Il Dispari 20240325 – Redazione culturale DILA APS

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Il Dispari 20240325

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Così o come

Un racconto di Bruno Mancini

inserito nel volume “Per Aurora volume terzo”

Sesta puntata

 

Parte seconda

CAPITOLO PRIMO

Avevo da poco terminato di scrivere le pagine che avete letto, e mi accingevo ad un primo approccio con il capitolo cinque ancora vuoto quando uno squillo, dallo strano sapore di mandorle o nocciole tostate e zucchero nasprato, fece sobbalzare, non solo il segnale d’avviso del mio videotelefono, non solo i pesciolini rossi nella boccia trasparente casualmente aderente all’appoggio rumoroso e traballante (per loro fu quasi un terre-mare-aria moto secondo la teoria fisica della propagazione delle onde nei liquidi), non solo gli occhiali sul mio naso per il repentino movimento della testa, e la bionda schiuma di birra commerciale versata distrattamente nel bicchiere arrotondato a forma di bocca di vulcano spento, e poi la lunga scia di fogli sparpagliati sovrapposti disordinati in equilibri provvisori ed instabili, e la cenere della sigaretta che stringevo tra i denti per il tiro tiraccio tirone tiretto finale, ma, se volessi dire tutta la verità, dovrei aggiungere particolari perfino sulla rottura sobbalzo sballottamento scatenamento giramento girotondo di… parti basse del mio ventre, mentre, invece, mi voglio limitare ad affermare che quello squillo, la cui provenienza avevo identificato sul minuscolo schermo tecnologico luminoso, creava un potente sbarramento per ogni via di fuga della mia solitudine notturna.

Cercavo di distrarmi, quantunque l’aggeggio continuasse a vibrare, squillare, tormentare i pesciolini rossi, con un forte odore di odissea nello spazio intriso di sfumature all’incenso e vino cotto tanto invadente che, insinuandosi nei lobi auricolari, attraversava incudini e martelli per biforcarsi maleficamente (i miei amici Indiani chiamavano l’uomo bianco lingua biforcuta) tra una papilla gustativa spugnata di birra popolare ed un pigmento olfattivo catramato nicotinizzato bruciacchiato.

Ero stanco, avevo martoriato mortificato martellato per ore lo strumento della mia incapacità, della mia disperazione, del mio sublime aver voluto: il sassofono tenore di marca Orsi ed ancia selezionata in faticosi esperimenti.

Ero suonato, per l’accesso intermittente ininterrotto intenso alla cassetta caverna cassaforte caveau del grosso stipone stipato nell’angolo dietro la porta della cucina: silenzioso bianco latte frigorifero custode delle mie birre popolari.

Ero nel panico per mancanza di appigli appoggi appelli, apriti Sesamo, a chi mi rivolgo, aprimi Sesamo aprimi uno spiraglio speranza abbaglio, per la matita spuntata nell’ultima riga.

E lui suonava!

Mi correggo. Correggo la frase plebea.

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E lui suonava, significa che un lui, quindi un individuo di sesso maschile usava uno strumento adatto a produrre piacevoli onde sonore ecc, in vero io volevo dire che lui, il telefono, esso, continuava ad emettere vibrazioni sgradevoli sgradite sgraziate, grazie.

Lui, esso, squillava, e la curiosità, onde scoprirne il motivo, sculettava per sedurre indurre il pigro indolente rotore del mio sistema ad attivare uno sforzo punto X punto Y, tale da movimentare delicatamente l’unghione della mia mano oppure il pistillo della penna, fin sulla mini tastiera del cellulare mignon, in tal modo connettendo, con sua soddisfazione, le due utenze.

Ero spossato spompato sbolinato annacquato svaporato distrutto da “Così o come”, racconto docile ed irrequieto che mi aveva assecondato per sfuggirmi, e mi aveva illuminato per trattarmi come il pennello di un oscilloscopio relegato a registrare le intensità dei terremoti eruzioni vulcaniche maremoti bradisismi onde cosmiche venti solari. L’elettroencefalografo di uno, trenta, quaranta, due emozioni cerebrali.

Ero tutto ciò per la imminente immanente forse immemore non immortale, immateriale fine della mia semplice nutrizione mentale.

Aurora, la Signora, la Donna Guascona, non avrebbe fatto schiaffeggiare il mio silenzio notturno dallo stupido gracchiare di un cellulare se non avesse trovata la cacca nella marmellata, oppure la marmellata nella cacca, che non significano lo stesso quid.

Quanto avrei potuto resistere?

Neppure cinquecento squilli.

Addormentarmi?

Neppure con trenta caffè!

Tanto valeva affrontare l’ignoto, e speriamo bene.

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-«Pronto.»

-«Ignazio?»

-«Sì, Aurora, sono io. Ma perché mi chiami Ignazio anche in privato?»

