scuola e richiama i docenti alle loro responsabilità nella formazione della materia prima su cui lavorano…gli inconsapevoli e giovani discepoli.

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Bruno Mancini

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