Il Dispari 20220214 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220214 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220214

Il Dispari 20220214

Il Dispari 20220214

Buon San Valentino a tutti voi

nel segno dell’Arte e della Poesia

Approfittando dell’occasione che quest’anno San Valentino capita di lunedì, cioè nel giorno in cui viene pubblicata questa pagina messa dal Direttore Gaetano Di Meglio a gentile disposizione della nostra Associazione DILA, abbiamo pensato che potrà farvi piacere festeggiare la giornata dedicata all’amore con una simpatica immersione nel mondo dell’Arte pittorica e della Poesia.

Tutte le opere che presentiamo in questa pagina sono state pubblicate, in almeno una della antologie Made in Ischia realizzate dall’Associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA” e sono opere di Artisti che hanno disinteressatamente collaborato con i nostri progetti culturali.

Nell’augurarvi la felicità che deriva dal Vero Amore, vi invitiamo a rendere partecipi il vostro partner delle emozioni che certamente riceverete da questa pagina.

Il Dispari 20220214

Il Dispari 20220214

Bruno Mancini
Dalla raccolta di poesie
“Segni” (1964 – 1987)

I tuoi occhi

I tuoi occhi
sono rupi,
la tua pelle è
liscia come ghiaccio.
Capelli
nebulose.
Il tuo orecchio ricorda la scia di un
motoscafo, concentrica, in un
lago calmo alpino e limpido.
Le tue ciglia
cipressi.
Il tuo braccio e la tua spalla:
un cavallo, una cavalla.
Formiche
le tue unghie.

I tuoi occhi
sono rupi,
le tue ciglia
cipressi.
Le tue dita mi ricordano il differenziale,
una tastiera di pianoforte, di fisarmonica,
le tue dita mi sembrano le leve che fanno
suonare clarini e sassofoni.
Bacio il tuo
petto,
la guancia
come premuta di arancia siciliana.
Questa luce di lanterna
questo cuscino
questo muro che ti tocca
questi libri intorno
questa luce
di lanterna
rossa
attutita da una stoffa
questa aria
tutta nostra
già respirata
già sudata.

Ti bacio
gli occhi,
capelli
nebulose.
La tua gola
è la ruota di una carrozzella,
la tua gola sono i raggi di una
ruota di carrozzella,
la tua gola è una bottiglia.

la tua fronte
è una marina,
i tuoi denti
sono teste di cerini,
il tuo labbro, sai,
il tuo labbro
è curvo come un arco
e il tuo naso
è la freccia.
Bella,
la tua fronte
è una marina.
Il tuo cuore,
lo sai,
non è tuo.
Il tuo cuore
non è tuo
il tuo cuore.

I tuoi occhi
sono rupi,
le tue ciglia
cipressi.

Ancora non cantano le prime
voci dell’alba
tu canti una nuova canzone
tu guardi e sorridi
tu cerchi le mani
tu cerchi i pensieri.
Questa luce
di lanterna
attutita da una stoffa.
Gli affetti più densi
gli amori più enormi
più calmi
più belli.

I tuoi occhi
sono rupi,
le tue ciglia
cipressi,
la tua fronte
è una marina.

Il Dispari 20220214

Il Dispari 20220214

Il Dispari 20220214

Il Dispari 20220214

Roberta Panizza
Direttrice Artistica dell’Associazione
“Da Ischia L’Arte – DILA”

Sete d’estate

Nell’aria immobile
di lenta attesa
balena luccicando
un sogno.

Risali ancora la mia china
lenta cuspide ombrosa
di arcobaleni accartocciati.

Lascia che oggi piovano
scomposti i desideri.
Saprò bere i temporali
dell’estate.

Il Dispari 20220214

Il Dispari 20220214

Maria Francesca Mosca
Vincitrice della decima edizione del
Premio di Poesia “Otto Milioni” 2021

Riflessi d’amore

Riempie la tua presenza
il mio cielo
e nel tuo sguardo
si perde il mio pensiero.
Leggera una carezza sfiora gli anni
a risvegliar colori smarriti nel vento,
come foglie palpitanti di sogni,
come fiori che si rincorrono
sulla scia di fragili steli.
Sorride e sospira il mio cuore,
mentre da tempo con te respira
e culla ogni prezioso attimo d’amore.

Il Dispari 20220214

Il Dispari 20220214

Il Dispari 20220214

Il Dispari 20220214

Emanuela Di Stefano
Poetessa, pittrice, decoratrice,
opinionista di questa testata giornalistica,
primo premio “Otto milioni” 2014
assegnato dalla Giuria presieduta dal
Comune di Torrenova a questa sua poesia

Il mare il pescatore ed io

M’assopisco sul tuo letto
e tu mi racconti
di un pescatore senza remi
innamorato di te e di me.
Un uomo libero e audace
che intride i suoi occhi
da una terra all’altra,
che m’incendia
da una duna all’altra,
come tu infrangi
le onde sugli scogli
per placar le braccia piene al tocco,
verso la meta a me più cara.
è gonfio il respiro e
m’accompagna in questo sogno
da raccontare al mondo.
Non vi è limite
a questa nostra passione,
sempre in movimento affonda
morbidi baci, ingordi
e divorati sulla tavola
imbandita di una notte d’amore.

Il Dispari 20220214

Il Dispari 20220214

Florilegio di versi di
Adriana Iftimie Ceroli
Presidente della Sede “Romania”
dell’Associazione
“Da Ischia L’Arte – DILA”

“Io vorrei essere corpo di rosa
bianca o rossa, vellutata,
cresciuta in giardini ombrosi
della infanzia–miracolo”.

————

Vola l’anima nei tuoi odori vivi
di terra che non c’è”.

————

Il mio nome sei tu,
cicatrice nella mia pelle bianca,
bruciato nella febbre
dei tuoi comandamenti”.

————

Andiamo via!
Questa stanza è troppo muta
ed io sono cresciuta altrove
senza tetto e pareti
e coltivavo il grano.
Portami da te,
nelle tue scordate idee
felici… scordate idee.
 
Portami sulle braccia degli alberi,
appendendomi sulle chiome
delle montagne vive,
dove niente finisce
come un monologo.”

————

Volano i miei anni
contro l’autunno tuo in cerca del volo”.

Il Dispari 20220214

Il Dispari 20220214

Il Dispari 20220207

Il Dispari 20220207

Il Dispari 20220207

Dal libro di Bruno Mancini “Per Aurora volume terzo”

La sesta firma – 10a puntata

Capitolo sesto

[—]

Ecco le birre.
Giuseppe vai alla porta.
Non ci sono per nessuno fino a nuovo ordine.
Lo so, la guerra in Iraq può fare vittime eccellenti.
Falle aspettare, o buttale giù direttamente.
Ti ricordo che il nostro amico ha ricevuto da questa Corte Suprema il titolo e gli onori di: Grande Super Guida Delle Praterie Tra l’Essere E Il Nulla.
Poi, su mia proposta il Consiglio Direttivo ha avuto il piacere di nominarlo: Cittadino Onorario Con Le Chiavi Del Regno.
Nella disponibilità che le conferisce il suo ruolo preminente, lei personalmente, la Signora, Donna Guascona, per lui amica Aurora, ha decretato di assegnare al suo DNA: Un bonus, cioè un supplemento di vita.
Infine, per la richiesta unanime di tutto il nostro popolo virtuoso, gli è stato affidato un eccezionale cimelio:
Una bacchetta da direttore d’orchestra.
Con essa, Arturo Toscanini diresse per la prima volta a New York il 13 aprile 1913 la Nona Sinfonia di Beethoven.
Nel suo resoconto sulla rappresentazione, il “New York Herald” mise il titolo: “Il Signor Toscanini, la Bacchetta Magica della Sinfonia”.
Chiaro? Non dimenticarlo mai
Che aspettino gli altri, o buttali giù.
Chiaro Pepé?»

è proprio di questo che vorrei parlarti, delle mie onorificenze.
Ho deciso di restituirle…»

Benedettooooo… prego, ti prego Benedetto, due birre super popolari iper ghiacciate senza bicchieri, le beviamo con il collo nella bocca, ah ah ah, lui è un gran mattacchione, trova sempre il modo di mettermi allegria, scherza anche sui nostri doni.
Sì… vuole rinunziare!
Ditemi signor Bruno, ho capito bene? è una burla.»

Petrus mi sono innamorato.»

Non è il caso di continuare a prendermi in giro, signor Bruno, le birre passano in un sorso. Ah ah ah.»

Di una donna.»

è meno grave, una sola è sopportabile. Ah ah ah.
Benedetto, pazienza, per carità Benedetto, fai portare due casse di birre dal frigorifero polare, una per me, misero miscredente, e l’altra per lui, scherzoso innamorato. Ah ah ah.»

Di Gilda.»

Gilda?

Gilda la rossa d’Ischia?»

Sì, lei.»

NO!!!!!!»

Perché tanto stupore?
è la prima volta che ti vedo sputare un goccio di birra.
Improvvisamente hai cambiato completamente colorito.
Un secondo fa eri allegro ora sembri terrorizzato.
Gilda, sì Gilda la rossa di Via Colonna, ci vogliamo sposare.
Che c’è di così strano ed allarmante? Sei sbiancato. Per lei voglio restituire i titoli e le onorificenze che mi avete elargito con tanta affettuosa magnanimità.
Non mi sembra giusto beneficiare da solo di privilegi ineguagliabili.
Lei ed io saremo un binomio indivisibile.
Né mio né suo: nostro.
Né io né lei: noi.
Come potrei custodire in segreto la bacchetta magica, il bonus di vita, la cittadinanza onoraria, ed il titolo di Grande Super ecc., avendo per obiettivo un rapporto paritetico e senza remore?
Voglio tornare umano tra gli umani.
Voglio, capisci?
Il mio attuale problema è come dirlo ad Aurora, senza offenderla.
Tutte le donne sono gelose e permalose.
Aurora potrebbe pensare che io voglia staccarmi dal nostro splendido sentimento amichevole, ma non è assolutamente vero.
Lei potrebbe credere che i suoi doni siano per me poca cosa, ma neanche ciò è vero.
Aurora potrebbe condannare la mia presunzione, considerarmi rimbecillito, credermi pazzo.
Ma non è vero. Niente di tutto questo è vero.
Sono solamente innamorato e voglio vivere con la mia futura sposa, Gilda, nella identica dimensione che è consentita a lei.
XYZTNOI. Coordinate spaziali XYZ, temporale T, personali NOI.
Ho bisogno di te, Petrus.
Insieme, potremo convincere Aurora del mio immutato e profondo sentimento nei suoi confronti, e dell’amore assoluto che provo per Gilda.
Mi aiuti?»

No, no, non voglio ascoltare.
Gilda… è… la figlia adottiva di Aurora.»

La… di… Aurora?
Che sai, parla.»

Potessero scorticarmi beduini padani, stritolarmi gesuiti padani, bollirmi a fuoco lento pigmei padani, non dirò altro!
Non altro.
Niente.»

Aiutami, non ti ho mentito, è tutto vero.
Anche Gilda mi ha sempre amato.
Voglio sia mia per sempre.
Ti ho portato in dono un liquore preparato con limoni che ho colto con lei sull’ultimo albero del bosco d’argento.»

Limoncello?»

Lo avevi già bevuto?»

Per Bacco!
Del bosco d’argento o della cava delle ginestre?»

Del giardino di Titina.»

Proviamolo.»

Che gusto ha? Come lo trovi?»

Semplicemente squisito.»

Allora?»

Parliamone.»

Gilda è la figlioccia di Aurora?»
Non lo sapevate?
Siete pazzo, signor Bruno, ma io vi aiuto lo stesso.
Bruno, non sei folle, sei follia.»

Continua lunedì prossimo

Il Dispari 20220207

Il Dispari 20220207

https://www.emmegiischia.com/wordpress/bruno-mancini/prose/per-aurora-vol.3/

 

Michela Zanarella

torna in libreria con “Recupero dell’essenziale” – Interno Libri

Dopo il fortunato “Le parole accanto” pubblicato con Interno Poesia nel 2017, a distanza di cinque anni esatti, Michela Zanarella si presenta ai lettori con una nuova e insolita raccolta edita con Interno Libri, progetto editoriale di Interno Editoria, casa editrice che ha fondato e gestisce il marchio Interno Poesia Editore.

Recupero dell’essenziale” prende forma dal mistero delle coincidenze.

Il libro è il frutto di un recupero di poesie andate perdute, ritrovate con l’aiuto di alcuni amici dell’autrice.

La raccolta, con prefazione di Dante Maffia e postfazione di Anna Santoliquido, è dedicata all’amica Marcella Continanza, voce nota della poesia contemporanea, ideatrice del Festival della Poesia Europea di Francoforte sul Meno, scomparsa il 29 aprile 2020.

Con una scrittura densa e viva, la poetessa ci accompagna nel suo cammino di ricerca e riflessione sui grandi temi dell’esistenza fino a condurci nella dimensione del sogno, della memoria, della bellezza, in piena comunione con l’universo.

Attenta scrutatrice del mondo, Zanarella si lascia trasportare dagli elementi della natura che regolano la vita sulla terra, si pone in ascolto rivelando al lettore le infinite voci del cosmo.

Il Dispari 20220207

Il Dispari 20220207

Michela Zanarella è nata a Cittadella (PD) nel 1980.

Dal 2007 vive e lavora a Roma.

Da oltre 10 anni fa parte degli Artisti della “Tribù Made in Ischia” confluiti  nell’Associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA”.

Ha pubblicato diciassette libri.

Negli Stati Uniti è uscita in edizione inglese la raccolta tradotta da Leanne Hoppe “Meditations in the Feminine”, edita da Bordighera Press (2018).

Giornalista, collaboratrice della pagina culturale del quotidiano “Il Dispari“, è redattrice di Periodico italianoMagazine e Laici.it.

Autrice di libri di narrativa e testi per il teatro.

Le sue poesie sono state tradotte in inglese, francese, arabo, spagnolo, rumeno, serbo, greco, portoghese, hindi, cinese e giapponese.

è tra gli otto co-autori del romanzo di Federico Moccia “La ragazza di Roma Nord” edito da SEM.

Il Dispari 20220207

Il Dispari 20220207

Il Dispari 20220131

Il Dispari 20220131 – Redazione culturale DILA Il Dispari 20220131

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Dal libro di Bruno Mancini “Per Aurora volume terzo”

La sesta firma – 9a puntata

Capitolo sesto

[—]

Meno quattro.

Egli, l’Assessore Delegato, il baffo comunale, lui, sempre pronto ad ascoltare le esigenze di tutti i grandi elettori, i bisogni, le attese, le speranze, le critiche, le malefatte, le elargizioni, le risse, gli imbrogli, dei concittadini democristiani ed ex democristiani, per poi offrire a ciascuno una soluzione, un compromesso, un contributo, una presenza, una delibera, una provvidenziale dimenticanza, e pronto anche a mostrare attenzione per la stessa serie di… (che per incredibile bontà non ripeto) segnalata, alla sua attenta autorità, da parte di popolani non amati in quanto infedeli (sia ex democristiani sia non ex democristiani, comunque appartenenti ad una diversa corrente politica).

In questo caso non specifico “per offrire ecc.”  poiché a costoro più che l’orecchio non metteva a disposizione altro, ascoltava sopportava e basta.

L’Assessore Delegato, il baffo comunale, lui, il Consigliere a vita, l’uditore finto semi sordo, lesto ad intervenire in tutte le occasioni di felici incontri (ignobili mostre pseudo artistiche e funerali di criminali compresi), porse la penna stilografica delle cerimonie ufficiali al testimone maschio.

L’inconfondibile figura di un mio amico la strinse fra tre dita della mano destra.

Egli, che non aveva bevuto un goccio da svariati minuti, mi rivolse un fugace sguardo d’intesa e poi subito, con la solerzia di chi vuole ritornare a situazioni meno imbarazzanti, segnò il registro scrivendo per esteso ed a chiare lettere con caratteri stampatello, soltanto il proprio nome “PETRUS”.