-«è Il tuo nome d’arte. Ricordi “La Notizia virgola la Condanna punto”? Tu non mi chiamavi “Signora”, io scelsi per te il nome Ignazio. Un nome d’arte.»

-«Come stai Aurora?»

-«Così!… Sei solo?»

-«Sempre a questa ora.»

-«Lo so che è tardi, però anch’io non… mi sono posto il problema… domani sarebbe inutile… Ricordi l’uomo dal fiore di ginestra all’occhiello del bavero?… Parla sempre di te…»

-«Perché mi hai chiamato?

…Anche per me lui è un punto di riferimento importante “così o come” la sua donna dalle mani ambrate.

…Perché hai chiamato?»

-«Lei, adorabile, se potesse riabbracciarti sarebbe la felicità assoluta. è Aurora che ti parla, l’amica.

Non ho dimenticato la spontanea disponibilità con la quale ti sei proposto, nel momento per me più delicato, contrastando l’agguato che Snob Rob ed i suoi compari di luride merende avevano tentato nei confronti di me SIGNORA…»

-«Aurora, ho capito, amica, è tardi, se vuoi ne parliamo domani, lo so, amica, sei amica, mia amica e basta. Aurora, perché hai telefonato?»

-«Così vuoi, così sia. Sei stato convocato.»

-«Io? Quando?!»

-«Domani sera alle venti.»

-«Così poco tempo?»

-«E’ già tanto saperlo.»

-«Allora ci vedremo presto!»

-«Già. Ho ottenuto che ti sia concesso il privilegio di un accompagnatore ufficiale.

Sarà da te fra poco.»

Tu tu tu tu tu tu tu tu tu tu tu tu

Fine della telefonata.

Fine della trasmissione.

Fine di cos’altro.

Fine.

Aurora, in virtù dei nostri precedenti ottimi rapporti di complici intese, aveva chiamato per dirmi di aver inviato “Qualcuno” a prelevarmi, con lo scopo affettuoso di non lasciare che effettuassi da solo il difficile viaggio di trasferimento che mi chiedeva di compiere.

Giusto?

Giusto.

Preparare i bagagli o sistemare i bordi sconnessi delle pagine già scritte?

Abbozzare il mancante capitolo cinque, titolandolo: “Bozzetti di famiglia”?

Di quanti Castelli, Pinete, Canneti, Tagliacapelli, Carrozzai Carrozzieri Uomini e Donne, presenti nel mio cuore con bandierine mascherate piuttosto che luminescenti, vorrei scrivere un “senza fine”?

E mia madre, mio padre, le sorelle?

Gilda?

Troppi.

Troppi, fino a domani sera alle venti.

Dei bagagli ne faccio a meno.

Bevo una mega birra super popolare.

Era di certo a breve distanza da me, a pochi metri se non addirittura in una delle stanze attigue.

Se avessi chiesto l’avrei saputo con precisione.

Le mie prime reazioni di stupore incredulità sorpresa “è così o no?”, malinconia sconforto abbandono “Che ci posso fare!”, immobilità fisica mentale sentimentale “Doveva accadere prima o poi”, vennero inghiottite insieme alla bella schiuma gialla della birra popolare e furono soppiantate da brevi fugaci emozioni mai dimenticate: i tesori ed i retaggi degli incontri determinanti per la indiscutibile amicizia tra me e la “Signora”.

La fama della mia amicizia con Aurora, in modo particolare dopo la pubblicazione di “La Notizia virgola la Condanna punto”, unitamente a tutta una serie di pettegolezzi urbani riguardanti il mio sistema di vita imbottito, dicevano, di estrema pigrizia indolenza disattenzione distrazione (io direi, invece, giusto impegno parsimonia e saggio economizzatore di beni importanti quali il tempo e lo spazio), “così o come” accadde per i films di Rochy, avevano posto la mia immagine all’apice del consenso, ma la mia vita privata nell’infernale sfera della popolarità.

-«è lui, è lui!»

-«L’amico di Aurora, venite…»

-«Ignazioooooo…»

-«Una birra popolare al signor Ignazio.

Mi permette una foto? Sì grazie. Scatta, fai presto, il signor Ignazio ha fretta.»

Un bestione alto due metri e trentacinque centimetri, tra pollice e mignolo, un giorno mi ha poggiato affettuosamente la mano sulla spalla e per poco non m’inchiodava al suolo come una palina di fermata autobus.

Una bagascia dai giochini veloci – ultra veloci – rapidi – urgenti tariffe maggiorate, mi ha baciato quasi sulla bocca nel supermercato gremito di gente e, forse peggio, ha spalmato sulle mie braccia con le sue ascelle sudaticce un indefinibile odore di capre e di pesci, di fattrici e di stalloni, di sessi e di colonie.

