Bianca Monti

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Bianca Monti

 

Bianca cop libro
Il Golfo Bianca Monti articolo Bruno

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Biblioteca Antoniana

Bianca Monti

Esordio letterario all’insegna del ricordo di una storia ischitana.

Nell’accettare l’invito (non riuscirei a spiegare quanto gradito) dell’Amica Bianca Monti a leggere la prima opera letteraria da lei proposta al pubblico “Il richiamo dell’appartenenza”, mi sono legato immediatamente all’idea di scrivere una nota introduttiva che la descrivesse, infine, utilizzando, un unico aggettivo.

Un’idea bislacca che avrebbe voluto dare al commento la sintesi propria dell’Arte e che ora, a lettura completata,  mi fa trovare con un aggettivo chiaro e definito che mi martella il cervello e con la recensione neppure abbozzata!

Nel suo libro non ha ammesso preamboli, Bianca Monti, né strutturali e tali cioè da accogliere dolcemente per gradi  il lettore nel confronto con l’assoluta novità della sua proposta letteraria (e qui mi riferisco alla mancanza di una introduzione che potesse indicare un percorso di analisi valutativa del testo, accendendo una pur minima fiammella quantunque personalizzata da parte del recensore), ma neppure ha concesso indicazioni di carattere personale, poiché tutto ciò che al lettore è dato di sapere su di lei è essenzializzato in ultima di copertina:

“Bianca Monti è nata a Ischia nel 1964. Attualmente vive a Ladispoli. Il richiamo dell’appartenenza è la sua prima opera.

Solo questo!

Con “La telefonata di mia madre è arrivata puntuale all’ora del primo caffè.” Bianca Monti apre la scena del suo racconto presentando personaggi già in azione, nella precisa determinazione, appunto, di non sbiadire la forza degli eventi con alcun preludio potenzialmente divagante.

Ci fa subito comprendere di non aver scritto un “C’era una volta” di antica memoria, ma la narrazione di un vissuto per niente sbiadito nei particolari.

Bianca Monti è nata ad Ischia ed oggi ha un’età che non è più quella dei sentimentalismi, e lei non ammette sentimentalismi, né ammantandone le particolarità umane o caratteriali dei suoi personaggi, né, ancor meno concedendoli come modello di trascrizione delle intensità emotive espresse nel racconto, lei, l’Autrice, non aspetta di scrivere la seconda pagina per farcene rendere conto, lo fa subito, con una precisione ed un tempismo di raro riscontro in tanti esordienti, scrivendo

“Credo che quel «vieni» pronunciato da mia madre poco prima di salutarci, abbia colto di sorpresa prima lei e poi me: era giunto il momento tanto atteso e temuto”.

Bianca Monti svolge il suo racconto lasciando la trama defluire indifferentemente tra passato e presente, vita vissuta e desideri, affetti e disincanti, neppure distribuendo indizi a vantaggio di un lettore che tentasse d’entrare nella sua storia passando solo attraverso la porta della realtà, o che volesse, banalmente, disinteressarsi d’esplorare il tragitto fantasticamente discreto di questo suo racconto.

Alla sua prima esperienza ha lasciato ai probi le virtù umane di prudenza e di convenienza, si è affidata alla virtù cardinale della speranza, ed ha impresso il suo sigillo sul racconto che palesa appieno la sua ineguagliabile attitudine all’armonia ed alla simmetria.

Infatti lei parla del suo rapporto con l a scrittura affermando:

“Per me è importante… che anche la mia ricerca espressiva si affermi come l’approccio alla vita ed agli eventi che la caratterizzano: niente fronzoli… raccontare nel modo più diretto possibile le mie emozioni e quello che accade e che vedo. Alcune volte mi dico che la mia scrittura è puro “dialetto” inteso come linguaggio grezzo, non costruito… linguaggio emozionale (se così lo si può definire)… fatto di toni alti e bassi di gestualità, di esclamazioni… anche di domande senza risposta.

Il mio intento è quello di riuscire a togliere per raggiungere il nocciolo, non di aggiungere a quello che percepisco…

Qualche volta mi paragono ad un quadro astratto che nei colori, contrasti… nei movimenti liberi rivela…

Le rappresentazioni curate ed i contorni (come anche menzionato nel libro) mi limitano, mi soffocano, mi costringono a rannicchiarmi in un angolino con il timore di essere d’impaccio (i contorni sono una sicurezza, un riparo che spesso si tramuta in prigionia e da cui ci si vuole spesso liberare).

Un quadro astratto avvolge e rivela attraverso lo scontro-incontro di sensazioni che possono appartenere o meno a chi l’osserva… un quadro astratto è per chi già ha.”

Io sono qui a renderle un oltraggioso omaggio, definendo effettivamente con un solo aggettivo questo suo “Il richiamo dell’appartenenza”.

Oltraggioso come è tutto quanto comprima in una sola aggettivazione ciò che meriterebbe ben altra quantità di espressioni.

Un aggettivo che contempli, per lei finora sconosciuta Autrice, in un completo insieme, la coerenza del percorso stilistico, la sontuosa valenza dei molti personaggi proposti, i fraseggi linguistici musicalmente e dall’apprezzabile fonetica, la piena forma letteraria, la sobria ma preziosa veste grafica, l’accattivante copertina che non ammicca in funzione di speranze non realizzabili.

Io scelgo “INDIMENTICABILE!”, voi provate a contraddirmi.

Bruno Mancini

Bruno Mancini

Bruno Mancini

Bianca Monti “Il richiamo dell’appartenenza”

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Bruno Mancini

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