
Gio05 Articolo finalista Premio Giornalismo “Otto milioni” 2020
Gio05 Articolo finalista
Daniele Bartocci
Un bambino che si trasforma in fuoriclasse: l’evoluzione incredibile del CT Roberto Mancini
Un fuoriclasse vero.
Un gentleman dentro e fuori dal campo.
Fuoriclasse incredibile.
Ricordi che sfociano in lacrime profonde.
Ebbene sì, lacrime firmate, lacrime preziose, lacrime di fuoriclasse.
Numerose perle di saggezza, retroscena, flashback e segreti di un campione chiamato Roberto Mancini, raccontati nella sua Jesi, nella sua terra, davanti al suo popolo che lo ho sempre amato fino in fondo.
Una miriade di ricordi che si intrecciano e si accavallano, fino a formare un fantastico canovaccio narrativo tanto caro al “Quartiere Prato”.
Lacrime, tante lacrime.
Nel maggio 2012 Roberto Mancini fece visita al campo sportivo “Boario” nel quale alcuni giovanissimi della scuola calcio della Junior Jesina a lui intitolata gli rivolsero alcune domande. “Studiate, divertitevi, allenatevi seriamente e credeteci fino in fondo – furono questi i consigli dell’attuale allenatore della nazionale azzurra ai giovani che ambiscono un giorno a palcoscenici di primo livello – Socializzate con i compagni, ascoltate e rispettate gli allenatori e i genitori in quanto l’educazione rappresenta una componente molto rilevante nel calcio di oggi. Insomma, non dovete mollare mai! Ricordatevi comunque di restare sempre con i piedi per terra in quanto arrivare ad alti livelli è una cosa particolarmente difficile”.
Il noto mister della Scuola Calcio della Junior Jesina, Alfredo Zepponi, ovvero colui che “addestrò” Mancini da bambino, in quel periodo lo descrisse così: “Roberto Mancini era sempre il primo a presentarsi alle sessioni di allenamento durante la settimana, era sempre il primo a iniziare la corsetta all’interno del rettangolo di gioco, era sempre il primo a fare gol, sia in settimana sia nel week-end.
Il nostro Roberto si mostrò sin dai primi anni dell’attività calcistica un leader indiscusso dentro e fuori dal campo, un capitano formidabile e un allenatore aggiunto sul terreno di gioco”.
Come per dire, campioni si nasce, non si diventa!
“Un grazie particolare a mister Alfredo Zepponi – non lo nasconde l’allora tecnico del Manchester City – Credo di ricordarmi bene, ero anche il primo a dare il primo morso al panino.
Prosciutto e mortadella erano le mie specialità.
Tutto questo per dire: credete in voi stessi e in quello che fate.
Un giorno potrete diventare grandi”.
Anche nel 2010, ospite del Club Panathlon presso l’Hotel Federico II di Jesi, Roberto Mancini disse la sua riguardo ai giovani calciatori: “Nel calcio di oggi, a ragazzini italiani interessanti vengono preferiti giocatori stranieri, spesso di fama, sulla carta maggiormente affidabili; questo perché la cosa più importante, nel mondo calcistico odierno, è vincere sempre.
Gli allenatori tendono ad andare sull’usato sicuro, togliendo tanto spazio ai giovani.
È però opportuno aggiungere che questi ragazzini non hanno la stessa voglia e la stessa fame che si avevano alcuni decenni fa; in passato allenarsi anche una sola volta con la prima squadra era meraviglioso e si rimaneva con i piedi per terra, oggi invece si pensa di essere arrivati al top dopo un semplice allenamento. Ciò crea effetti tutt’altro che positivi sul calcio italiano e sul suo futuro”.
Lo jesino, bombardato dalle domande dei presenti, aveva anche cercato di spiegare le difficoltà evidenti del calcio italiano a differenza del pallone britannico.
Mancini evidenziò il fatto che in Italia si dà troppo peso ad ogni singolo episodio e situazione, anche arbitrali e a quelli più banali; ciò spesso crea attrito tra società, giocatori, staff tecnico e federale (il VAR oggi risolve questo problema?).
Al contrario, in Inghilterra ad esempio c’è meno pressione da parte della stampa e della televisione e i giocatori vivono la partita come un divertimento, quasi da dilettanti, senza drammi né troppe polemiche.
Il “Mancio” del quartiere Prato, sempre in occasione della cena del Panathlon 2010, concluse con una battuta e un apprezzamento per la nostra città: “In questo periodo sto a Jesi molto spesso, mentre nel passato venivo solamente un paio di volte all’anno.
Qui si vive sempre bene, c’è un clima tranquillo e me ne sto volentieri comodo a casa dove posso gustare i cappelletti di mia madre”.
Roberto Mancini tuttora ama la propria città e anche prima che divenisse allenatore dell’Inter si vedeva spesso nella città di Federico II, specialmente in piazza.
Magari pedalando una bici con le sue gambe e il suo stile da fenomeno.
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