La bimbetta non ancora ragazzina stentava a comprendere gli ordini della mamma, però mi guardava come se fossi stato un vecchio Babbo Natale, intanto che mi tirava i pantaloni mostrando un blocchetto ed una penna per pretendere un autografo.

Sì forse è meglio cambiare programma, dicevo a me stesso durante ogni pausa di lavoro che mi consentivo (già non lo sapete, ma io lavoro, faccio il “A”.

“B” faccio l’assaggiatore di birre.

“C” faccio l’avvocato del diavolo.

“D” faccio l’uomo della provvidenza.

“E” faccio il servo degli istinti.

“F” faccio Ignazio di Frigeria e D’Alessandro.

“G” faccio l’uno e il trino più tre.

Bussano alla porta…

L’apnea è la scommessa perduta, la spirale avvolgente, il lusso svogliato.

Fine sesta puntata.

Segue la prossima settimana.

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Così o come
Un racconto di Bruno Mancini
inserito nel volume “Per Aurora volume terzo”

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Quinta puntata

Parte Prima

CAPITOLO TERZO

C’era una volta ed ora non c’è più, è una espressione di dolore dissimulato, la maniera atavica di considerare una perdita, qualsiasi essa sia stata, al pari di un accadimento ineluttabile, una forza del destino, una scelta divina, a secondo delle diverse dottrine alle quali ci si voglia rapportare.
C’era una volta ed ora non c’è più, è comunque una frase meno sferzante e dolorosa di: c’erano una volta ed ora non ci sono più.
Meno sotto tutti gli aspetti: quantità, certezze, valori.
Non sempre è possibile accertare, per singoli eventi, quanti siano stati coloro che “C’erano!”.
Nel tentativo d’identificare chi o cosa valga l’affetto che gli dedichiamo, e ne sia degno fino al punto da meritare l’inserimento nel nostro personale elenco speciale dei “C’erano!”, dobbiamo ricostruire molte difficili certezze.
Non sono certo che esista, per ogni situazione, uno specifico sistema adatto a farmi assegnare valore alle univoche diversità, nel caso in cui esse rappresentino i tanti o tante che “C’erano!”
“Così o come”: così trama e dubbio (sempre lui), o come da rivolo a torrente, il mio segreto addio saluta le PINETE D’ISCHIA.
C’erano.
Grazie ai miei amici ed ai miei nemici, se mai ne ho avuti degli uni e/o degli altri, le PINETE D’ISCHIA non ci sono più.
Proseguendo nella particolare marcia per l’avvicinamento alla efebica idea del racconto di uno spacco inciso tra le facce, di Ischia e degli ischitani, che ho amato in maniera inconsapevole, mi piombano addosso, scostumati, i canneti a ridosso delle distese sabbiose che merlavano con ricami inconsueti i bordi tra l’isola e il mare.
Era esaltante la solitudine di ascolti, tra venti e risacche, dei fruscii di lucertole verdognole e d’innocue bisce in contrappunti, duetti e contrasti con i battiti delle ali di calabroni simili ad elefanti, o di vespe ed api più veloci degli elicotteri modello da battaglia.
Ero lì.
Io c’ero.
Forse cercando vermi da usare come esche sulle trappole per uccelli, direbbe il diavoletto.
Assaporando la prima dose di una poesia drogante mai più dimenticata, direbbe il santarello.
Partecipando ad una irripetibile esplosione di schioppettante bellezza, direi io.
Così trama e dubbio, come da rivolo a torrente, il mio segreto addio
saluta i CANNETI D’ISCHIA.
C’erano.
Grazie ai miei amici ed ai miei nemici, se mai ne ho avuti degli uni e/o degli altri, i CANNETI D’ISCHIA non ci sono più.
Vorrei poter cambiare almeno il corso delle mie giornate per farle iniziare dalla sera e cessare all’ora di pranzo, trasformando in sonno la pennichella pomeridiana, ed in attiva fioritura le faticose ore che le notti attuali concedono alle mie vibrazioni.
Questo racconto semplice come può essere la ricostruzione, mentre sono bendato, bendato, del mio profilo nasale, apparentemente svogliato, privo di fronzoli e inganni né più né meno di Cappuccetto Rosso, ma, in effetti, affaticato dai problemi che torcono i sogni in desideri, che intrecciano passioni ed affetti, ricordi e realtà, il nostro andare in carrozzella ed il tiro del cavallo, questo racconto mi chiamerebbe fazioso sfuggente incompleto se non menzionassi la perla nera di tutti gli abissi che sono stati perforati con malvagità ed abusivismo sulla pelle e nel cuore della mia isola.
L’orca marina uccide per sopravvivere.
Il leone marino di oltre due quintali, caccia con volteggi essenziali.
“Così o come” un rudere, nel tempo delle PINETE e dei CANNETI, il CASTELLO sprigionava il lezzo dei morti ammazzati in tentativi di conquiste e difese, i profumi di spezie cortigiane e principesche, gli odori unici ed irripetibili di mirti o di muschi trasportati da brezze contrastanti tra ceneri vulcaniche e spruzzi d’onde sfacciate, gli effluvi per nulla evanescenti di sterco di muli e cavalli, i vapori solfurei della grotta deposito per polveri da sparo, il fumo della bestia rosolata a fuoco lento nel cortile delle feste.
“Così o come” un simbolo, nel tempo delle PINETE e dei CANNETI, il CASTELLO scopriva senza civetteria il suo interno, ove, rinchiusi racchiusi socchiusi, mitiche alcove, ruderi anonimi, antiche fortezze e nuove prigioni, in alcune notti fungevano da segreto richiamo per giovani coppie in cerca d’ispiranti atmosfere amorose, nei giorni di festa si confacevano a lussureggiante baita per famiglie in gita domenicale con la classica frittatina di maccheroni avvolta in due piatti ed una salvietta, e, non tanto raramente, si prestavano ad accettare il ruolo di solitario rifugio per sperduti intellettuali scappati dai disincanti di schematici palazzi cittadini.
“Così o come” una gioia, nel tempo delle PINETE e dei CANNETI, il CASTELLO offriva la luminosità dei nostri orizzonti naturali sparsa senza ritegno sulle profonde tracce lasciate nella rocca maniero da eventi impetuosi e passionali. Per ora basta così!
CASTELLO ARAGONESE IL CASTELLO D’ISCHIA.
Volete un residence, un ascensore, un botteghino, un ristorante, un cannocchiale sul golfo, volete una scia di storia coperta da muraglie di cemento, volete un isolotto bucato come una gruviera, squassato da malte e laterizi, illuminato con i fari ed i laser dei by night, stordito da urli urlacci musica musicaccia, volete una Vostra eredità intangibile trasformata in affare turistico: ecco a Voi IL CASTELLO ARAGONESE D’ISCHIA.
Oggi potete chiamarlo “IL CASTEL LETTO”.
Albergo a “?” stelle.
“Così” trama e dubbio, “come” da rivolo a torrente, il mio segreto addio saluta il: VECCHIO BALUARDO ARAGONESE, CASTELLO D’ISCHIA.
C’era.
Grazie ai miei amici ed ai miei nemici, se mai ne ho avuti degli uni e/o degli altri, il CASTELLO ARAGONESE D’ISCHIA non c’è più.