In quei gesti asciutti e decisi, rividi l’uguale complicità della sua accorata partecipazione nel giorno in cui, deciso a compiere il grande passo, avevo bussato all’ingresso che lui custodiva, ed essi mi parvero suggerire d’avviare la riproduzione mentale di quel nostro ultimo incontro:

Signor Bruno, finalmente, e tanto che non ci vediamo.
Posso offrire una birra?
Prego entrate.
Super popolare ghiacciata?»

Grazie Petrus, la tua accoglienza è sempre emozionante.
Come stai?
Bevi anche tu con me?
Sono venuto senza avvisare.
C’è Aurora?»

Come potrebbe mancare, la Signora c’è sempre.
Giorno e notte, estate ed inverno, primavera, autunno, anni bisestili e giorni di eclissi compresi. Dall’era antidiluviana alla futura apocalisse, ogni ora, minuto, istante, per tutti, bestiole comprese.
La chiamo?»

Facciamo prima due chiacchiere.
Ti va?»

Certo, accomodiamoci nel salone di ricevimento.»

Mi ero sentito perfettamente a mio agio durante il breve tragitto che avevamo effettuato per raggiungere la sala ove avevamo avuto modo di intrattenerci in molte delle precedenti occasioni.

In essa, il lampadario a cinquanta bracci, soffiato a Murano nei primi anni del dopo guerra mescolando sabbia e petrolio, troneggiava ancora, aprendo la porta, riflesso in uno specchio, irregolare, ambrato. Gigantesco padrone assoluto dell’intera parete frontale.

Sul lato destro entrando, al centro di rustiche grotte dei desideri, sbalzava, identica al mio ricordo, la chitarra rossa d’Elvis con nel bordo basso, annodati tra i rami di una ginestra (ginestra, fiore amato dalla mia donna), trecento quasi invisibili ciondoli: ricordi di melodie assimilate in altri luoghi ed in altri tempi.

Ero di nuovo lì dove, il giorno prima del mio ultimo ritorno ad Ischia, mi erano stati consegnati magnifici doni per aver scoperto un errore gestionale che avrebbe potuto compromettere la dignità della mia Amica.

Petrus, mostrandomi il luogo dove era ubicata la pedana musicale, tra il rotondo divano nero contornato da cuscini lucidi di pelle di pantera e le piccole anse ricavate sul lato del banco bar, disse:

Mancano i nostri due amici.
Gli inseparabili cari compagni.
Uniti nella naturalezza di un tenero sentimento, più innamorati di mai, hanno sempre creato atmosfere musicali difficili da dimenticare.
Lui, con l’immancabile ginestra al bavero, e lei con l’identico inseparabile ventaglio giapponese a stecche di bambù che agitava nel giorno del loro ricongiungimento.
I loro posti li abbiamo lasciati vacanti, formulando in tal modo l’augurante presagio di un imminente ritorno.
Per evitare sconvenienti sensazioni di vuoto abbiamo mascherato l’angolo, come si vede, mediante la parete semitrasparente composta da un filare di fiori di ginestre frammisti a canne di bambù.»

Continua lunedì prossimo

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Il Dispari 20220131 – Redazione culturale DILA Il Dispari 20220131

Il Dispari 20220131 – Redazione culturale DILA Il Dispari 20220131

 

Liga Lapinska intervista Angela Maria Tiberi

«Scrivo le mie esperienze perché ci fanno crescere spiritualmente.»

Liga Sarah: «Come hai iniziato a scrivere e quali argomenti ti sono più vicini?

Scrivi spesso di te stessa?
Scrivi della solitudine essenziale e dei problemi quotidiani nella nostra società?
Scrivi anche drammi e romanzi?»

Angela Maria: «Ho Iniziato a scrivere a quindici anni fa, per uscire dalla depressione che mi toglieva la gioia di vivere a causa del lutto di mio padre e di mio nipote morto a trent’anni.
Argomenti a me più vicini sono l’amore tradito e la lussuria, l’eros e l’amore universale.
Scrivo le mie esperienze perché ci fanno crescere spiritualmente.
Non dimentico di essere anche testimone del mio tempo, sia politicamente sia socialmente.
Mi dedico alla prosa breve e non ho scritto finora romanzi perché non mi attraggono.»

Liga Sarah: «Dimmi a quale competizione sei stata più contenta di vincere o partecipare?»

Angela Maria: «Vincere fa sempre piacere e ho vinto oltre 270 premi e riconoscimenti.
Partecipare alle antologie con premi fa sempre piacere.»

Liga Sarah: «Preferisci le interviste scritte o la conversazione diretta con l’intervistato?»

Angela Maria: «Entrambe perché esiste il dialogo»

Liga Sarah: «Ti senti scrittrice, combattente, oppure semplicemente Angela Maria Tiberi?»

Angela Maria: «Mi sento un essere umano che ha ricevuto diversi tradimenti, ma io ho sempre risposto amando il nemico traditore.
Sono una combattente coraggiosa e spirituale.
Sono orgogliosa del mio nome Tiberi perché ho il nome di un eroe morto in Gondar Etiopia per salvare i suoi compagni militari all’età di trentasette anni. Morì dissanguato per le frecce degli indigeni etiopi e le sue ceneri si trovano ad Adis Abeba insieme agli altri militari italiani per la conquista dell’Africa Abissinia.
Sono contro le guerre e amo l’umanità e la pace.»

Liga Sarah: «Hai viaggiato molto nella tua vita e sei soddisfatta di essere nata e di vivere in Italia?»

Angela Maria: «Ho viaggiato molto: Canada, NewYork, Boston, Grecia, Tunisia, Marocco, Spagna Andalusia, Tenerif, Casablanca, Portogallo, Gibilterra, Tunisia, Parigi, Corsica, Croazia, Slovenia, Nizza, Montecarlo, Genova; Milano, Firenze, Napoli, Catanzaro, Salerno, costa amalfitana, Palermo, Siracusa, Catania, Messina, Reggio Calabria, San Marino, Riccione, Ferrara, Modena , Mantova, Cagliari, Oristano, Lecce, Bari, Taranto, Matera, Avellino e provincia, Frosinone, Roma, Arezzo, Lucca, Terni, Livorno. Sono orgogliosa di essere italiana e amo specialmente Roma,
Latina, Sermoneta, Sezze, Norma, Terracina, Gaeta, Sperlonga, Aprilia, Cisterna.»

Liga Sarah: «Cosa ti fa sopportare le difficoltà e da dove attingi energia?»

Angela Maria: «L’amore è la migliore energia della sopravvivenza umana.»

Liga Sarah: «Cosa pensi sia l’amore?»

Angela Maria: «L’amore e la Fede sono elementi importanti della vita oltre la logica.»

Liga Sarah: «Quale ruolo ricopri nell’Associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA?»

Angela Maria: «Faccio parte dell’Associazione DILA da molti e attualmente sono Presidente della Sede operativa operante della Nazione Italia.».

Liga Sarah: «I tuoi auguri ai nostri lettori!»

Angela Maria: «Faccio gli auguri a miei lettori di trovare l’amore universale e la pace fra i popoli e famiglia.»

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Il Dispari 20220207 – Redazione culturale DILA

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Dal libro di Bruno Mancini “Per Aurora volume terzo”

La sesta firma – 10a puntata

Capitolo sesto

[—]

Ecco le birre.
Giuseppe vai alla porta.
Non ci sono per nessuno fino a nuovo ordine.
Lo so, la guerra in Iraq può fare vittime eccellenti.
Falle aspettare, o buttale giù direttamente.
Ti ricordo che il nostro amico ha ricevuto da questa Corte Suprema il titolo e gli onori di: Grande Super Guida Delle Praterie Tra l’Essere E Il Nulla.
Poi, su mia proposta il Consiglio Direttivo ha avuto il piacere di nominarlo: Cittadino Onorario Con Le Chiavi Del Regno.
Nella disponibilità che le conferisce il suo ruolo preminente, lei personalmente, la Signora, Donna Guascona, per lui amica Aurora, ha decretato di assegnare al suo DNA: Un bonus, cioè un supplemento di vita.
Infine, per la richiesta unanime di tutto il nostro popolo virtuoso, gli è stato affidato un eccezionale cimelio:
Una bacchetta da direttore d’orchestra.
Con essa, Arturo Toscanini diresse per la prima volta a New York il 13 aprile 1913 la Nona Sinfonia di Beethoven.
Nel suo resoconto sulla rappresentazione, il “New York Herald” mise il titolo: “Il Signor Toscanini, la Bacchetta Magica della Sinfonia”.
Chiaro? Non dimenticarlo mai
Che aspettino gli altri, o buttali giù.
Chiaro Pepé?»

è proprio di questo che vorrei parlarti, delle mie onorificenze.
Ho deciso di restituirle…»

Benedettooooo… prego, ti prego Benedetto, due birre super popolari iper ghiacciate senza bicchieri, le beviamo con il collo nella bocca, ah ah ah, lui è un gran mattacchione, trova sempre il modo di mettermi allegria, scherza anche sui nostri doni.
Sì… vuole rinunziare!
Ditemi signor Bruno, ho capito bene? è una burla.»

Petrus mi sono innamorato.»

Non è il caso di continuare a prendermi in giro, signor Bruno, le birre passano in un sorso. Ah ah ah.»

Di una donna.»

è meno grave, una sola è sopportabile. Ah ah ah.
Benedetto, pazienza, per carità Benedetto, fai portare due casse di birre dal frigorifero polare, una per me, misero miscredente, e l’altra per lui, scherzoso innamorato. Ah ah ah.»

Di Gilda.»

Gilda?

Gilda la rossa d’Ischia?»

Sì, lei.»

NO!!!!!!»

Perché tanto stupore?
è la prima volta che ti vedo sputare un goccio di birra.
Improvvisamente hai cambiato completamente colorito.
Un secondo fa eri allegro ora sembri terrorizzato.
Gilda, sì Gilda la rossa di Via Colonna, ci vogliamo sposare.
Che c’è di così strano ed allarmante? Sei sbiancato. Per lei voglio restituire i titoli e le onorificenze che mi avete elargito con tanta affettuosa magnanimità.
Non mi sembra giusto beneficiare da solo di privilegi ineguagliabili.
Lei ed io saremo un binomio indivisibile.
Né mio né suo: nostro.
Né io né lei: noi.
Come potrei custodire in segreto la bacchetta magica, il bonus di vita, la cittadinanza onoraria, ed il titolo di Grande Super ecc., avendo per obiettivo un rapporto paritetico e senza remore?
Voglio tornare umano tra gli umani.
Voglio, capisci?
Il mio attuale problema è come dirlo ad Aurora, senza offenderla.
Tutte le donne sono gelose e permalose.
Aurora potrebbe pensare che io voglia staccarmi dal nostro splendido sentimento amichevole, ma non è assolutamente vero.
Lei potrebbe credere che i suoi doni siano per me poca cosa, ma neanche ciò è vero.
Aurora potrebbe condannare la mia presunzione, considerarmi rimbecillito, credermi pazzo.
Ma non è vero. Niente di tutto questo è vero.
Sono solamente innamorato e voglio vivere con la mia futura sposa, Gilda, nella identica dimensione che è consentita a lei.
XYZTNOI. Coordinate spaziali XYZ, temporale T, personali NOI.
Ho bisogno di te, Petrus.
Insieme, potremo convincere Aurora del mio immutato e profondo sentimento nei suoi confronti, e dell’amore assoluto che provo per Gilda.
Mi aiuti?»

No, no, non voglio ascoltare.
Gilda… è… la figlia adottiva di Aurora.»

La… di… Aurora?
Che sai, parla.»

Potessero scorticarmi beduini padani, stritolarmi gesuiti padani, bollirmi a fuoco lento pigmei padani, non dirò altro!
Non altro.
Niente.»

Aiutami, non ti ho mentito, è tutto vero.
Anche Gilda mi ha sempre amato.
Voglio sia mia per sempre.
Ti ho portato in dono un liquore preparato con limoni che ho colto con lei sull’ultimo albero del bosco d’argento.»

Limoncello?»

Lo avevi già bevuto?»

Per Bacco!
Del bosco d’argento o della cava delle ginestre?»

Del giardino di Titina.»

Proviamolo.»

Che gusto ha? Come lo trovi?»

Semplicemente squisito.»

Allora?»

Parliamone.»

Gilda è la figlioccia di Aurora?»
Non lo sapevate?
Siete pazzo, signor Bruno, ma io vi aiuto lo stesso.
Bruno, non sei folle, sei follia.»

Continua lunedì prossimo

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Michela Zanarella

torna in libreria con “Recupero dell’essenziale” – Interno Libri

Dopo il fortunato “Le parole accanto” pubblicato con Interno Poesia nel 2017, a distanza di cinque anni esatti, Michela Zanarella si presenta ai lettori con una nuova e insolita raccolta edita con Interno Libri, progetto editoriale di Interno Editoria, casa editrice che ha fondato e gestisce il marchio Interno Poesia Editore.

Recupero dell’essenziale” prende forma dal mistero delle coincidenze.

Il libro è il frutto di un recupero di poesie andate perdute, ritrovate con l’aiuto di alcuni amici dell’autrice.

La raccolta, con prefazione di Dante Maffia e postfazione di Anna Santoliquido, è dedicata all’amica Marcella Continanza, voce nota della poesia contemporanea, ideatrice del Festival della Poesia Europea di Francoforte sul Meno, scomparsa il 29 aprile 2020.

Con una scrittura densa e viva, la poetessa ci accompagna nel suo cammino di ricerca e riflessione sui grandi temi dell’esistenza fino a condurci nella dimensione del sogno, della memoria, della bellezza, in piena comunione con l’universo.

Attenta scrutatrice del mondo, Zanarella si lascia trasportare dagli elementi della natura che regolano la vita sulla terra, si pone in ascolto rivelando al lettore le infinite voci del cosmo.

Il Dispari 20220207

Il Dispari 20220207

Michela Zanarella è nata a Cittadella (PD) nel 1980.

Dal 2007 vive e lavora a Roma.

Da oltre 10 anni fa parte degli Artisti della “Tribù Made in Ischia” confluiti  nell’Associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA”.

Ha pubblicato diciassette libri.

Negli Stati Uniti è uscita in edizione inglese la raccolta tradotta da Leanne Hoppe “Meditations in the Feminine”, edita da Bordighera Press (2018).

Giornalista, collaboratrice della pagina culturale del quotidiano “Il Dispari“, è redattrice di Periodico italianoMagazine e Laici.it.

Autrice di libri di narrativa e testi per il teatro.

Le sue poesie sono state tradotte in inglese, francese, arabo, spagnolo, rumeno, serbo, greco, portoghese, hindi, cinese e giapponese.

è tra gli otto co-autori del romanzo di Federico Moccia “La ragazza di Roma Nord” edito da SEM.

Il Dispari 20220207

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Il Dispari 20220131

Il Dispari 20220131 – Redazione culturale DILA Il Dispari 20220131

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Dal libro di Bruno Mancini “Per Aurora volume terzo”

La sesta firma – 9a puntata

Capitolo sesto

[—]

Meno quattro.

Egli, l’Assessore Delegato, il baffo comunale, lui, sempre pronto ad ascoltare le esigenze di tutti i grandi elettori, i bisogni, le attese, le speranze, le critiche, le malefatte, le elargizioni, le risse, gli imbrogli, dei concittadini democristiani ed ex democristiani, per poi offrire a ciascuno una soluzione, un compromesso, un contributo, una presenza, una delibera, una provvidenziale dimenticanza, e pronto anche a mostrare attenzione per la stessa serie di… (che per incredibile bontà non ripeto) segnalata, alla sua attenta autorità, da parte di popolani non amati in quanto infedeli (sia ex democristiani sia non ex democristiani, comunque appartenenti ad una diversa corrente politica).

In questo caso non specifico “per offrire ecc.”  poiché a costoro più che l’orecchio non metteva a disposizione altro, ascoltava sopportava e basta.

L’Assessore Delegato, il baffo comunale, lui, il Consigliere a vita, l’uditore finto semi sordo, lesto ad intervenire in tutte le occasioni di felici incontri (ignobili mostre pseudo artistiche e funerali di criminali compresi), porse la penna stilografica delle cerimonie ufficiali al testimone maschio.

L’inconfondibile figura di un mio amico la strinse fra tre dita della mano destra.