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CAPITOLO QUARTO

Sbambagiate anteprime di timpani.
La musica di Gershwin.

Violenta la Musa il suo clarino.
Va tutto bene.
Bacchetta d’Africa infernale.

Semplici dita ruotano sui tasti.
Tu nero tu bianco.
Le note e la bacchetta.

Riflessione in versi su un fantastico concerto diretto da Marshall e trasmesso da Rai tre alle due del 10/06/05.

“…
Ti benedica la Musa
mentre
non senza titubanti tenerezze
liberi suoni e silenzi da
orpelli congeniti
che
trascinano con affanno.
…”

Passato il tempo delle more, sopraggiunge il periodo dei fichi. Le angurie attendono impazienti.
Ora che ho quasi esaurito il rigido menabò, verde speranza come il colore di una papaia, impostomi per la millesima volta da una irriducibile vecchia vacca razionalità, ora, salve, non sono innocente.
“Ho pensato tutta la notte…” è una frase comune così o come “Ricomincio tutto da capo…”, “Coraggio.”, “Ce la puoi fare…”, “Non chiedermelo…”, “Il primo vagito.”, “Un sospiro!”, “Presente.”, “Pronto.”, “Sì.”, “No.”, “Perché?”, ma si meritano spazi consistenti in una iperbolica classifica anche “Cosa ne pensi?”, “Possiamo provare…”, “Ho preso qualcosa per cena.”, “Ci si può divertire.”, “Cos’è?”, “Come?”, “O.K.”, “D’accordo.”, “Chi è?”.
Lesto, mi preparo al meritato sollazzo di chi ha completato dopo un’ora il budget di un mese, l’oscar mi attende.
Sento una voglia gagliarda di oscurare tutto il mio lavoro riducendolo in un affresco in bianco e nero.
Neppure mi è chiaro cosa significa questa affermazione.
Forse che ogni inciso, parentesi, segno di punteggiatura, avverbio aggettivo preposizione e tutte le balzane forme di interpunzione, contengono virus malefici capaci di aggiungere sfumature ai decorati basamenti dei miei obelischi mentali, adducendoli sotto leviganti cascate normalizzanti?
Non voglio.