Egli, che non aveva bevuto un goccio da svariati minuti, mi rivolse un fugace sguardo d’intesa e poi subito, con la solerzia di chi vuole ritornare a situazioni meno imbarazzanti, segnò il registro scrivendo per esteso ed a chiare lettere con caratteri stampatello, soltanto il proprio nome “PETRUS”.

In quei gesti asciutti e decisi, rividi l’uguale complicità della sua accorata partecipazione nel giorno in cui, deciso a compiere il grande passo, avevo bussato all’ingresso che lui custodiva, ed essi mi parvero suggerire d’avviare la riproduzione mentale di quel nostro ultimo incontro:

Signor Bruno, finalmente, e tanto che non ci vediamo.
Posso offrire una birra?
Prego entrate.
Super popolare ghiacciata?»

Grazie Petrus, la tua accoglienza è sempre emozionante.
Come stai?
Bevi anche tu con me?
Sono venuto senza avvisare.
C’è Aurora?»

Come potrebbe mancare, la Signora c’è sempre.
Giorno e notte, estate ed inverno, primavera, autunno, anni bisestili e giorni di eclissi compresi. Dall’era antidiluviana alla futura apocalisse, ogni ora, minuto, istante, per tutti, bestiole comprese.
La chiamo?»

Facciamo prima due chiacchiere.
Ti va?»

Certo, accomodiamoci nel salone di ricevimento.»

Mi ero sentito perfettamente a mio agio durante il breve tragitto che avevamo effettuato per raggiungere la sala ove avevamo avuto modo di intrattenerci in molte delle precedenti occasioni.

In essa, il lampadario a cinquanta bracci, soffiato a Murano nei primi anni del dopo guerra mescolando sabbia e petrolio, troneggiava ancora, aprendo la porta, riflesso in uno specchio, irregolare, ambrato. Gigantesco padrone assoluto dell’intera parete frontale.

Sul lato destro entrando, al centro di rustiche grotte dei desideri, sbalzava, identica al mio ricordo, la chitarra rossa d’Elvis con nel bordo basso, annodati tra i rami di una ginestra (ginestra, fiore amato dalla mia donna), trecento quasi invisibili ciondoli: ricordi di melodie assimilate in altri luoghi ed in altri tempi.

Ero di nuovo lì dove, il giorno prima del mio ultimo ritorno ad Ischia, mi erano stati consegnati magnifici doni per aver scoperto un errore gestionale che avrebbe potuto compromettere la dignità della mia Amica.

Petrus, mostrandomi il luogo dove era ubicata la pedana musicale, tra il rotondo divano nero contornato da cuscini lucidi di pelle di pantera e le piccole anse ricavate sul lato del banco bar, disse:

Mancano i nostri due amici.
Gli inseparabili cari compagni.
Uniti nella naturalezza di un tenero sentimento, più innamorati di mai, hanno sempre creato atmosfere musicali difficili da dimenticare.
Lui, con l’immancabile ginestra al bavero, e lei con l’identico inseparabile ventaglio giapponese a stecche di bambù che agitava nel giorno del loro ricongiungimento.
I loro posti li abbiamo lasciati vacanti, formulando in tal modo l’augurante presagio di un imminente ritorno.
Per evitare sconvenienti sensazioni di vuoto abbiamo mascherato l’angolo, come si vede, mediante la parete semitrasparente composta da un filare di fiori di ginestre frammisti a canne di bambù.»

Continua lunedì prossimo

https://www.emmegiischia.com/wordpress/bruno-mancini/prose/per-aurora-vol.3/

Il Dispari 20220131 – Redazione culturale DILA Il Dispari 20220131

Il Dispari 20220131 – Redazione culturale DILA Il Dispari 20220131

 

Liga Lapinska intervista Angela Maria Tiberi

«Scrivo le mie esperienze perché ci fanno crescere spiritualmente.»

Liga Sarah: «Come hai iniziato a scrivere e quali argomenti ti sono più vicini?

Scrivi spesso di te stessa?
Scrivi della solitudine essenziale e dei problemi quotidiani nella nostra società?
Scrivi anche drammi e romanzi?»

Angela Maria: «Ho Iniziato a scrivere a quindici anni fa, per uscire dalla depressione che mi toglieva la gioia di vivere a causa del lutto di mio padre e di mio nipote morto a trent’anni.
Argomenti a me più vicini sono l’amore tradito e la lussuria, l’eros e l’amore universale.
Scrivo le mie esperienze perché ci fanno crescere spiritualmente.
Non dimentico di essere anche testimone del mio tempo, sia politicamente sia socialmente.
Mi dedico alla prosa breve e non ho scritto finora romanzi perché non mi attraggono.»

Liga Sarah: «Dimmi a quale competizione sei stata più contenta di vincere o partecipare?»

Angela Maria: «Vincere fa sempre piacere e ho vinto oltre 270 premi e riconoscimenti.
Partecipare alle antologie con premi fa sempre piacere.»

Liga Sarah: «Preferisci le interviste scritte o la conversazione diretta con l’intervistato?»

Angela Maria: «Entrambe perché esiste il dialogo»

Liga Sarah: «Ti senti scrittrice, combattente, oppure semplicemente Angela Maria Tiberi?»

Angela Maria: «Mi sento un essere umano che ha ricevuto diversi tradimenti, ma io ho sempre risposto amando il nemico traditore.
Sono una combattente coraggiosa e spirituale.
Sono orgogliosa del mio nome Tiberi perché ho il nome di un eroe morto in Gondar Etiopia per salvare i suoi compagni militari all’età di trentasette anni. Morì dissanguato per le frecce degli indigeni etiopi e le sue ceneri si trovano ad Adis Abeba insieme agli altri militari italiani per la conquista dell’Africa Abissinia.
Sono contro le guerre e amo l’umanità e la pace.»

Liga Sarah: «Hai viaggiato molto nella tua vita e sei soddisfatta di essere nata e di vivere in Italia?»

Angela Maria: «Ho viaggiato molto: Canada, NewYork, Boston, Grecia, Tunisia, Marocco, Spagna Andalusia, Tenerif, Casablanca, Portogallo, Gibilterra, Tunisia, Parigi, Corsica, Croazia, Slovenia, Nizza, Montecarlo, Genova; Milano, Firenze, Napoli, Catanzaro, Salerno, costa amalfitana, Palermo, Siracusa, Catania, Messina, Reggio Calabria, San Marino, Riccione, Ferrara, Modena , Mantova, Cagliari, Oristano, Lecce, Bari, Taranto, Matera, Avellino e provincia, Frosinone, Roma, Arezzo, Lucca, Terni, Livorno. Sono orgogliosa di essere italiana e amo specialmente Roma,
Latina, Sermoneta, Sezze, Norma, Terracina, Gaeta, Sperlonga, Aprilia, Cisterna.»

Liga Sarah: «Cosa ti fa sopportare le difficoltà e da dove attingi energia?»

Angela Maria: «L’amore è la migliore energia della sopravvivenza umana.»

Liga Sarah: «Cosa pensi sia l’amore?»

Angela Maria: «L’amore e la Fede sono elementi importanti della vita oltre la logica.»

Liga Sarah: «Quale ruolo ricopri nell’Associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA?»

Angela Maria: «Faccio parte dell’Associazione DILA da molti e attualmente sono Presidente della Sede operativa operante della Nazione Italia.».

Liga Sarah: «I tuoi auguri ai nostri lettori!»

Angela Maria: «Faccio gli auguri a miei lettori di trovare l’amore universale e la pace fra i popoli e famiglia.»

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Il Dispari 20220124 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220124

Il Dispari 20220124 – Redazione culturale DILA

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Dal libro di Bruno Mancini “Per Aurora volume terzo”

La sesta firma – 8a puntata

Capitolo quinto

[…]

Molto probabilmente loro, gli emigranti erranti, al ritorno sull’isola compivano uguale servizio informativo per i miei familiari, i miei amici, e soprattutto per lei.

Non riuscivo ad immaginare quali novità carpissero nei fugaci incontri che ci concedevamo, né come le modellassero per renderle interessanti, ma certo ne facevano assiduo argomento lungo tutte le noiose giornate degli inverni ischitani trascorse al circolo sportivo giocando a maniglia:

Quando al Dottò gli ho confidato che è nato Isidoro, mi ha stretto il polso, fissato negli occhi e “Portami una foto. Non dirlo a nessuno. Ti prego” così ha detto “Ti prego”. Gliela porto. Me l’ha fatto giurare su mammà.»

In quegli anni di testarda determinazione, pur prestando scarsa attenzione alla cura della mia anima, compivo enormi sforzi tesi ad impedire che decelerassero gli intervalli delle pause di lavoro. Ne avevo bisogno. Esse erano necessarie a rendere accettabili le tenui ragioni in virtù delle quali riuscivo a non ribellarmi contro la serie di eventi, certamente per me spiacevoli, ma che nondimeno, se solo l’avessi voluto, sarei stato in grado di impedire anche con una semplice telefonata, un messaggio, una cartolina.

Fossi partito un anno dopo, il costo del mio dolore sarebbe stato il premio della mia attesa.

Soprattutto.

Il premio del suo dolore, la gioia della sua scelta.

Soprattutto.

Fossi partito un anno dopo, saremmo stati uniti e nostro figlio si sarebbe chiamato…

Giunse.

La telefonata con la quale Gilda accettava l’invito che le avevo scritto sul biglietto lasciato la sera prima alla cassa del bar, mi sembrò più un atto di cortesia che foriera di felici aspettative:

Disturbo? Sono Gilda.
Vado a prendere il pupo all’asilo, poi potremmo incontrarci alle giostre.
Alle cinque all’angolo della posta, va bene?»
Alle… Gilda… sì, sì va bene, benissimo…»

Tu tu tu tu…

La meraviglia per la rapidità con la quale mi aveva contattato, lo stupore per la docilità del suo seguire il mio desiderio senza porre domande, la scelta di andare in un luogo affollato dando adito a pettegolezzi, tutto ciò ed altro ancora, furono motivi che mi convinsero a credere che Gilda non aveva capito la ragione vera del mio invito.

Avvaloravo l’ipotesi che lei non aveva potuto comprendere le mie intenzioni in quanto non ero stato sufficientemente esplicito.

Esplicito?

Ammiccante.

Il Dottò vuole passare un po’ di tempo in giro prima di tornare nel castello della sua libertà.”, forse aveva pensato così.

Se il Dottò avesse una intenzione segreta non avrebbe scritto un biglietto, né tanto meno lo avrebbe consegnato aperto alla cassiera, dandole l’opportunità di leggerlo.

Uno che cerca un’amicizia più intima con una donna, non le chiede di uscire con il bambino.

Sarà in partenza per altri mille anni e vuole rinverdire ricordi passati.

Aveva ragione.
Tre, quattro, mille ragioni.
Decenni di raziocinanti eccessi, avevano inaridito finanche ogni mio elementare presupposto di comunicabilità.
Bravo!
Avevo speso gran parte della vita nella peggiore maniera.

Solo.

Solo, da solo.

Solo, da solo, senza essere solo.

Alla telefonata di Gilda seguì lo sferragliante rumore del chiavistello divenuto rugginoso per essere rimasto a lungo inutilizzato.

Geltrude, entrando con la cautela e la discrezione di chi non deve disturbare:

Dotto’ già sveglio?
Come mai?
State bene?»
Sì. Tutto a posto.
Tu sei mai stata sola?»
Dotto’ per stare soli, bisogna essere soli. Io non sono mai stata niente, figuriamoci se mi potevo permettere il lusso di essere sola.
Stare sola?
La solitudine!
Voi ve la potete permettere.
Io no.»
 

Capitolo sesto

Lunedì 12 Agosto, ore dodici, alla civile formalità giuridica del nostro matrimonio mancavano solo cinque firme.

Meno cinque.

L’Assessore Delegato, doppio petto filo di scozia blu notte spagnola, cravatta parigina fucsia con animazioni americanizzate, camicia celeste cielo di primavera inoltrata lungo il fiume Danubio, calzini bianchi dei pastori greci di capre macedoni, scarpe con tacchi cinesi lacci coreani pelli di vacche australiane ed argentine e fodere d’antichi ricami persiani, egli, L’Assessore Delegato, baffo di limitate pretese ma oggetto d’innumerevoli caricature, democristiano, ex democristiano, felice sorridente, convinto assertore dei principi fondamentali ed inalienabili del matrimonio, del divorzio, della natura, della caccia e della pesca, delle zanzare e delle zoccole (topi, ratti, pantegane) giganti e ben nutrite, delle etnie marocchine e padane, della civiltà napoletana e padana, dell’Italia e della padania, della patria unita, della patria in pezzi regionali, della patria in pezzettini provinciali, della sua personalizzata minuscola patria comunale, egli, il Celebrante la Cerimonia Civile, terminato un breve discorsetto ufficiale (bella coppia, sono certo sarà un matrimonio modell… e simili cazzate), introdusse il rito laico delle firme sul registro.

Apponendovi la propria (elaborata in una schifezza d’immenso ghirigoro geroglifico) con ostentata teatralità, non creò disagio all’istantanea apparizione del ricordo nel quale mi rivedevo il pomeriggio dell’incontro alle giostre con Gilda.

Ho impegnato un secolo per decidermi a fare il primo passo.
Senza ribellarmi ho lasciato che la nostra amicizia giovanile, il nostro affetto, la reciproca irriducibile attrazione che ci dominava, scadessero in un algido rapporto tra il “Dottò” e la padrona dell’American bar.
Ho visto il tuo ed il mio amore, come su quella giostra, girare girare girare fino a perdere il senso dell’equilibrio, e non ho porto loro una mano a sostegno.
Devo recuperare non solo il tempo perduto, ma soprattutto il coraggio di esistere.
Sposiamoci domani.
Tu sai quanto ti amo.»

Così le avevo detto nel luna park aspettando che Isidoro terminasse un giro sul trenino.

-«Mamma mamma, è bellissimo, ci sono gli indiani e Manitù.»
Vuoi fare un altro giro?
Vai.
Dai il gettone all’uomo con la divisa rossa.
Vai.»

Gilda non mi aveva chiesto dove ci saremmo sposati o dove avremmo vissuto, né chi sarebbero stati i testimoni, nessuna domanda relativa al ristorante, al viaggio di nozze, alle foto, agli invitati, bomboniere, addobbi floreali, limousine, paggi paggetti, velo velette, musica cori coretti anelli… catene.

Nulla.

Gilda aveva iniziato dicendo:
Va bene…», poi aveva atteso che il pupo fosse lontano, ed allora, guardandomi negli occhi:
E lui?»

Sarà mio figlio.»

Continua lunedì prossimo

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Il Dispari 20220124 – Redazione culturale DILA

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ARTEMENTE FLORENCE

Una stanza piena di fiori dipinti sull’armadio grigio.
Lampadario di fiori bianchi che addolcisce la tua presenza
nell’ambiente di una grande città medioevale “Firenze”.
Bell’Arno che scorre dolcemente verso il mare
come il flusso della vita che va inghiottito con la morte.
Volti sorridenti e profondi come i libri lasciati nelle stanze.
Artemente Florence è bello guardarti nello specchio della  stanza
di una porta che socchiude la tua intimità.
Vieni ed unisciti a noi per gustare queste dolci emozioni,
indelebili come il volto del nostro primo amore e del primo bacio,
colto come le primule di primavera che ricordano le lenzuola
profumate e riscaldate dal tepore della stanza, avvolgenti sulla pelle,
dopo una tempesta di tremenda pioggia notturna.

Angela Maria Tiberi
Presidente delegata Italia associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA”

Il Dispari 20220124 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220124 – Redazione culturale DILA

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DILA

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Il Dispari 20220131 – Redazione culturale DILA

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Dal libro di Bruno Mancini “Per Aurora volume terzo”

La sesta firma – 9a puntata

Capitolo sesto

[—]

Meno quattro.

Egli, l’Assessore Delegato, il baffo comunale, lui, sempre pronto ad ascoltare le esigenze di tutti i grandi elettori, i bisogni, le attese, le speranze, le critiche, le malefatte, le elargizioni, le risse, gli imbrogli, dei concittadini democristiani ed ex democristiani, per poi offrire a ciascuno una soluzione, un compromesso, un contributo, una presenza, una delibera, una provvidenziale dimenticanza, e pronto anche a mostrare attenzione per la stessa serie di… (che per incredibile bontà non ripeto) segnalata, alla sua attenta autorità, da parte di popolani non amati in quanto infedeli (sia ex democristiani sia non ex democristiani, comunque appartenenti ad una diversa corrente politica).