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CAPITOLO QUINTO

CAPITOLO SESTO

Mi benedica la Musa
mentre
non senza titubanti tenerezze
libero suoni e silenzi da
orpelli congeniti
che
trascinano con affanno.
“Così o come” (la mia nuova libidine esistenziale), non è
ancora terminato, né so se e quando avrò ancora palpiti che
m’indurranno ad aggiungere respiri e forme al suo cuore ormai pulsante, direbbe un cardiologo.
Comunque, se vuoi: Lui disse alla Musa

“……
non sia condanna, per le mie idee ansie
che nutro con poche scoregge di vita liberate dai miasmi
generali
cardinali
multinazionali

… ,
la tolleranza.
Che io sia follia,
non folle.”

Per dire che la voglia di consenso non dovrebbe convincere l’autore a togliere la scorreggia dal verso, “Così o come” nessun lettore, quantunque privilegiato, dovrebbe rompergli i coglioni con le “sue” idee, ansie, e tutto il resto.
Fin che posso, non allargo le gambe nel ruolo dell’autore, e non le accavallo in quello del lettore.
Ciao.

Fine quinta puntata.
Le precedenti quattro puntate sono state pubblicate il 29 gennaio, il 5 febbraio, il 26 febbraio e l’11 marzo.

Segue la prossima settimana.

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Un racconto di Bruno Mancini

inserito nel volume “Per Aurora volume terzo”

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Quarta puntata

 Parte Prima

CAPITOLO PRIMO

Altri personaggi candidati: – Andrea – Ciccio – Aniello…

Volendo comprendere le banalità insite nelle semplificazioni adoperate per ridurre in un breve promemoria una serie di azioni, tra loro simili ma differenti, è sufficiente permeare, spianare, e quindi valutare, quanto viene affermato in uno dei più celebri messaggi popolari.

Affidato a noi ragazzi dai saggi vissuti negli anni delle Pinete d’Ischia, esso proclamava: “Occhio che non vede, cuore che non soffre”.

Andrea era cieco e soffriva, sia a causa delle oggettive privazioni di cui la sua quotidianità risultava costellata, sia per i ricordi di quante meravigliose immagini avevano fermato i suoi sguardi nei tempi passati.

Egli pativa anche, o forse principalmente, in quanto il buio visivo nel quale era immerso da anni aveva dapprima circoscritta, ed infine definitivamente imprigionata, la sua indole di spontanea prorompente ricerca conoscitiva.

In un evidente contrappunto ai limiti fisici caratterizzati dalla deficiente situazione sensoriale, Andrea aveva affinata una capacità mnemonica quasi oltraggiosa a confronto di quella dei vedenti.

Ogni settimana, prevalentemente di venerdì, lo scrutavo mentre era impegnato a scandire una sequenza impressionante di colonne totocalcio alla compagnia di un esiguo gruppo d’amici.

Eseguiva, mentalmente, complicate elaborazioni.

Dettava serie enormi di dati che altrimenti si potevano attenere solo rivolgendosi a ricevitorie speciali dotate d’apposite attrezzature computerizzate.

Robotizzato, era un aggettivo che specificava bene le sue attitudini.

Non solo per lui era elementare lo sviluppo del “sistema” di sette doppie (che si articola in cento ventotto colonne di tredici segni ciascuna), ma con stupefacente naturalezza, bevendo un cappuccino e fumando un pacchetto d’Edelweiss, riusciva a dettare la serie completa di colonne di tutti gli altri sistemi, integrali o ridotti, per i quali gli si chiedeva collaborazione: quattro triple, tre triple e tre doppie, cinque triple e tre doppie ecc.

Non dico che ritenevo impossibile memorizzarne le formule, ma che mi colpiva la sua abilità di specificarne le risultanti colonne senza potersi servire d’alcun aiuto.

Insomma sono tuttora convinto che è certamente un risultato di grande concentrazione riuscire, senza neppure un foglio di carta ed una penna, ad elaborare quegli insiemi composti da tante numerose variabili.

Il Dispari 20240311

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Altri personaggi candidati: Renato…

-«Bongiur, chi lé Renatò pittooor artistà? Pittor? Fet capellì mio peìit?»
-«Bell Madama, eccomi, tutto per tuà.
Frances, acconcia il ragas, io penso alla Francès.»
-«Al top, al top, ahhh… an top… uhhh…»
-«Franco, quante volte devo dirti di non fare uscire sciù sciù dopo cena?
Riponilo in gabbia, vedi, la Signora ha paura.
Ti ho detto mille volte di non lasciarlo libero se ci sono persone estranee!
Non lo conoscono, poverine, e credono sia un topo!
Sciù sciù!
Cherì, non ti preoccup, ora lo risistemiam nel suo allogg natural.
L’abbiamo cresciuto noi, da piccolo.
Sapess com lu er tre malconc!
Dai Franco, sbrigati.
Al piccolo i capelli li facciam con taglio modern a spazzola, oppure con baset lunghe alla marsiglies?
Franco, Franco… … e acchiappalo, sotto la sedia… come sempre il birichino.
Scend, petit cherì madame, non morde, vuole solo digerire il pollo e le patatine fritte che ha mangiat nella dispensa, è bravo, sciù sciù, non mord, scendi, Matam e scendi Signora, appoggiati, bella Signora, Madame la franceson.
Così ohhh così con il braccio intorno alla mia spal, scendi piano piano, piano, piano, lentament, fammi sentire le braccia sul collo, cazzo che zizzona, FERMATI, sciù sciù è sotto il lavello, Franco sbrigati, spicciati…  aspetta, non correre, piano, afferralo senza fretta, Madame è bona… azzo se è bona…»
-«Ahh… Ahh… eccolo…»
-«Niente paur ora ti prendo in bracc e ti porto al sicur nel retrobotté.
Francooooo… … e tieni a bada il ragazzino!»

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CAPITOLO SECONDO

Il risveglio è a volte imbarazzante per i tanti enigmi nei quali era rimasto imbrigliato durante la sonnolenza.

Mi rendo conto di quanto sia assurda l’ambizione di regalarmi, volontariamente, un’atroce ossessione, eppure, nessun oblio mi tenta.

Il comodo abbandono di una risalita in ascensore si annulla di fronte alla vorticosa bellezza della scala acchiocciolata.

Voglio il mio.
Aspro e bollente.
Che sia il mio.

Gli architetti della vita non hanno predisposto ermetismi sufficienti ad impedire le fughe della mia fantasia.

Resterà negra e ribelle, piuttosto che conformarsi ai candori delle false fattrici di misteri.

Ai comodi abbandoni
di sbalzi
in ascensore,
vorticose bellezze
di scale acchiocciolate.
Voglio la mia.

Dalle false fattrici di misteri
insufficienti compromessi,
o Principi o Caini.

Voglio la mia
aspra e bollente.

Per assurde ambizioni
invento
atroci ossessioni:
orridi
oscuri
oblii.

Voglio la mia
aspra e bollente
negra e ribelle.
 
I veri architetti della vita
dileggiano
con antichi ermetismi,
o corde o grotte o celle.

Voglio la mia
aspra e bollente
negra e ribelle,
che sia la mia.

Imbrigliati da enigmi
di torpori,
risvegli imbarazzanti
osteggiano.

Voglio la mia fantasia
aspra e bollente
negra e ribelle,
che sia la mia,
in fuga solitaria.

Io sono acqua, ovverosia, il risultato di un fatto: ossigeno e idrogeno s’incontrano in una scarica elettrica.

L’uomo, la donna, idem.

A volte mi chiedo come mi comporterei, e quali scelte effettuerei, nella improbabile eventualità che un magnifico marchingegno scientifico biologico elettronico spaziale sfavillante (sfavillante è sì fuorviante ma attinente), sconvolgente e dissacrante, insomma iper moderno globalizzato (l’attrezzo di una estrema concezione della vita, il pomo del nuovo peccato originale, il sogno di ogni folle ricercatore artista autista di viaggi impossibili madre di flotte frignanti magnifici regnanti e scomodi accattoni utili servi e pavidi legionari…), rendesse possibile la retro metempsicosi.

Poter scegliere, prima di dissociare i contorti meccanismi molecolari che mi governano, in quale “X” già vissuto volermi riprodurre per proseguirne le abitudini e sopportarne i difetti.

Un cane, una pietra, un uomo?

Ai comodi abbandoni
di sbalzanti ascensori,
vorticose bellezze
di scale acchiocciolate.

Voglio la mia.

Per assurde ambizioni
m’invento atroci ossessioni:
orridi
oscuri oblii.

Voglio la mia
aspra e bollente.

Dalle false fattrici di misteri
insufficienti compromessi,
o principi o caini.

Voglio la mia
aspra e bollente
negra e ribelle.

I veri architetti della vita
dileggiano
con i loro antichi ermetismi,
o corde o grotte o celle.

Voglio la mia
aspra e bollente
negra e ribelle,
che sia la mia.

Imbrigliati da enigmi
di torpori,
risvegli imbarazzanti
osteggiano.

Voglio la mia fantasia
aspra e bollente
negra e ribelle,
che sia la mia,
in fuga solitaria.

Ma non scherziamo!

è già tanto se l’ippocampo non risulta inserito nella lista dei protetti, a guisa (che sciccheria “a guisa”) dei pentiti pluri extra super assassini.

I pipistrelli ci sono riusciti.

Forse con qualche raccomandazione, oppure, com’è documentato nell’archivio storico della mia immaginazione, con larvate minacce di penetrazioni notturne nelle quiete stanze dei rampanti animalisti ambientalisti autonomisti assolutisti accreditati difensori di tutto quanto esiste, fu, esistette, fu stato, è.

Un pipistrello in cambio di cento zanzare sarebbe un affare?