In questo caso non specifico “per offrire ecc.”  poiché a costoro più che l’orecchio non metteva a disposizione altro, ascoltava sopportava e basta.

L’Assessore Delegato, il baffo comunale, lui, il Consigliere a vita, l’uditore finto semi sordo, lesto ad intervenire in tutte le occasioni di felici incontri (ignobili mostre pseudo artistiche e funerali di criminali compresi), porse la penna stilografica delle cerimonie ufficiali al testimone maschio.

L’inconfondibile figura di un mio amico la strinse fra tre dita della mano destra.

Egli, che non aveva bevuto un goccio da svariati minuti, mi rivolse un fugace sguardo d’intesa e poi subito, con la solerzia di chi vuole ritornare a situazioni meno imbarazzanti, segnò il registro scrivendo per esteso ed a chiare lettere con caratteri stampatello, soltanto il proprio nome “PETRUS”.

In quei gesti asciutti e decisi, rividi l’uguale complicità della sua accorata partecipazione nel giorno in cui, deciso a compiere il grande passo, avevo bussato all’ingresso che lui custodiva, ed essi mi parvero suggerire d’avviare la riproduzione mentale di quel nostro ultimo incontro:

Signor Bruno, finalmente, e tanto che non ci vediamo.
Posso offrire una birra?
Prego entrate.
Super popolare ghiacciata?»

Grazie Petrus, la tua accoglienza è sempre emozionante.
Come stai?
Bevi anche tu con me?
Sono venuto senza avvisare.
C’è Aurora?»

Come potrebbe mancare, la Signora c’è sempre.
Giorno e notte, estate ed inverno, primavera, autunno, anni bisestili e giorni di eclissi compresi. Dall’era antidiluviana alla futura apocalisse, ogni ora, minuto, istante, per tutti, bestiole comprese.
La chiamo?»

Facciamo prima due chiacchiere.
Ti va?»

Certo, accomodiamoci nel salone di ricevimento.»

Mi ero sentito perfettamente a mio agio durante il breve tragitto che avevamo effettuato per raggiungere la sala ove avevamo avuto modo di intrattenerci in molte delle precedenti occasioni.

In essa, il lampadario a cinquanta bracci, soffiato a Murano nei primi anni del dopo guerra mescolando sabbia e petrolio, troneggiava ancora, aprendo la porta, riflesso in uno specchio, irregolare, ambrato. Gigantesco padrone assoluto dell’intera parete frontale.

Sul lato destro entrando, al centro di rustiche grotte dei desideri, sbalzava, identica al mio ricordo, la chitarra rossa d’Elvis con nel bordo basso, annodati tra i rami di una ginestra (ginestra, fiore amato dalla mia donna), trecento quasi invisibili ciondoli: ricordi di melodie assimilate in altri luoghi ed in altri tempi.

Ero di nuovo lì dove, il giorno prima del mio ultimo ritorno ad Ischia, mi erano stati consegnati magnifici doni per aver scoperto un errore gestionale che avrebbe potuto compromettere la dignità della mia Amica.

Petrus, mostrandomi il luogo dove era ubicata la pedana musicale, tra il rotondo divano nero contornato da cuscini lucidi di pelle di pantera e le piccole anse ricavate sul lato del banco bar, disse:

Mancano i nostri due amici.
Gli inseparabili cari compagni.
Uniti nella naturalezza di un tenero sentimento, più innamorati di mai, hanno sempre creato atmosfere musicali difficili da dimenticare.
Lui, con l’immancabile ginestra al bavero, e lei con l’identico inseparabile ventaglio giapponese a stecche di bambù che agitava nel giorno del loro ricongiungimento.
I loro posti li abbiamo lasciati vacanti, formulando in tal modo l’augurante presagio di un imminente ritorno.
Per evitare sconvenienti sensazioni di vuoto abbiamo mascherato l’angolo, come si vede, mediante la parete semitrasparente composta da un filare di fiori di ginestre frammisti a canne di bambù.»

Continua lunedì prossimo

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Liga Lapinska intervista Angela Maria Tiberi

«Scrivo le mie esperienze perché ci fanno crescere spiritualmente.»

Liga Sarah: «Come hai iniziato a scrivere e quali argomenti ti sono più vicini?

Scrivi spesso di te stessa?
Scrivi della solitudine essenziale e dei problemi quotidiani nella nostra società?
Scrivi anche drammi e romanzi?»

Angela Maria: «Ho Iniziato a scrivere a quindici anni fa, per uscire dalla depressione che mi toglieva la gioia di vivere a causa del lutto di mio padre e di mio nipote morto a trent’anni.
Argomenti a me più vicini sono l’amore tradito e la lussuria, l’eros e l’amore universale.
Scrivo le mie esperienze perché ci fanno crescere spiritualmente.
Non dimentico di essere anche testimone del mio tempo, sia politicamente sia socialmente.
Mi dedico alla prosa breve e non ho scritto finora romanzi perché non mi attraggono.»

Liga Sarah: «Dimmi a quale competizione sei stata più contenta di vincere o partecipare?»

Angela Maria: «Vincere fa sempre piacere e ho vinto oltre 270 premi e riconoscimenti.
Partecipare alle antologie con premi fa sempre piacere.»

Liga Sarah: «Preferisci le interviste scritte o la conversazione diretta con l’intervistato?»

Angela Maria: «Entrambe perché esiste il dialogo»

Liga Sarah: «Ti senti scrittrice, combattente, oppure semplicemente Angela Maria Tiberi?»

Angela Maria: «Mi sento un essere umano che ha ricevuto diversi tradimenti, ma io ho sempre risposto amando il nemico traditore.
Sono una combattente coraggiosa e spirituale.
Sono orgogliosa del mio nome Tiberi perché ho il nome di un eroe morto in Gondar Etiopia per salvare i suoi compagni militari all’età di trentasette anni. Morì dissanguato per le frecce degli indigeni etiopi e le sue ceneri si trovano ad Adis Abeba insieme agli altri militari italiani per la conquista dell’Africa Abissinia.
Sono contro le guerre e amo l’umanità e la pace.»

Liga Sarah: «Hai viaggiato molto nella tua vita e sei soddisfatta di essere nata e di vivere in Italia?»

Angela Maria: «Ho viaggiato molto: Canada, NewYork, Boston, Grecia, Tunisia, Marocco, Spagna Andalusia, Tenerif, Casablanca, Portogallo, Gibilterra, Tunisia, Parigi, Corsica, Croazia, Slovenia, Nizza, Montecarlo, Genova; Milano, Firenze, Napoli, Catanzaro, Salerno, costa amalfitana, Palermo, Siracusa, Catania, Messina, Reggio Calabria, San Marino, Riccione, Ferrara, Modena , Mantova, Cagliari, Oristano, Lecce, Bari, Taranto, Matera, Avellino e provincia, Frosinone, Roma, Arezzo, Lucca, Terni, Livorno. Sono orgogliosa di essere italiana e amo specialmente Roma,
Latina, Sermoneta, Sezze, Norma, Terracina, Gaeta, Sperlonga, Aprilia, Cisterna.»

Liga Sarah: «Cosa ti fa sopportare le difficoltà e da dove attingi energia?»

Angela Maria: «L’amore è la migliore energia della sopravvivenza umana.»

Liga Sarah: «Cosa pensi sia l’amore?»

Angela Maria: «L’amore e la Fede sono elementi importanti della vita oltre la logica.»

Liga Sarah: «Quale ruolo ricopri nell’Associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA?»

Angela Maria: «Faccio parte dell’Associazione DILA da molti e attualmente sono Presidente della Sede operativa operante della Nazione Italia.».

Liga Sarah: «I tuoi auguri ai nostri lettori!»

Angela Maria: «Faccio gli auguri a miei lettori di trovare l’amore universale e la pace fra i popoli e famiglia.»

Il Dispari 20220131 – Redazione culturale DILA  Il Dispari 20220131

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Il Dispari 20220131 – Redazione culturale DILA  Il Dispari 20220131

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Il Dispari 20220131

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Il Dispari 20220124 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220124

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Dal libro di Bruno Mancini “Per Aurora volume terzo”

La sesta firma – 8a puntata

Capitolo quinto

[…]

Molto probabilmente loro, gli emigranti erranti, al ritorno sull’isola compivano uguale servizio informativo per i miei familiari, i miei amici, e soprattutto per lei.

Non riuscivo ad immaginare quali novità carpissero nei fugaci incontri che ci concedevamo, né come le modellassero per renderle interessanti, ma certo ne facevano assiduo argomento lungo tutte le noiose giornate degli inverni ischitani trascorse al circolo sportivo giocando a maniglia:

Quando al Dottò gli ho confidato che è nato Isidoro, mi ha stretto il polso, fissato negli occhi e “Portami una foto. Non dirlo a nessuno. Ti prego” così ha detto “Ti prego”. Gliela porto. Me l’ha fatto giurare su mammà.»

In quegli anni di testarda determinazione, pur prestando scarsa attenzione alla cura della mia anima, compivo enormi sforzi tesi ad impedire che decelerassero gli intervalli delle pause di lavoro. Ne avevo bisogno. Esse erano necessarie a rendere accettabili le tenui ragioni in virtù delle quali riuscivo a non ribellarmi contro la serie di eventi, certamente per me spiacevoli, ma che nondimeno, se solo l’avessi voluto, sarei stato in grado di impedire anche con una semplice telefonata, un messaggio, una cartolina.

Fossi partito un anno dopo, il costo del mio dolore sarebbe stato il premio della mia attesa.

Soprattutto.

Il premio del suo dolore, la gioia della sua scelta.

Soprattutto.

Fossi partito un anno dopo, saremmo stati uniti e nostro figlio si sarebbe chiamato…

Giunse.

La telefonata con la quale Gilda accettava l’invito che le avevo scritto sul biglietto lasciato la sera prima alla cassa del bar, mi sembrò più un atto di cortesia che foriera di felici aspettative:

Disturbo? Sono Gilda.
Vado a prendere il pupo all’asilo, poi potremmo incontrarci alle giostre.
Alle cinque all’angolo della posta, va bene?»
Alle… Gilda… sì, sì va bene, benissimo…»

Tu tu tu tu…

La meraviglia per la rapidità con la quale mi aveva contattato, lo stupore per la docilità del suo seguire il mio desiderio senza porre domande, la scelta di andare in un luogo affollato dando adito a pettegolezzi, tutto ciò ed altro ancora, furono motivi che mi convinsero a credere che Gilda non aveva capito la ragione vera del mio invito.

Avvaloravo l’ipotesi che lei non aveva potuto comprendere le mie intenzioni in quanto non ero stato sufficientemente esplicito.

Esplicito?

Ammiccante.

Il Dottò vuole passare un po’ di tempo in giro prima di tornare nel castello della sua libertà.”, forse aveva pensato così.

Se il Dottò avesse una intenzione segreta non avrebbe scritto un biglietto, né tanto meno lo avrebbe consegnato aperto alla cassiera, dandole l’opportunità di leggerlo.

Uno che cerca un’amicizia più intima con una donna, non le chiede di uscire con il bambino.

Sarà in partenza per altri mille anni e vuole rinverdire ricordi passati.

Aveva ragione.
Tre, quattro, mille ragioni.
Decenni di raziocinanti eccessi, avevano inaridito finanche ogni mio elementare presupposto di comunicabilità.
Bravo!
Avevo speso gran parte della vita nella peggiore maniera.

Solo.

Solo, da solo.

Solo, da solo, senza essere solo.

Alla telefonata di Gilda seguì lo sferragliante rumore del chiavistello divenuto rugginoso per essere rimasto a lungo inutilizzato.

Geltrude, entrando con la cautela e la discrezione di chi non deve disturbare:

Dotto’ già sveglio?
Come mai?
State bene?»
Sì. Tutto a posto.
Tu sei mai stata sola?»
Dotto’ per stare soli, bisogna essere soli. Io non sono mai stata niente, figuriamoci se mi potevo permettere il lusso di essere sola.
Stare sola?
La solitudine!
Voi ve la potete permettere.
Io no.»
 

Capitolo sesto

Lunedì 12 Agosto, ore dodici, alla civile formalità giuridica del nostro matrimonio mancavano solo cinque firme.

Meno cinque.

L’Assessore Delegato, doppio petto filo di scozia blu notte spagnola, cravatta parigina fucsia con animazioni americanizzate, camicia celeste cielo di primavera inoltrata lungo il fiume Danubio, calzini bianchi dei pastori greci di capre macedoni, scarpe con tacchi cinesi lacci coreani pelli di vacche australiane ed argentine e fodere d’antichi ricami persiani, egli, L’Assessore Delegato, baffo di limitate pretese ma oggetto d’innumerevoli caricature, democristiano, ex democristiano, felice sorridente, convinto assertore dei principi fondamentali ed inalienabili del matrimonio, del divorzio, della natura, della caccia e della pesca, delle zanzare e delle zoccole (topi, ratti, pantegane) giganti e ben nutrite, delle etnie marocchine e padane, della civiltà napoletana e padana, dell’Italia e della padania, della patria unita, della patria in pezzi regionali, della patria in pezzettini provinciali, della sua personalizzata minuscola patria comunale, egli, il Celebrante la Cerimonia Civile, terminato un breve discorsetto ufficiale (bella coppia, sono certo sarà un matrimonio modell… e simili cazzate), introdusse il rito laico delle firme sul registro.

Apponendovi la propria (elaborata in una schifezza d’immenso ghirigoro geroglifico) con ostentata teatralità, non creò disagio all’istantanea apparizione del ricordo nel quale mi rivedevo il pomeriggio dell’incontro alle giostre con Gilda.

Ho impegnato un secolo per decidermi a fare il primo passo.
Senza ribellarmi ho lasciato che la nostra amicizia giovanile, il nostro affetto, la reciproca irriducibile attrazione che ci dominava, scadessero in un algido rapporto tra il “Dottò” e la padrona dell’American bar.
Ho visto il tuo ed il mio amore, come su quella giostra, girare girare girare fino a perdere il senso dell’equilibrio, e non ho porto loro una mano a sostegno.
Devo recuperare non solo il tempo perduto, ma soprattutto il coraggio di esistere.
Sposiamoci domani.
Tu sai quanto ti amo.»

Così le avevo detto nel luna park aspettando che Isidoro terminasse un giro sul trenino.

-«Mamma mamma, è bellissimo, ci sono gli indiani e Manitù.»
Vuoi fare un altro giro?
Vai.
Dai il gettone all’uomo con la divisa rossa.
Vai.»

Gilda non mi aveva chiesto dove ci saremmo sposati o dove avremmo vissuto, né chi sarebbero stati i testimoni, nessuna domanda relativa al ristorante, al viaggio di nozze, alle foto, agli invitati, bomboniere, addobbi floreali, limousine, paggi paggetti, velo velette, musica cori coretti anelli… catene.

Nulla.

Gilda aveva iniziato dicendo:
Va bene…», poi aveva atteso che il pupo fosse lontano, ed allora, guardandomi negli occhi:
E lui?»

Sarà mio figlio.»

Continua lunedì prossimo

https://www.emmegiischia.com/wordpress/bruno-mancini/prose/per-aurora-vol.3/

Il Dispari 20220124 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220124 – Redazione culturale DILA

ARTEMENTE FLORENCE

Una stanza piena di fiori dipinti sull’armadio grigio.
Lampadario di fiori bianchi che addolcisce la tua presenza
nell’ambiente di una grande città medioevale “Firenze”.
Bell’Arno che scorre dolcemente verso il mare
come il flusso della vita che va inghiottito con la morte.
Volti sorridenti e profondi come i libri lasciati nelle stanze.
Artemente Florence è bello guardarti nello specchio della  stanza
di una porta che socchiude la tua intimità.
Vieni ed unisciti a noi per gustare queste dolci emozioni,
indelebili come il volto del nostro primo amore e del primo bacio,
colto come le primule di primavera che ricordano le lenzuola
profumate e riscaldate dal tepore della stanza, avvolgenti sulla pelle,
dopo una tempesta di tremenda pioggia notturna.