Nelle cities (plurale di city: città!) dagli immensi benesseri malesseri ossessi o sessi o calci nelle palle, sollecitati sbirri dondolano chiappe bucate per soldi e per potere.

Si sbaglia chi crede che ogni violenza è vincente, «così o come» un dito nel culo, ma non è per nulla certa la sacrale conquista da parte di ogni desolata pietà.

Ma non scherziamo!

Giulio era un uomo d’onore o di onore?

Ne farò una poesia.

Le guardie notturne
attaccano all’alba
la chiave alla bacheca,
i nostri giornali
il prode ed il bislacco.

Ma non scherziamo!

Attacco all’alba
Gl’ippocampi sguazzano
in ogni polla
al pari di pesci,
i nostri Giulio Generale
tra i baci dei prudenti.

Ma non scherziamo!

Attacco all’alba
con sciami di zanzare.
Ossessi dondolanti
per soldi e fra poteri
bucano chiappe cittadine,
i nostri uccelli neri
ronfanti animalisti.

Ma non scherziamo!

Attacco all’alba
con sciami di zanzare
per la sacrale conquista.
A Roma si scopre il
bianco alla finestra
sbaglia chi crede,
a Cuba
il rosso nella cella.

Ma non scherziamo!

Attacco all’alba
con sciami di zanzare
per la sacrale conquista
della vostra libertà.
 
Fine quarta puntata.

Le precedenti tre puntate sono state pubblicate il 29 gennaio, il 5 febbraio e il 26 febbraio.

Segue la prossima settimana.

Il Dispari 20240311

Per Aurora

Il Dispari 20240311

Il Dispari 20240311

Il Dispari 20240311

DILA

NUSIV

 

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Il Dispari 20240304 – Redazione culturale DILA APS

Il Dispari 20240304 – Redazione culturale DILA APS

Il Dispari 20240304

Il Dispari 20240304 – Redazione culturale DILA APS

Intervista all’Artista Paola Di Silvestro

Domenica 4 febbraio alle ore 17, incontro musicale, artistico, culturale a “Interno 4′” Roma, presentatrice dell’evento Chiara Pavoni, splendida padrona di casa.

Premiazioni ed esibizioni degli artisti della DILA APS, a cura del Presidente Bruno Mancini e ulteriori premi a cura del Presidente della Fondazione LA SPONDA Benito Corradini.

Tra i tanti bravissimi artisti premiati nel concorso, ho il piacere di intervistare una brillante e poliedrica artista: Paola Di Silvestro, la quale si è esibita a Interno 4 con un suo personale arrangiamento voce-chitarra della stupenda canzone “Summertime”.

Cara Paola, innanzitutto grazie per aver accettato questa intervista esclusiva per la pagina culturale del quotidiano IL DISPARI Diretto da Gaetano Di Meglio della quale l’Associazione di Promozione Sociale “Da Ischia L’Arte – DILA APS” cura la redazione tramite il suo Presidente Bruno Mancini..

Ho apprezzato molto la tua voce personale e il tuo arrangiamento.

Anche in precedenza, sempre qui a Interno 4, avevo avuto modo di essere presente ad altre tue esibizioni.

Inizio subito con la prima domanda:

D: Paola domanda fondamentale, da quanto tempi danzi, canti, suoni?

R: Ho iniziato ad esibirmi con la danza da giovanissima,verso i diciassette anni, ma ho sempre fatto audizioni multiartistiche.

Ho fatto parte di compagnie di danza e dopo qualche tempo anche in compagnie di canto lirico.

D: Quali sono i tuoi progetti attuali e quelli futuri?

R: In questo momento sto percorrendo un nuovo cammino, chitarra- voce, con arrangiamenti personali.

A breve inoltre dei concerti madrigali.

D: Ad oggi, ti ritieni soddisfatta delle tue esperienze  artistiche?

R: A livello artistico posso dire di aver raggiunto un buon livello e quindi un buon curriculum. 

Purtroppo il mio è un campo molto difficile, tanta gavetta e poco professionismo.

Bisognerebbe creare e tutelare a livello professionista anche gli Artisti che, spesso, per mantenersi devono avere un altro lavoro.

D: Se potessi suggerire una domanda a chi ti intervista, quale sarebbe?

R: Sicuramente mi farei chiedere se mi piace quello che faccio. E la mia risposta sarebbe che sì, credo e amo quello che faccio.

La continua crescita, la costante ricerca non solo musicale ma anche a livello poetico e storico che aumenta la mia crescita personale.

La passione intensa nel poter lavorare con il materiale letterario, poetico e musicale e creare in modo personale.

D: Cosa vorresti suggerire a chi si occupa a livelli istituzionale di cultura?

R: Credo che noi tutti artisti dovremmo unirci e chiedere alle istituzioni competenti di prendere visione della necessità di crescita lavorativa professionale.