Angela Maria Tiberi
Presidente delegata Italia associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA”

Il Dispari 20220124 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220124 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220124 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220124 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220117 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220117

Il Dispari 20220117

Il Dispari 20220117

Dal libro di Bruno Mancini “Per Aurora volume terzo”

La sesta firma – 7a puntata

Capitolo quinto

Da quel pomeriggio di sole arrogante e di buia solitudine, nel quale neanche il pudico esplicito invito di Gilda aveva ottenuto l’effetto di distogliere il mio proposito di partenza, non ero ritornato sull’isola se non in occasione di qualche festività, e non avevo mai cercato di incontrarla.

Neppure un contatto.

Nessuna corrispondenza, né una telefonata.

Perché farlo?

L’incontro dei nostri sentimenti avrebbe avuto necessità di ulteriore maturazione, d’altre vicende, per manifestare completamente l’attrazione che ci possedeva da sempre.

Un anno… due anni… il tempo indispensabile a che la fanciulla diventasse una donna.

Ma io ero partito troppo presto.

Lasciando incustodito l’unico fiore del mio giardino.

Tuttavia, ogni volta che gli strani incroci dei flussi migratori avevano condotto un qualche nostalgico compaesano dalle mie parti, dopo i convenevoli e le informazioni sulle condizioni delle nostre famiglie, immancabilmente, egli, chiunque fosse e per qualsiasi motivo si trovasse in viaggio,  mi parlava di lei.

Voci diverse in tempi a volte molto distanti tra loro, accontentando la mia inesauribile malcelata tristezza, riuscivano a farmi rivivere un lampo dell’essenzialità che avevo abbandonato con crudele autolesionismo.

Gilda la rossa.

Ha aperto un bar, il Ruk Ruk, frigge panzarotti ed arancini a bizzeffe.»

Ha fatto i soldi, si è comprata una casa con giardino e terrazzo, sai, nel vicolo della fontana.»

La notte di San Lorenzo si sono appostati quasi tutti i suoi pretendenti, una cinquantina, sul marciapiede di fronte al Ruk Ruk per farle sapere che se avessero visto cadere una stella, lei sarebbe stato il desiderio espresso.

Senza scorno.»

è sempre più focosa e appassionata, ma continua a non volere nessuno.»

Guglielmo ‘O Stuorto le ha detto che tu hai rinnovato il contratto di lavoro per altri cinque anni, si è messa a piangere e non si è vista in giro per tre giorni.»

 

Ha cambiato tutto il locale.

Ti spiegai com’era?

Adesso, come si dice, è un locale moderno.

Niente più panzarotti, sta aperto solo di notte, ha tolte le reti e le nasse dalle pareti, tutto nuovo, lucido, americano, la musica, i liquori, le sedie alte intorno al banco, le luci nascoste sotto i tavoli e dentro le bottiglie.

C’è scritto “GILDA, AMERICAN BAR.”»

Non si vede più a fare la spesa, a sculettare sul corso, a scegliere nei negozi una tovaglia da aggiungere al corredo.

Esce la sera e ritorna all’alba.

Da casa al locale e tutto il contrario.»

è venuto uno di un altro paese, parlava italiano spagnolo, si muoveva come una femmina, aveva una voce incupita e le mani più lunghe del normale, è entrato una sera da Gilda, e il domani in piazza comprava i fiori per lei.»

Gilda ha saputo che ti avevo incontrato e mi ha chiesto se era vero che avevi firmato per altri cinque anni.

Che le dovevo dire?

Le ho risposto “è vero”.

Mi ha detto “Vieni a bere una birra al nostro addio.” Che significava? Tu lo sai?»

Quel mezzo straniero le ronza intorno senza tregua.

Si vanta di aver combattuto in Viet Nam. Mostra spesso a tutti una ferita, secondo lui provocatagli dalle schegge di una mina.»

Ha la barba su tutta la faccia, si vede solo il naso e la fronte.

A me pare drogato.»

Rosina ha detto che Carmela ha detto che lei (Gilda) ha detto a lui (lo straniero) che lui le pareva una faccia conosciuta: “I tuoi occhi li ho già visti, la tua voce la conosco, ti muovi come… “ non ha specificato il nome, ma lei, Rosina, crede che Gilda stesse pensando a te.»

L’ha messa con la pancia, sì, come si dice, l’ha incinta, e appena l’ha saputo è sparito, squagliato. Nessuno ne ha più saputo niente… mi spiace per lei, ma è un grande stronzo, fa schifo.

Nemmeno un indirizzo ha lasciato. Un numero di telefono, nulla.

Svanito come al tocco di una bacchetta magica.»

Gilda lo chiama “Il Bastardo”.»

Il pupo è biondo, si chiama Isidoro.»

Continua lunedì prossimo

https://www.emmegiischia.com/wordpress/bruno-mancini/prose/per-aurora-vol.3/

Il Dispari 20220117

Il Dispari 20220117

Liga Sarah Lapinska intervista Ajub Ibragimov,

quinto classificato alla sezione “Arti grafiche” del Premio “Otto Milioni – 2021”

D: «Come fai a creare per così tanto tempo senza perdere il tuo sogno?
“Quali emozioni per il nostro Premio Made in Ischia “Otto milioni?»
R: «La cosa più importante nelle mie opere d’arte è l’idea.
L’arte digitale e la tecnologia digitale sono come una bacchetta magica nella mia mano, che mi permette di scegliere istantaneamente i colori e trasformare il mondo in cui viviamo.
Il mio stile di vita è: mi sveglio quasi ogni mattina con un’idea di cosa posso fare oggi. Mettermi in contatto, parlare e rimanere in contatto.
Ho creato circa 1000 opere d’arte. Ho regalato la maggior parte di loro. Quando vedo un sorriso e mi rendo conto che la mia opera sia piaciuta, ho la voglia subito di regalarla.
Circa 300 delle mie opere sono nella mia galleria personale.
Se non c’è segreto e scintilla nelle nostre opere d’arte, allora non sono commuoventi e vengono rapidamente dimenticate»
Ho partecipato al Premio”Otto milioni”organizzato dall’Associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA” e io dico un grande grazie agli organizzatori invitando tutti a scrivere ancora e ancora di questo premio per non dimenticare. »
 
D: «Che cos’è il tempo?»
R: «Il tempo è un dono di Dio per noi.»

D: «Hai affrontato delle resistenze quando hai deciso di diventare un’artista?»
R: «Non ho incontrato resistenza attiva. Mio padre, che ora è morto, era un sacerdote musulmano. Secondo la religione musulmana non è permesso dipingere esseri viventi. Pertanto, mio ​​padre all’inizio non era contento della mia scelta, ma in seguito ha cercato di capirmi e mi ha persino sostenuto nello studio.»

D: «Come sei riuscito a stabilirti in Germania?»
R: «Sono in Germania da 19 anni e sto pensando di restare qui per tutta la vita.
Non appena sono arrivato, mi è stata data una casa in cui vivere e ho ricevuto assistenza medica per alleviare lo stress. Sono stato aiutato ad arrivare qui, ma mi sono impegnato molto.»

D: «Sei sempre rimasto in contatto con la tua gente nel Caucaso e con colleghi e amici in tutto il mondo?»
R: «Sono stato in contatto, in particolare, con l’artista Abu Pashaev e con il critico e storico d’arte Alvi Dakho.
In tutto il mondo, dall’India all’America, sono invitato alle mostre, ma non è possibile andare di persona ovunque.»
 
D: «Come riesci a organizzare le mostre?»
R: «A causa dei vincoli della pandemia di COVID ora è un problema organizzare mostre dal vivo. Le opere vengono toccate da adolescenti che hanno preferito quadri e grafiche a discoteche o concerti, così come da persone molto anziane che hanno desiderato guardarle.»

D: «Come vengono organizzate i master class?»
R: «Ai danzatori di lezginka viene mostrato un posto dove ballare. All’artista viene anche mostrato il suo posto per mostrare la sua maestria. Non importa quali colori sono a portata di mano in quel momento.»

D: «Quali idee hai come maestro di designi? Le tue astrazioni, così come la tua calligrafia, stanno benissimo su tessuti, costumi, tappeti, vasi, decorazioni per la casa. Ricevi suggerimenti?»
R: «L’interesse è grande e positivo. Tuttavia, nessun accordo è stato ancora raggiunto».

Il Dispari 20220117

Il Dispari 20220117

Il Dispari 20220117

Il Dispari 20220117

D: «Cosa ti dà la forza di vivere?»
R: «Possibilità di contatto e stima di creare. 
Va bene se l’artista ha la sua bottega, o almeno il suo spazio, dove può creare e sperimentare senza ostacoli. Energia e ispirazione diminuiscono nelle difficoltà della vita, così come quando non ci rendiamo più conto di ciò di cui abbiamo veramente bisogno. L’arte e la creazione sono lo stesso che l’amore.»

Il Dispari 20220117

Il Dispari 20220117

Il Dispari 20220117

Il Dispari 20220117

Il Dispari 20220117

Il Dispari 20220117

Il Dispari 20220117

Il Dispari 20220117

Il Dispari 20220117

Il Dispari 20220117

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Il Dispari 20220117

DILA

NUSIV

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Il Dispari 20220124 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220124 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220124

Il Dispari 20220124 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220124 – Redazione culturale DILA

Dal libro di Bruno Mancini “Per Aurora volume terzo”

La sesta firma – 8a puntata

Capitolo quinto

[…]

Molto probabilmente loro, gli emigranti erranti, al ritorno sull’isola compivano uguale servizio informativo per i miei familiari, i miei amici, e soprattutto per lei.

Non riuscivo ad immaginare quali novità carpissero nei fugaci incontri che ci concedevamo, né come le modellassero per renderle interessanti, ma certo ne facevano assiduo argomento lungo tutte le noiose giornate degli inverni ischitani trascorse al circolo sportivo giocando a maniglia:

Quando al Dottò gli ho confidato che è nato Isidoro, mi ha stretto il polso, fissato negli occhi e “Portami una foto. Non dirlo a nessuno. Ti prego” così ha detto “Ti prego”. Gliela porto. Me l’ha fatto giurare su mammà.»

In quegli anni di testarda determinazione, pur prestando scarsa attenzione alla cura della mia anima, compivo enormi sforzi tesi ad impedire che decelerassero gli intervalli delle pause di lavoro. Ne avevo bisogno. Esse erano necessarie a rendere accettabili le tenui ragioni in virtù delle quali riuscivo a non ribellarmi contro la serie di eventi, certamente per me spiacevoli, ma che nondimeno, se solo l’avessi voluto, sarei stato in grado di impedire anche con una semplice telefonata, un messaggio, una cartolina.

Fossi partito un anno dopo, il costo del mio dolore sarebbe stato il premio della mia attesa.

Soprattutto.

Il premio del suo dolore, la gioia della sua scelta.

Soprattutto.

Fossi partito un anno dopo, saremmo stati uniti e nostro figlio si sarebbe chiamato…

Giunse.

La telefonata con la quale Gilda accettava l’invito che le avevo scritto sul biglietto lasciato la sera prima alla cassa del bar, mi sembrò più un atto di cortesia che foriera di felici aspettative:

Disturbo? Sono Gilda.
Vado a prendere il pupo all’asilo, poi potremmo incontrarci alle giostre.
Alle cinque all’angolo della posta, va bene?»
Alle… Gilda… sì, sì va bene, benissimo…»

Tu tu tu tu…

La meraviglia per la rapidità con la quale mi aveva contattato, lo stupore per la docilità del suo seguire il mio desiderio senza porre domande, la scelta di andare in un luogo affollato dando adito a pettegolezzi, tutto ciò ed altro ancora, furono motivi che mi convinsero a credere che Gilda non aveva capito la ragione vera del mio invito.

Avvaloravo l’ipotesi che lei non aveva potuto comprendere le mie intenzioni in quanto non ero stato sufficientemente esplicito.

Esplicito?

Ammiccante.

Il Dottò vuole passare un po’ di tempo in giro prima di tornare nel castello della sua libertà.”, forse aveva pensato così.

Se il Dottò avesse una intenzione segreta non avrebbe scritto un biglietto, né tanto meno lo avrebbe consegnato aperto alla cassiera, dandole l’opportunità di leggerlo.

Uno che cerca un’amicizia più intima con una donna, non le chiede di uscire con il bambino.

Sarà in partenza per altri mille anni e vuole rinverdire ricordi passati.

Aveva ragione.
Tre, quattro, mille ragioni.
Decenni di raziocinanti eccessi, avevano inaridito finanche ogni mio elementare presupposto di comunicabilità.
Bravo!
Avevo speso gran parte della vita nella peggiore maniera.

Solo.

Solo, da solo.

Solo, da solo, senza essere solo.

Alla telefonata di Gilda seguì lo sferragliante rumore del chiavistello divenuto rugginoso per essere rimasto a lungo inutilizzato.

Geltrude, entrando con la cautela e la discrezione di chi non deve disturbare:

Dotto’ già sveglio?
Come mai?
State bene?»
Sì. Tutto a posto.
Tu sei mai stata sola?»
Dotto’ per stare soli, bisogna essere soli. Io non sono mai stata niente, figuriamoci se mi potevo permettere il lusso di essere sola.
Stare sola?
La solitudine!
Voi ve la potete permettere.
Io no.»
 

Capitolo sesto

Lunedì 12 Agosto, ore dodici, alla civile formalità giuridica del nostro matrimonio mancavano solo cinque firme.

Meno cinque.

L’Assessore Delegato, doppio petto filo di scozia blu notte spagnola, cravatta parigina fucsia con animazioni americanizzate, camicia celeste cielo di primavera inoltrata lungo il fiume Danubio, calzini bianchi dei pastori greci di capre macedoni, scarpe con tacchi cinesi lacci coreani pelli di vacche australiane ed argentine e fodere d’antichi ricami persiani, egli, L’Assessore Delegato, baffo di limitate pretese ma oggetto d’innumerevoli caricature, democristiano, ex democristiano, felice sorridente, convinto assertore dei principi fondamentali ed inalienabili del matrimonio, del divorzio, della natura, della caccia e della pesca, delle zanzare e delle zoccole (topi, ratti, pantegane) giganti e ben nutrite, delle etnie marocchine e padane, della civiltà napoletana e padana, dell’Italia e della padania, della patria unita, della patria in pezzi regionali, della patria in pezzettini provinciali, della sua personalizzata minuscola patria comunale, egli, il Celebrante la Cerimonia Civile, terminato un breve discorsetto ufficiale (bella coppia, sono certo sarà un matrimonio modell… e simili cazzate), introdusse il rito laico delle firme sul registro.

Apponendovi la propria (elaborata in una schifezza d’immenso ghirigoro geroglifico) con ostentata teatralità, non creò disagio all’istantanea apparizione del ricordo nel quale mi rivedevo il pomeriggio dell’incontro alle giostre con Gilda.

Ho impegnato un secolo per decidermi a fare il primo passo.
Senza ribellarmi ho lasciato che la nostra amicizia giovanile, il nostro affetto, la reciproca irriducibile attrazione che ci dominava, scadessero in un algido rapporto tra il “Dottò” e la padrona dell’American bar.
Ho visto il tuo ed il mio amore, come su quella giostra, girare girare girare fino a perdere il senso dell’equilibrio, e non ho porto loro una mano a sostegno.
Devo recuperare non solo il tempo perduto, ma soprattutto il coraggio di esistere.
Sposiamoci domani.
Tu sai quanto ti amo.»

Così le avevo detto nel luna park aspettando che Isidoro terminasse un giro sul trenino.

-«Mamma mamma, è bellissimo, ci sono gli indiani e Manitù.»
Vuoi fare un altro giro?
Vai.
Dai il gettone all’uomo con la divisa rossa.
Vai.»

Gilda non mi aveva chiesto dove ci saremmo sposati o dove avremmo vissuto, né chi sarebbero stati i testimoni, nessuna domanda relativa al ristorante, al viaggio di nozze, alle foto, agli invitati, bomboniere, addobbi floreali, limousine, paggi paggetti, velo velette, musica cori coretti anelli… catene.

Nulla.

Gilda aveva iniziato dicendo:
Va bene…», poi aveva atteso che il pupo fosse lontano, ed allora, guardandomi negli occhi:
E lui?»

Sarà mio figlio.»

Continua lunedì prossimo

https://www.emmegiischia.com/wordpress/bruno-mancini/prose/per-aurora-vol.3/

Il Dispari 20220124 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220124 – Redazione culturale DILA

ARTEMENTE FLORENCE

Una stanza piena di fiori dipinti sull’armadio grigio.
Lampadario di fiori bianchi che addolcisce la tua presenza
nell’ambiente di una grande città medioevale “Firenze”.
Bell’Arno che scorre dolcemente verso il mare
come il flusso della vita che va inghiottito con la morte.
Volti sorridenti e profondi come i libri lasciati nelle stanze.
Artemente Florence è bello guardarti nello specchio della  stanza
di una porta che socchiude la tua intimità.
Vieni ed unisciti a noi per gustare queste dolci emozioni,
indelebili come il volto del nostro primo amore e del primo bacio,
colto come le primule di primavera che ricordano le lenzuola
profumate e riscaldate dal tepore della stanza, avvolgenti sulla pelle,
dopo una tempesta di tremenda pioggia notturna.

Angela Maria Tiberi
Presidente delegata Italia associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA”

Il Dispari 20220124 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220124 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220124 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220124 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220117 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220117

Il Dispari 20220117

Il Dispari 20220117

Dal libro di Bruno Mancini “Per Aurora volume terzo”

La sesta firma – 7a puntata

Capitolo quinto

Da quel pomeriggio di sole arrogante e di buia solitudine, nel quale neanche il pudico esplicito invito di Gilda aveva ottenuto l’effetto di distogliere il mio proposito di partenza, non ero ritornato sull’isola se non in occasione di qualche festività, e non avevo mai cercato di incontrarla.

Neppure un contatto.

Nessuna corrispondenza, né una telefonata.

Perché farlo?

L’incontro dei nostri sentimenti avrebbe avuto necessità di ulteriore maturazione, d’altre vicende, per manifestare completamente l’attrazione che ci possedeva da sempre.

Un anno… due anni… il tempo indispensabile a che la fanciulla diventasse una donna.

Ma io ero partito troppo presto.

Lasciando incustodito l’unico fiore del mio giardino.

Tuttavia, ogni volta che gli strani incroci dei flussi migratori avevano condotto un qualche nostalgico compaesano dalle mie parti, dopo i convenevoli e le informazioni sulle condizioni delle nostre famiglie, immancabilmente, egli, chiunque fosse e per qualsiasi motivo si trovasse in viaggio,  mi parlava di lei.

Voci diverse in tempi a volte molto distanti tra loro, accontentando la mia inesauribile malcelata tristezza, riuscivano a farmi rivivere un lampo dell’essenzialità che avevo abbandonato con crudele autolesionismo.

Gilda la rossa.

Ha aperto un bar, il Ruk Ruk, frigge panzarotti ed arancini a bizzeffe.»

Ha fatto i soldi, si è comprata una casa con giardino e terrazzo, sai, nel vicolo della fontana.»

La notte di San Lorenzo si sono appostati quasi tutti i suoi pretendenti, una cinquantina, sul marciapiede di fronte al Ruk Ruk per farle sapere che se avessero visto cadere una stella, lei sarebbe stato il desiderio espresso.

Senza scorno.»

è sempre più focosa e appassionata, ma continua a non volere nessuno.»

Guglielmo ‘O Stuorto le ha detto che tu hai rinnovato il contratto di lavoro per altri cinque anni, si è messa a piangere e non si è vista in giro per tre giorni.»

 

Ha cambiato tutto il locale.

Ti spiegai com’era?

Adesso, come si dice, è un locale moderno.

Niente più panzarotti, sta aperto solo di notte, ha tolte le reti e le nasse dalle pareti, tutto nuovo, lucido, americano, la musica, i liquori, le sedie alte intorno al banco, le luci nascoste sotto i tavoli e dentro le bottiglie.

C’è scritto “GILDA, AMERICAN BAR.”»

Non si vede più a fare la spesa, a sculettare sul corso, a scegliere nei negozi una tovaglia da aggiungere al corredo.

Esce la sera e ritorna all’alba.

Da casa al locale e tutto il contrario.»

è venuto uno di un altro paese, parlava italiano spagnolo, si muoveva come una femmina, aveva una voce incupita e le mani più lunghe del normale, è entrato una sera da Gilda, e il domani in piazza comprava i fiori per lei.»

Gilda ha saputo che ti avevo incontrato e mi ha chiesto se era vero che avevi firmato per altri cinque anni.

Che le dovevo dire?

Le ho risposto “è vero”.

Mi ha detto “Vieni a bere una birra al nostro addio.” Che significava? Tu lo sai?»

Quel mezzo straniero le ronza intorno senza tregua.

Si vanta di aver combattuto in Viet Nam. Mostra spesso a tutti una ferita, secondo lui provocatagli dalle schegge di una mina.»

Ha la barba su tutta la faccia, si vede solo il naso e la fronte.

A me pare drogato.»

Rosina ha detto che Carmela ha detto che lei (Gilda) ha detto a lui (lo straniero) che lui le pareva una faccia conosciuta: “I tuoi occhi li ho già visti, la tua voce la conosco, ti muovi come… “ non ha specificato il nome, ma lei, Rosina, crede che Gilda stesse pensando a te.»

L’ha messa con la pancia, sì, come si dice, l’ha incinta, e appena l’ha saputo è sparito, squagliato. Nessuno ne ha più saputo niente… mi spiace per lei, ma è un grande stronzo, fa schifo.

Nemmeno un indirizzo ha lasciato. Un numero di telefono, nulla.

Svanito come al tocco di una bacchetta magica.»

Gilda lo chiama “Il Bastardo”.»

Il pupo è biondo, si chiama Isidoro.»

Continua lunedì prossimo

https://www.emmegiischia.com/wordpress/bruno-mancini/prose/per-aurora-vol.3/

Il Dispari 20220117

Il Dispari 20220117

Liga Sarah Lapinska intervista Ajub Ibragimov,

quinto classificato alla sezione “Arti grafiche” del Premio “Otto Milioni – 2021”

D: «Come fai a creare per così tanto tempo senza perdere il tuo sogno?
“Quali emozioni per il nostro Premio Made in Ischia “Otto milioni?»
R: «La cosa più importante nelle mie opere d’arte è l’idea.
L’arte digitale e la tecnologia digitale sono come una bacchetta magica nella mia mano, che mi permette di scegliere istantaneamente i colori e trasformare il mondo in cui viviamo.
Il mio stile di vita è: mi sveglio quasi ogni mattina con un’idea di cosa posso fare oggi. Mettermi in contatto, parlare e rimanere in contatto.
Ho creato circa 1000 opere d’arte. Ho regalato la maggior parte di loro. Quando vedo un sorriso e mi rendo conto che la mia opera sia piaciuta, ho la voglia subito di regalarla.
Circa 300 delle mie opere sono nella mia galleria personale.
Se non c’è segreto e scintilla nelle nostre opere d’arte, allora non sono commuoventi e vengono rapidamente dimenticate»
Ho partecipato al Premio”Otto milioni”organizzato dall’Associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA” e io dico un grande grazie agli organizzatori invitando tutti a scrivere ancora e ancora di questo premio per non dimenticare. »
 
D: «Che cos’è il tempo?»
R: «Il tempo è un dono di Dio per noi.»

D: «Hai affrontato delle resistenze quando hai deciso di diventare un’artista?»
R: «Non ho incontrato resistenza attiva. Mio padre, che ora è morto, era un sacerdote musulmano. Secondo la religione musulmana non è permesso dipingere esseri viventi. Pertanto, mio ​​padre all’inizio non era contento della mia scelta, ma in seguito ha cercato di capirmi e mi ha persino sostenuto nello studio.»

D: «Come sei riuscito a stabilirti in Germania?»
R: «Sono in Germania da 19 anni e sto pensando di restare qui per tutta la vita.
Non appena sono arrivato, mi è stata data una casa in cui vivere e ho ricevuto assistenza medica per alleviare lo stress. Sono stato aiutato ad arrivare qui, ma mi sono impegnato molto.»

D: «Sei sempre rimasto in contatto con la tua gente nel Caucaso e con colleghi e amici in tutto il mondo?»
R: «Sono stato in contatto, in particolare, con l’artista Abu Pashaev e con il critico e storico d’arte Alvi Dakho.
In tutto il mondo, dall’India all’America, sono invitato alle mostre, ma non è possibile andare di persona ovunque.»
 
D: «Come riesci a organizzare le mostre?»
R: «A causa dei vincoli della pandemia di COVID ora è un problema organizzare mostre dal vivo. Le opere vengono toccate da adolescenti che hanno preferito quadri e grafiche a discoteche o concerti, così come da persone molto anziane che hanno desiderato guardarle.»

D: «Come vengono organizzate i master class?»
R: «Ai danzatori di lezginka viene mostrato un posto dove ballare. All’artista viene anche mostrato il suo posto per mostrare la sua maestria. Non importa quali colori sono a portata di mano in quel momento.»

D: «Quali idee hai come maestro di designi? Le tue astrazioni, così come la tua calligrafia, stanno benissimo su tessuti, costumi, tappeti, vasi, decorazioni per la casa. Ricevi suggerimenti?»
R: «L’interesse è grande e positivo. Tuttavia, nessun accordo è stato ancora raggiunto».

Il Dispari 20220117

Il Dispari 20220117

Il Dispari 20220117

Il Dispari 20220117

D: «Cosa ti dà la forza di vivere?»
R: «Possibilità di contatto e stima di creare. 
Va bene se l’artista ha la sua bottega, o almeno il suo spazio, dove può creare e sperimentare senza ostacoli. Energia e ispirazione diminuiscono nelle difficoltà della vita, così come quando non ci rendiamo più conto di ciò di cui abbiamo veramente bisogno. L’arte e la creazione sono lo stesso che l’amore.»

Il Dispari 20220117

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Il Dispari 20220110 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220110

 

Il Dispari 20220110 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220110 – Redazione culturale DILA

Dal libro di Bruno Mancini “Per Aurora volume terzo”

La sesta firma – 6a puntata

Capitolo terzo

  […]
Forza, basta chiacchiere, vuttamm ‘e mane. A una voce.
Ohhh vai. Ohhh vai. Ohhh issa: Ohhh issa.
Metti uno scanno.
Vuttamme vuttamme.
Ohhh vai

I notturni lavoratori del fondo marino non si scandalizzarono più di tanto, quando notarono che mi ero steso a riva con scarpe e cravatta, mezzo dentro e mezzo fuori della risacca.

Le pratiche faticose della loro quotidianità non lasciavano balenare il flusso di emozioni che mi spingevano in quell’atteggiamento irrazionale e palesemente sconveniente.

Docile, m’immergevo tra i bisbigli della sabbia rotolante sulla sabbia e della spuma spruzzata sulla spuma, con la ragione offuscata dall’incontrollabile seducente rapimento di scrivere la prima poesia per Gilda.

Volevo scrivere la mia prima poesia d’amore per Gilda.

Mentre la risacca inzuppava gli indumenti che indossavo dalla mattina, e sussurrava tra i pensieri di una passione tanto antica quanto trascurata, procurandomi la sensazione di essere avvinghiato da un doppio gelido intruso, di colpo, l’inquietante dubbio di aver osato troppo mi fece barcollare e scivolare nel mare, fino alla gola.

Volevo scrivere la mia prima poesia d’amore per Gilda, quando ormai avevo già osato troppo!

Infatti, uscendo dal bar, la lunga malinconia cui avevo costretto, da sempre, la mia passione per la rossa inquilina di tutti i miei sogni, si era procurato un varco utile a lasciarle un biglietto.

Avevo lasciato per lei un biglietto alla cassa: “Quando potrò fare una passeggiata, cenare, andare alle giostre, al mare, con te ed il tuo bimbo?

Sarà bello.
Promesso.
Telefonami, 081081081.”

Il Dispari 20220110 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220110 – Redazione culturale DILA

Capitolo quarto

Le donne delle mie terre sono come le mie terre: arse e rigogliose, luccicanti discrete ed ammalianti, cangianti, vulcaniche, abbandonate sfruttate maltrattate vilipese, affascinanti nonostante tutto.

Le più belle del mondo per me che le vivo, fantastiche per i fortunati che riescono a raggiungerne le riservate essenze.

Tante volte mi ero invaghito delle une e delle altre!

Fin da ragazzo, durante ogni ritorno sull’isola, gustavo le metamorfosi, sia del caos cittadino da antichi equilibri pastorali, sia dei luminescenti palazzacci rapidamente mutati in scintillanti alberi stagliati tra un sole al tramonto e l’ombra di un ruvido promontorio.

Allo stesso modo, nei piacevoli abbandoni che permeavano i diversi percorsi d’avvicinamento alla mia isola, inserisco anche una lenta dissolvenza dell’incessante lamentoso miscuglio di suoni artificiali metropolitani.

Gli gnomi custodi degli antichi tesori naturali, e le gelose vestali addette alle tradizioni patriarcali, insieme abbarbicati sulle mie terre, lasciavano fluire, a poco a poco, bucolici chiarori ad incontaminati segnali acustici di ben definite presenze (pur se prodotti dai martelli e scalpelli vibranti fra le braccia indolenzite di baldi muratori), dai quali, l’attenzione con cui percorrevo le varie tappe che caratterizzavano i miei ritorni, distillava un fascinoso nettare di nostalgia.

Giungere una sera, una notte, da mille chilometri nel porto della mia infanzia era sempre stato uno scoppio d’amore per la mia attesa priva di lusinghe.

D’amore è troppo?
Va bene, allora, d’amore!

Ad ogni ripartenza, dopo una breve o lunga permanenza, quando ormai la contrada, i boschi e le marine già mi avevano riconsegnato il dono di trasformarsi nella mia seconda pelle, allora ogni volta, senza alcuna eccezione, mille volte, le ricordo tutte, poggiavo il piede sul battello con la triste certezza di amare una Maria Luisina Teresa Giuseppina… Gilda.

Gilda.

In un pomeriggio di luglio di tanti anni fa mi girava intorno, rincorsa dalla balia con in mano un piatto di polpettine, una bambina mingherlina e indisponente.

Gilda.

Non voleva mangiare, voleva mangiare alle sue condizioni, voleva mangiare ma sapeva che se avesse fatto meno moine non sarebbe stata inseguita, coccolata adulata.

Il giorno della mia promozione scolastica al ginnasio, avevo tredici anni, Gilda finì a rotolare veloce tra le ruote della bicicletta (che per quella occasione avevo ricevuto in regalo) ed i miei piedi, che a mala pena toccavano terra con la punta.

Ruzzolammo entrambi per terra.
Al Corso Colonna, davanti al bar Italia.
La balia mi ordinò, quasi un presagio: “Acchiappala.”

Crescendo, gli anni di differenza tra me e lei divennero meno vistosi, ma i percorsi delle nostre scelte si divaricarono in direzioni quasi mai congiunte.

Spilungona e scorbutica, da adolescente le prendeva e le dava senza piangere.

Come un vero maschiaccio rompeva il naso ai bulletti se la trattavano da femminuccia, salvo poi correre annaspando, una sera d’aprile, verso le mie gambe che reggevano la grossa moto avuta in regalo per l’ultimo esame universitario.

Il ragazzetto di turno, quasi un presagio, le urlò: “Acchiappalo, perché se parte rimani sola.”

Alcuni anni dopo, pur essendo consapevole di aver programmato una lunga, forse lunghissima lontananza, in me non vi era stata superbia decidendo di lasciare gli amici ed i luoghi cari senza voltarmi.

In quella occasione non fu assente dal caos del mio mondo interiore né il forte dispiacere di uscire dal palcoscenico delle spavalde passioni giovanili, né la consapevole testardaggine di rifiutare che mio padre continuasse a credersi padrone della mia vita.

L’aveva fatto per quasi un quarto di secolo, doveva bastargli.

Nel pomeriggio luminoso e silenzioso in cui, senza valigia e senza cappotto, m’incamminai verso il battello che mi avrebbe trasportato oltre il muro prigione dell’isolamento marino, sulla così detta terraferma, quel giorno, era il tre settembre di un anno bisestile, la mia partenza non mi apparteneva come una fuga superba, ma come il risultato della indomabile spinta di un dolore.

Gilda, nella sfacciata bellezza della sua fresca fioritura, rossa, accoccolata ad accarezzare una micina spelacchiata sulle scale di una banca, vedendomi camminare da solo e desiderando che le giungessi accanto, fece un cenno d’invito ed appoggiò la mano sul gradino, mostrando il posto al suo fianco dove avrei potuto sedere.

Tanto bastò alla gatta per scappare nella mia direzione.

Prima la bestiola e poi lei, non so se per inseguirla o per venirmi incontro di corsa, scivolarono rotolando tra le mie gambe.

Quasi fosse stato un presagio, la vicina chiesa sbatacchiò tutte le campane, la nave all’ormeggio fischiò con tutti i fumaioli, l’allarme antifurto sconquassò le vetrate dell’istituto di credito, mentre un tassista di passaggio pigiando il clacson come si usa al corteo di una sposa, rideva rideva rideva suonava suonava suonava diceva diceva diceva “Acchiappala acchiappalo acchiappala acchiappalo.”

https://www.emmegiischia.com/wordpress/bruno-mancini/prose/per-aurora-vol.3/

Continua lunedì prossimo

Il Dispari 20220110 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220110 – Redazione culturale DILA

LA VOCE DI CIRCE: “A Ischia l’incanto ti punge gli occhi per quanto è immenso.”

Il romanzo epistolare “La voce di Circe”, scritto da Lucia Fusco, edito da Senso Inversi, è il racconto dell’affascinante storia d’amore tra Mariano e Elettra.

Mariano vive a Caracas mentre Elettra vive a Roma.
Un racconto dell’emigrazione in Venezuela, avvenuta prima della seconda guerra mondiale, dei genitori di Mariano provenienti dalla Basilicata.

Elettra sposata, ma separata dal marito viziato e maldestro, incontra Mariano a Roma.

Il romanzo epistolare è ricco di altri personaggi importanti collegati ai due protagonisti.

Il ritmo della lettura segue l’avvicendarsi delle stagioni, travolge con la profondità delle passioni.

Lo stile è discorsivo, elegante e scorrevole.

L’autrice ci porta a conoscere le bellezze di Roma, dell’Agro Pontino, e dell’isola d’Ischia scrivendo, tra l’altro “A  Ischia l’incanto ti punge gli occhi per quanto è immenso. Non sai dove riposare lo sguardo. Salire sul monte Epomeo è stato emozionante, avevo tanti ricordi di questo luogo, ci ero stata da ragazzina con i miei genitori e con Ferruccio, mi ricordavi di questo tempio della natura, dicono che qui si trovi una porta magica, Agartha, che conduce al centro della terra dove esiste un mondo sotterraneo. Dalla cittadina di Serrara Fontana abbiamo […].

La Voce di Circe è una storia intensa, con finale da scoprire.

Facciamo gli auguri alla scrittrice Lucia Fusco, Vice Presidente delegata Italia dell’Associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA” per un sicuro successo editoriale.

Angela Maria Tiberi

Il Dispari 20220110 – Redazione culturale DILA

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Il Dispari 20220117 – Redazione culturale DILA

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Dal libro di Bruno Mancini “Per Aurora volume terzo”

La sesta firma – 7a puntata

Capitolo quinto

Da quel pomeriggio di sole arrogante e di buia solitudine, nel quale neanche il pudico esplicito invito di Gilda aveva ottenuto l’effetto di distogliere il mio proposito di partenza, non ero ritornato sull’isola se non in occasione di qualche festività, e non avevo mai cercato di incontrarla.

Neppure un contatto.

Nessuna corrispondenza, né una telefonata.

Perché farlo?

L’incontro dei nostri sentimenti avrebbe avuto necessità di ulteriore maturazione, d’altre vicende, per manifestare completamente l’attrazione che ci possedeva da sempre.

Un anno… due anni… il tempo indispensabile a che la fanciulla diventasse una donna.

Ma io ero partito troppo presto.

Lasciando incustodito l’unico fiore del mio giardino.

Tuttavia, ogni volta che gli strani incroci dei flussi migratori avevano condotto un qualche nostalgico compaesano dalle mie parti, dopo i convenevoli e le informazioni sulle condizioni delle nostre famiglie, immancabilmente, egli, chiunque fosse e per qualsiasi motivo si trovasse in viaggio,  mi parlava di lei.

Voci diverse in tempi a volte molto distanti tra loro, accontentando la mia inesauribile malcelata tristezza, riuscivano a farmi rivivere un lampo dell’essenzialità che avevo abbandonato con crudele autolesionismo.

Gilda la rossa.

Ha aperto un bar, il Ruk Ruk, frigge panzarotti ed arancini a bizzeffe.»

Ha fatto i soldi, si è comprata una casa con giardino e terrazzo, sai, nel vicolo della fontana.»

La notte di San Lorenzo si sono appostati quasi tutti i suoi pretendenti, una cinquantina, sul marciapiede di fronte al Ruk Ruk per farle sapere che se avessero visto cadere una stella, lei sarebbe stato il desiderio espresso.

Senza scorno.»

è sempre più focosa e appassionata, ma continua a non volere nessuno.»

Guglielmo ‘O Stuorto le ha detto che tu hai rinnovato il contratto di lavoro per altri cinque anni, si è messa a piangere e non si è vista in giro per tre giorni.»

 

Ha cambiato tutto il locale.

Ti spiegai com’era?

Adesso, come si dice, è un locale moderno.

Niente più panzarotti, sta aperto solo di notte, ha tolte le reti e le nasse dalle pareti, tutto nuovo, lucido, americano, la musica, i liquori, le sedie alte intorno al banco, le luci nascoste sotto i tavoli e dentro le bottiglie.

C’è scritto “GILDA, AMERICAN BAR.”»

Non si vede più a fare la spesa, a sculettare sul corso, a scegliere nei negozi una tovaglia da aggiungere al corredo.

Esce la sera e ritorna all’alba.

Da casa al locale e tutto il contrario.»

è venuto uno di un altro paese, parlava italiano spagnolo, si muoveva come una femmina, aveva una voce incupita e le mani più lunghe del normale, è entrato una sera da Gilda, e il domani in piazza comprava i fiori per lei.»

Gilda ha saputo che ti avevo incontrato e mi ha chiesto se era vero che avevi firmato per altri cinque anni.

Che le dovevo dire?

Le ho risposto “è vero”.

Mi ha detto “Vieni a bere una birra al nostro addio.” Che significava? Tu lo sai?»

Quel mezzo straniero le ronza intorno senza tregua.

Si vanta di aver combattuto in Viet Nam. Mostra spesso a tutti una ferita, secondo lui provocatagli dalle schegge di una mina.»

Ha la barba su tutta la faccia, si vede solo il naso e la fronte.

A me pare drogato.»

Rosina ha detto che Carmela ha detto che lei (Gilda) ha detto a lui (lo straniero) che lui le pareva una faccia conosciuta: “I tuoi occhi li ho già visti, la tua voce la conosco, ti muovi come… “ non ha specificato il nome, ma lei, Rosina, crede che Gilda stesse pensando a te.»

L’ha messa con la pancia, sì, come si dice, l’ha incinta, e appena l’ha saputo è sparito, squagliato. Nessuno ne ha più saputo niente… mi spiace per lei, ma è un grande stronzo, fa schifo.

Nemmeno un indirizzo ha lasciato. Un numero di telefono, nulla.

Svanito come al tocco di una bacchetta magica.»

Gilda lo chiama “Il Bastardo”.»

Il pupo è biondo, si chiama Isidoro.»

Continua lunedì prossimo

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Il Dispari 20220117

Il Dispari 20220117

Liga Sarah Lapinska intervista Ajub Ibragimov,

quinto classificato alla sezione “Arti grafiche” del Premio “Otto Milioni – 2021”

D: «Come fai a creare per così tanto tempo senza perdere il tuo sogno?
“Quali emozioni per il nostro Premio Made in Ischia “Otto milioni?»
R: «La cosa più importante nelle mie opere d’arte è l’idea.
L’arte digitale e la tecnologia digitale sono come una bacchetta magica nella mia mano, che mi permette di scegliere istantaneamente i colori e trasformare il mondo in cui viviamo.
Il mio stile di vita è: mi sveglio quasi ogni mattina con un’idea di cosa posso fare oggi. Mettermi in contatto, parlare e rimanere in contatto.
Ho creato circa 1000 opere d’arte. Ho regalato la maggior parte di loro. Quando vedo un sorriso e mi rendo conto che la mia opera sia piaciuta, ho la voglia subito di regalarla.
Circa 300 delle mie opere sono nella mia galleria personale.
Se non c’è segreto e scintilla nelle nostre opere d’arte, allora non sono commuoventi e vengono rapidamente dimenticate»
Ho partecipato al Premio”Otto milioni”organizzato dall’Associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA” e io dico un grande grazie agli organizzatori invitando tutti a scrivere ancora e ancora di questo premio per non dimenticare. »
 
D: «Che cos’è il tempo?»
R: «Il tempo è un dono di Dio per noi.»

D: «Hai affrontato delle resistenze quando hai deciso di diventare un’artista?»
R: «Non ho incontrato resistenza attiva. Mio padre, che ora è morto, era un sacerdote musulmano. Secondo la religione musulmana non è permesso dipingere esseri viventi. Pertanto, mio ​​padre all’inizio non era contento della mia scelta, ma in seguito ha cercato di capirmi e mi ha persino sostenuto nello studio.»

D: «Come sei riuscito a stabilirti in Germania?»
R: «Sono in Germania da 19 anni e sto pensando di restare qui per tutta la vita.
Non appena sono arrivato, mi è stata data una casa in cui vivere e ho ricevuto assistenza medica per alleviare lo stress. Sono stato aiutato ad arrivare qui, ma mi sono impegnato molto.»

D: «Sei sempre rimasto in contatto con la tua gente nel Caucaso e con colleghi e amici in tutto il mondo?»
R: «Sono stato in contatto, in particolare, con l’artista Abu Pashaev e con il critico e storico d’arte Alvi Dakho.
In tutto il mondo, dall’India all’America, sono invitato alle mostre, ma non è possibile andare di persona ovunque.»
 
D: «Come riesci a organizzare le mostre?»
R: «A causa dei vincoli della pandemia di COVID ora è un problema organizzare mostre dal vivo. Le opere vengono toccate da adolescenti che hanno preferito quadri e grafiche a discoteche o concerti, così come da persone molto anziane che hanno desiderato guardarle.»

D: «Come vengono organizzate i master class?»
R: «Ai danzatori di lezginka viene mostrato un posto dove ballare. All’artista viene anche mostrato il suo posto per mostrare la sua maestria. Non importa quali colori sono a portata di mano in quel momento.»

D: «Quali idee hai come maestro di designi? Le tue astrazioni, così come la tua calligrafia, stanno benissimo su tessuti, costumi, tappeti, vasi, decorazioni per la casa. Ricevi suggerimenti?»
R: «L’interesse è grande e positivo. Tuttavia, nessun accordo è stato ancora raggiunto».

Il Dispari 20220117

Il Dispari 20220117

Il Dispari 20220117

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D: «Cosa ti dà la forza di vivere?»
R: «Possibilità di contatto e stima di creare. 
Va bene se l’artista ha la sua bottega, o almeno il suo spazio, dove può creare e sperimentare senza ostacoli. Energia e ispirazione diminuiscono nelle difficoltà della vita, così come quando non ci rendiamo più conto di ciò di cui abbiamo veramente bisogno. L’arte e la creazione sono lo stesso che l’amore.»

Il Dispari 20220117

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Il Dispari 20220117

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Il Dispari 20220110 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220110

 

Il Dispari 20220110 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220110 – Redazione culturale DILA

Dal libro di Bruno Mancini “Per Aurora volume terzo”

La sesta firma – 6a puntata

Capitolo terzo

  […]
Forza, basta chiacchiere, vuttamm ‘e mane. A una voce.
Ohhh vai. Ohhh vai. Ohhh issa: Ohhh issa.
Metti uno scanno.
Vuttamme vuttamme.
Ohhh vai

I notturni lavoratori del fondo marino non si scandalizzarono più di tanto, quando notarono che mi ero steso a riva con scarpe e cravatta, mezzo dentro e mezzo fuori della risacca.

Le pratiche faticose della loro quotidianità non lasciavano balenare il flusso di emozioni che mi spingevano in quell’atteggiamento irrazionale e palesemente sconveniente.

Docile, m’immergevo tra i bisbigli della sabbia rotolante sulla sabbia e della spuma spruzzata sulla spuma, con la ragione offuscata dall’incontrollabile seducente rapimento di scrivere la prima poesia per Gilda.

Volevo scrivere la mia prima poesia d’amore per Gilda.

Mentre la risacca inzuppava gli indumenti che indossavo dalla mattina, e sussurrava tra i pensieri di una passione tanto antica quanto trascurata, procurandomi la sensazione di essere avvinghiato da un doppio gelido intruso, di colpo, l’inquietante dubbio di aver osato troppo mi fece barcollare e scivolare nel mare, fino alla gola.

Volevo scrivere la mia prima poesia d’amore per Gilda, quando ormai avevo già osato troppo!

Infatti, uscendo dal bar, la lunga malinconia cui avevo costretto, da sempre, la mia passione per la rossa inquilina di tutti i miei sogni, si era procurato un varco utile a lasciarle un biglietto.

Avevo lasciato per lei un biglietto alla cassa: “Quando potrò fare una passeggiata, cenare, andare alle giostre, al mare, con te ed il tuo bimbo?

Sarà bello.
Promesso.
Telefonami, 081081081.”

Il Dispari 20220110 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220110 – Redazione culturale DILA

Capitolo quarto

Le donne delle mie terre sono come le mie terre: arse e rigogliose, luccicanti discrete ed ammalianti, cangianti, vulcaniche, abbandonate sfruttate maltrattate vilipese, affascinanti nonostante tutto.

Le più belle del mondo per me che le vivo, fantastiche per i fortunati che riescono a raggiungerne le riservate essenze.

Tante volte mi ero invaghito delle une e delle altre!

Fin da ragazzo, durante ogni ritorno sull’isola, gustavo le metamorfosi, sia del caos cittadino da antichi equilibri pastorali, sia dei luminescenti palazzacci rapidamente mutati in scintillanti alberi stagliati tra un sole al tramonto e l’ombra di un ruvido promontorio.

Allo stesso modo, nei piacevoli abbandoni che permeavano i diversi percorsi d’avvicinamento alla mia isola, inserisco anche una lenta dissolvenza dell’incessante lamentoso miscuglio di suoni artificiali metropolitani.

Gli gnomi custodi degli antichi tesori naturali, e le gelose vestali addette alle tradizioni patriarcali, insieme abbarbicati sulle mie terre, lasciavano fluire, a poco a poco, bucolici chiarori ad incontaminati segnali acustici di ben definite presenze (pur se prodotti dai martelli e scalpelli vibranti fra le braccia indolenzite di baldi muratori), dai quali, l’attenzione con cui percorrevo le varie tappe che caratterizzavano i miei ritorni, distillava un fascinoso nettare di nostalgia.

Giungere una sera, una notte, da mille chilometri nel porto della mia infanzia era sempre stato uno scoppio d’amore per la mia attesa priva di lusinghe.

D’amore è troppo?
Va bene, allora, d’amore!

Ad ogni ripartenza, dopo una breve o lunga permanenza, quando ormai la contrada, i boschi e le marine già mi avevano riconsegnato il dono di trasformarsi nella mia seconda pelle, allora ogni volta, senza alcuna eccezione, mille volte, le ricordo tutte, poggiavo il piede sul battello con la triste certezza di amare una Maria Luisina Teresa Giuseppina… Gilda.

Gilda.

In un pomeriggio di luglio di tanti anni fa mi girava intorno, rincorsa dalla balia con in mano un piatto di polpettine, una bambina mingherlina e indisponente.

Gilda.

Non voleva mangiare, voleva mangiare alle sue condizioni, voleva mangiare ma sapeva che se avesse fatto meno moine non sarebbe stata inseguita, coccolata adulata.

Il giorno della mia promozione scolastica al ginnasio, avevo tredici anni, Gilda finì a rotolare veloce tra le ruote della bicicletta (che per quella occasione avevo ricevuto in regalo) ed i miei piedi, che a mala pena toccavano terra con la punta.

Ruzzolammo entrambi per terra.
Al Corso Colonna, davanti al bar Italia.
La balia mi ordinò, quasi un presagio: “Acchiappala.”

Crescendo, gli anni di differenza tra me e lei divennero meno vistosi, ma i percorsi delle nostre scelte si divaricarono in direzioni quasi mai congiunte.

Spilungona e scorbutica, da adolescente le prendeva e le dava senza piangere.

Come un vero maschiaccio rompeva il naso ai bulletti se la trattavano da femminuccia, salvo poi correre annaspando, una sera d’aprile, verso le mie gambe che reggevano la grossa moto avuta in regalo per l’ultimo esame universitario.

Il ragazzetto di turno, quasi un presagio, le urlò: “Acchiappalo, perché se parte rimani sola.”

Alcuni anni dopo, pur essendo consapevole di aver programmato una lunga, forse lunghissima lontananza, in me non vi era stata superbia decidendo di lasciare gli amici ed i luoghi cari senza voltarmi.

In quella occasione non fu assente dal caos del mio mondo interiore né il forte dispiacere di uscire dal palcoscenico delle spavalde passioni giovanili, né la consapevole testardaggine di rifiutare che mio padre continuasse a credersi padrone della mia vita.

L’aveva fatto per quasi un quarto di secolo, doveva bastargli.

Nel pomeriggio luminoso e silenzioso in cui, senza valigia e senza cappotto, m’incamminai verso il battello che mi avrebbe trasportato oltre il muro prigione dell’isolamento marino, sulla così detta terraferma, quel giorno, era il tre settembre di un anno bisestile, la mia partenza non mi apparteneva come una fuga superba, ma come il risultato della indomabile spinta di un dolore.

Gilda, nella sfacciata bellezza della sua fresca fioritura, rossa, accoccolata ad accarezzare una micina spelacchiata sulle scale di una banca, vedendomi camminare da solo e desiderando che le giungessi accanto, fece un cenno d’invito ed appoggiò la mano sul gradino, mostrando il posto al suo fianco dove avrei potuto sedere.

Tanto bastò alla gatta per scappare nella mia direzione.

Prima la bestiola e poi lei, non so se per inseguirla o per venirmi incontro di corsa, scivolarono rotolando tra le mie gambe.

Quasi fosse stato un presagio, la vicina chiesa sbatacchiò tutte le campane, la nave all’ormeggio fischiò con tutti i fumaioli, l’allarme antifurto sconquassò le vetrate dell’istituto di credito, mentre un tassista di passaggio pigiando il clacson come si usa al corteo di una sposa, rideva rideva rideva suonava suonava suonava diceva diceva diceva “Acchiappala acchiappalo acchiappala acchiappalo.”

https://www.emmegiischia.com/wordpress/bruno-mancini/prose/per-aurora-vol.3/

Continua lunedì prossimo

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LA VOCE DI CIRCE: “A Ischia l’incanto ti punge gli occhi per quanto è immenso.”

Il romanzo epistolare “La voce di Circe”, scritto da Lucia Fusco, edito da Senso Inversi, è il racconto dell’affascinante storia d’amore tra Mariano e Elettra.

Mariano vive a Caracas mentre Elettra vive a Roma.
Un racconto dell’emigrazione in Venezuela, avvenuta prima della seconda guerra mondiale, dei genitori di Mariano provenienti dalla Basilicata.

Elettra sposata, ma separata dal marito viziato e maldestro, incontra Mariano a Roma.

Il romanzo epistolare è ricco di altri personaggi importanti collegati ai due protagonisti.

Il ritmo della lettura segue l’avvicendarsi delle stagioni, travolge con la profondità delle passioni.

Lo stile è discorsivo, elegante e scorrevole.

L’autrice ci porta a conoscere le bellezze di Roma, dell’Agro Pontino, e dell’isola d’Ischia scrivendo, tra l’altro “A  Ischia l’incanto ti punge gli occhi per quanto è immenso. Non sai dove riposare lo sguardo. Salire sul monte Epomeo è stato emozionante, avevo tanti ricordi di questo luogo, ci ero stata da ragazzina con i miei genitori e con Ferruccio, mi ricordavi di questo tempio della natura, dicono che qui si trovi una porta magica, Agartha, che conduce al centro della terra dove esiste un mondo sotterraneo. Dalla cittadina di Serrara Fontana abbiamo […].

La Voce di Circe è una storia intensa, con finale da scoprire.

Facciamo gli auguri alla scrittrice Lucia Fusco, Vice Presidente delegata Italia dell’Associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA” per un sicuro successo editoriale.

Angela Maria Tiberi

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Il Dispari 20220103

Il Dispari 20220103 – Redazione culturale DILA

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Dal libro di Bruno Mancini “Per Aurora volume terzo”

La sesta firma. 5a puntata

Capitolo terzo

Troncai di botto elucubrazioni e sotto insiemi di pensieri, ansiti interiori per timorosi accumuli d’indecenti indecisioni e contrapposte mature certezze mai esaminate con compiutezza, virtuose virtù precipitate in una quotidianità brutalmente anonima e… uscii.

Uscii.

Non mi mossi in cerca di avventure.

Non avevo deciso di costruire la notte più bella della mia esistenza.

Ai miei passi mancava l’intenzione di reiterare assalti a Ciccioline con poche pretese ed illimitate dedizioni. Né tanto meno, la cadenza monotona dell’andatura mi spingeva verso l’alcova di qualche indimenticabile gheiscia trasferita nella mia isola dalle fantasticherie, finanche eccessive e perverse ma giammai sguaiate, disseminate tra le balere notturne nell’arrendevole Budapest degli anni ottanta.

Le notti senza stelle delle mie peregrinazioni epicuree!

Neppure volevo mortificare i teneri boccioli, o forse solo appendici irrilevanti, che piccoli corpi anonimi offrivano entro bettole, di facili identificazioni per le insegne con gli ideogrammi del lontano oriente, affogate nei fumi e nella coca.

Il Dispari 20220103 – Redazione culturale DILA

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Ne avrei avuto buon motivo, considerando gli onori che il giorno prima mi aveva generosamente elargito la mia cara amica Aurora, la donna guascona, la “Signora”.

Oltre tutto, percepivo ancora, incalzante, scandito in un ticchettio mentale, ogni singolo minuto che aveva caratterizzato la fase finale di quell’avvincente incredibile avventura, iniziata, quasi per caso, dalla improvvisa ed inaspettata telefonata con la quale Aurora mi aveva comunicato di essere stato “convocato”.

Quei momenti mi apparivano ancora scandire le ansie, per tutti i densi fardelli di domande senza risposte e di desideri irrealizzabili, che mi avevano oppresso durante il conto alla rovescia iniziato da meno quindici alla presenza d’Ignazio.

Cosa sono quindici minuti per risolvere un passaggio dalla vita alla morte?

Sono molti?

Sono pochi?

Sono sufficienti?

A chi affidarsi nel quarto d’ora che un cieco destino ci conceda prima di traghettare la nostra mente in un sito ignoto?

Ai maghi?

Ai demiurghi?

Agli amici?

Nell’incalzante ossessione delle lancette, per novecento secondi, novecento battiti senza pause. Nella successione, tic tac, in altre occasioni ritenuta finanche monotona, ridicola.

Quali risorse attivare per trasformare l’origine del battito assassino degli ultimi minuti, in ordigno auto distruggente?

Soldi?

Potere?

Impegno?

Uscii per cercare una spiegazione alla improvvisa, inusuale, sensazione di solitudine

Piano piano, passo dopo passi, lemme lemme, lemme lemme, passo dopo passi, piano piano, mi ritrovai appoggiato al banco rivestito con formica azzurra del bar in Via Colonna, davanti al quale, poche ore prima, avevo imparato dalla bella Gilda che non tutte le birre si possono bere in un sorso solo.

Lei non c’era. Non era tardi. Le dieci di sera ad Ischia potrebbero essere paragonate alle ore antecedenti l’alba per Milano.

Non la vidi o non c’era?

Alla cassa una ragazzona squintalata.

Troppi gelati?

Poco sport?

Spaghetti a gogo?

Disfunzione Epomeidea?

Su uno sgabello giallo (tre piedi di ferro verniciato a fuoco, un cerchio di plastica rossa, lo stemma di una marca di gelati multinazionali super popolari come la mia birra), un bimbo biondo con boccoli sciolti fino alle spalle, dondolava le gambe, guardando la TV e succhiando un ghiacciolo.

Lo conoscevo.

L’uomo al tavolo d’angolo, con la sigaretta mai spenta bruciacchiata nei baffi e tra le dita, era noto a tutti.

Tre quarti degli indigeni, ed un terzo dei villeggianti, avevano almeno sentito parlare del Principe Innocente.

Lei non c’era o non la vedevo.

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Accostandomi con finta disattenzione alla porta semichiusa che introduceva al locale “Privato” (un mini ambiente adattato ad ufficio, spogliatoio, deposito, officina), vi detti una sbirciata. Lei non c’era.

Al banco bar, Gianni serviva da bere e folleggiava da solo…

E lei, Gilda?

Non lo sapevo, forse non lo sapevo, credo che forse non sapevo di essere lì per lei.

Ero lì per lei e non lo sapevo, penso che io non sapessi di essere lì per lei, credo ecc.

Gilda.

Tornai verso casa con una nuova euforia, poco consona sia al mancato incontro con l’esuberante vitalità della rossa Gilda, sia alla robusta delusione di non aver neppure tentato una soluzione per il quesito che mi aveva turbato all’uscita di Geltrude dalla stanza. Una serata nottata no, negativa, eppure non deprimente.

Era una specie d’infantile beatitudine, un compiacimento.

Una serata – nottata quasi goliardica, da filone scolastico. Mai successo da decenni.

Vi aggiungeva un pizzico di fisica piacevolezza anche il forte vento di ponente, che s’insinuava tra le barche cariche di nasse pronte a prendere il mare. Non era la solita brezza che rinfresca, un attimo prima dell’alba, le notti delle afose estati ischitane, no, non era una brezza passeggera.

Come una giovanile compagna d’avventure, chiacchierona, l’aria, fluendo, mi soffiava la sua vitalità nel naso tra gli occhi nella bocca e sulla pelle.

La salsedine portata dal vento, quasi riempiva le rughe lasciate scoperte sul mio viso dal taglio della barba – barbona – barbaccia che fino a pochi giorni prima infoltiva grigiastra.

Il profumo delle praterie di posidonie, nastriformi ripari per gli scorfani e le mormore durante gl’inseguimenti subacquei che avevo concluso quasi sempre senza prede nell’ultima estate trascorsa ad Ischia, ad ogni più forte refolo dell’incipiente buriana – Don Chisciotte contro i mulini -, si accaniva contro i malefici aromi di sigari e sigarette inzuppati nei peli e nelle cartilagini del mio naso nasone nasaccio.

Soffiava forte, non era una brezza, il vento di ponente, a raffiche dolorose per gli occhi che trattenevo aperti, ed intanto umettava, con una soffusa vaporosità, le mie labbra socchiuse, quasi in un bacio. Nell’abbraccio malizioso di una prima volta.

Avevo preferito ritirarmi passando sulle passerelle di legno a ridosso degli scogli scuriti dalla luna al tramonto oltre la collina, piuttosto che opprimere maggiormente, con un percorso più usuale, la delusione di non aver tolto neppure un grammo al dilemma del mio sentirmi solo.

Tutti i più anziani pescatori conservavano, in precisi ricordi, le stravaganze giovanili delle mie sortite notturne. Iniziando dai modi con i quali, di solito, avevo cercato fisicamente i contatti con la natura, fino alle domande che ponevo. Anch’esse, dal loro punto di vista, erano sempre state considerate ben strane e strampalate.

è bravo, ma è un po’ matto» dicevano di me parlando tra loro.

L’amante l’ha lasciato per un marocchino indiano. Io l’ho visto sul pontile, aveva i capelli come quelli dei film, lisci azzeccati e neri, non scuri, neri.

Lui era stato fuori per lavoro, lo sai com’è, viaggia, scrive, legge, cambia albergo.»

Non ha mai avuto amanti, che dici.»

Che ne sai tu, tutte balle…»

Mi chiamo Totonno ‘O Saragone perché so tutto di te di lui come dei saraghi e delle spigole.»

Non ci credo, è sempre stato sballato.»

Da piccolo me lo ricordo in bicicletta fare gare con la carrozza della buonanima di Bastiano.

Che ti credi che non lo conosco? Non ha mai avuto un’amante. Forse era una segretaria.»

Tutti lo sappiamo. Ne aveva tante.»

-« è stato sempre così. 

Bravo. Bravo. Brav’uomo. Buongiorno, buonasera, buonanotte, buono tutto, ma non si è mai sporcato le mani a spingere una barca.

Lui dice: “Buongiorno, vuoi una sigaretta? A chi appartieni? Quanti figli hai?”

Non capisce che le barche non funzionano con le parole. Ci vuole sudore e fatica.

E mo’ sta peggio, chi sa perché.»

Cirù, Ciruzzo O Schifo, tu e Totonno non avete capito nu’ cazzo.

Non siete informati.

Non devo chiamarmi più Emilio Tressette E Maniglia se non è vero che sta così per quello che iss ha scoperto ora che è tornato dall’ultimo viaggio. L’avevano chiamato apposta, loro dicono “convocato”.

La sapete la nipote di Nicola Sindacato? Parlava con l’amante di Nicola Sindacato, Rosita Cascettella, guardava le persiane chiuse del Dotto’ e diceva piano piano: “è figlio della colpa. Sicuro. Ho sentito che ascoltava… parlavano zitto zitto… con uno mai visto che però gli somigliava, e che gli diceva: tuo padre non è lui, tua madre è lei, noi siamo fratelli. Gli ha detto proprio così, io stavo dietro la porta, noi siamo fratelli.

Quando due sono fratelli si conoscono, è vero Rosita?

Se non si conoscono è perché non si sanno. O no?  E sono figli di puttana”

La nipote di Nicola così ha detto, proprio così: figli di puttana.»

Forza, basta chiacchiere, vuttamm ‘e mane. A una voce.

Ohhh vai. Ohhh vai. Ohhh issa: Ohhh issa.

Metti uno scanno.

Vuttamme vuttamme.

Ohhh vai

I notturni lavoratori del fondo marino non si scandalizzarono più di tanto, quando notarono che mi ero steso a riva con scarpe e cravatta, mezzo dentro e mezzo fuori della risacca.

Le pratiche faticose della loro quotidianità non lasciavano balenare il flusso di emozioni che mi spingevano in quell’atteggiamento irrazionale e palesemente sconveniente.

Docile, m’immergevo tra i bisbigli della sabbia rotolante sulla sabbia e della spuma spruzzata sulla spuma, con la ragione offuscata dall’incontrollabile seducente rapimento di scrivere la prima poesia per Gilda.

Volevo scrivere la mia prima poesia d’amore per Gilda.

Mentre la risacca inzuppava gli indumenti che indossavo dalla mattina, e sussurrava tra i pensieri di una passione tanto antica quanto trascurata, procurandomi la sensazione di essere avvinghiato da un doppio gelido intruso, di colpo, l’inquietante dubbio di aver osato troppo mi fece barcollare e scivolare nel mare, fino alla gola.

Volevo scrivere la mia prima poesia d’amore per Gilda, quando ormai avevo già osato troppo!

Infatti, uscendo dal bar, la lunga malinconia cui avevo costretto, da sempre, la mia passione per la rossa inquilina di tutti i miei sogni, si era procurato un varco utile a lasciarle un biglietto.

Avevo lasciato per lei un biglietto alla cassa: “Quando potrò fare una passeggiata, cenare, andare alle giostre, al mare, con te ed il tuo bimbo?

Sarà bello.

Promesso.

Telefonami, 081081081.”

 

Continua lunedì prossimo

Il Dispari 20220103 – Redazione culturale DILA

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