Un riconoscimento effettivo per migliorare e tutelare il lavoro degli artisti, non solo a livello remunerativo ma anche come luoghi dove esibirsi.

Con quest’ultima risposta, saluto e ringrazio Paola  Di Silvestro per aver accettato  la mia intervista, augurandole una ottima riuscita dei suoi imminenti progetti.

Antonella Ariosto

Il Dispari 20240304

Paola Di Silvestro

Paola Di Silvestro

Il Dispari 20240304

DICHIARAZIONE RICHIESTA per la partecipazione alla 13a edizione del Premio internazionale di arti varie “Otto milioni” 2024

Aggiungere i dati richiesti, ed inviare entro il 15 Maggio 2024 a ottomilioni@dilaaps.it

Info & contatti: – Tel. 3914830355 – ottomilioni@dilaaps.it

Io sottoscritto/a

residente a

in Via

N CAP

tel.

e-mail

avendo letto, ed accettando tutte le norme del regolamento relativo alla 13a edizione del Premio “Otto Milioni”2024 pubblicato anche tramite web all’url

https://www.dilaaps.it/bruno/premi-otto-milioni-2024/

manifesto l’intenzione di partecipare alla sezione

POESIA □           ARTI GRAFICHE □         ARTICOLO □               VIDEO □

e, pertanto, nella mia qualità di Autore, allego l’opera dal titolo:

A tale scopo DICHIARO di essere stato informato, ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs.196 /2003 sulla tutela dei dati personali, che i miei dati personali forniti all’atto della compilazione della presente richiesta d’iscrizione saranno trattati, in conformità alle norme legislative e regolamentari vigenti e applicabili, con modalità automatiche, anche mediante sistemi informatizzati, solo ed esclusivamente nell’ambito delle operazioni necessarie a consentire la partecipazione del sottoscritto alla 13a edizione del Premio “Otto Milioni”2024 ideato da Bruno Mancini e organizzato dall’Ass. “Da Ischia L’Arte DILA APS”; di acconsentire, con la presente richiesta d’iscrizione, al trattamento dei miei dati personali svolto con le modalità e per le finalità sopra indicate ed in conformità alle norme legislative e regolamentari vigenti e applicabili; di essere a conoscenza del fatto di poter esercitare i diritti previsti dall’art. 7 della Legge 196/2003, tra i quali il diritto di ottenere la conferma dell’esistenza o meno di dati, nonché la loro cancellazione mediante comunicazione scritta da inoltrare al titolare del trattamento dei dati personali ai sensi e per gli effetti della stessa legge; volere concedere a Bruno Mancini il diritto di pubblicare ed utilizzare la mia suddetta opera in ogni forma e modo, alle condizioni di seguito indicate, affermando, sotto la mia personale responsabilità, di esserne l’unico autore, l’unico titolare dei diritti e di poterne liberamente disporre, così che Bruno Mancini avrà il diritto pieno, esclusivo e definitivo dì pubblicare e di utilizzare in ogni forma e modo la mia suddetta opera nel rispetto del diritto morale dell’autore ai sensi dell’art. 2575 codice civile (diritti di autore e di ingegno), e avrà il diritto di pubblicare la mia suddetta opera anche in via telematica a mezzo internet, come proposta da me Autore e non sarà tenuto ad effettuare alcuna correzione; aver concordato in maniera definitiva con Bruno Mancini che egli NON corrisponderà alcun compenso presente o futuro in mio favore né a titolo di “diritto d’autore”, né per alcun altro diritto, pretesa, rimborso, compenso ed indennità, poiché sono favorevolmente disposto a destinare la mia suddetta opera al gratuito utilizzo da parte di Bruno Mancini per qualunque forma di pubblicazione, e per qualsiasi utilizzazione egli voglia decidere, restando inteso che avrò comunque piena ed assoluta disponibilità della mia suddetta opera, senza dover chiedere consenso a Bruno Mancini, né dovere in alcun modo rendergli conto del suo utilizzo, in quanto io sottoscritto Autore resterò unico titolare della proprietà intellettuale della mia suddetta opera;

Data e Luogo                   Firma dell’autore

Ai sensi dell’art. 1341 cod. civ. approvo tutte le clausole del regolamento pubblicato all’url  https://www.dilaaps.it/bruno/premi-otto-milioni-2024/

Data e Luogo                               Firma dell’autore

13a edizione del Premio “Otto Milioni”2024

Il Dispari 20240304

Il Dispari 20240304

SEMPE MIA

Ecco il testo e il link al video della canzone di Franco De Biase, , Bruno Mancini,

finalista della nona edizione del Festival di Napoli

che fa esplicito riferimento alle bellezze della nostra isola d’Ischia.

 

Guardanno ‘o mare d’Ischia pittarse tutto ‘e russo

‘ncopp”a’ questa bella sabbia e questa spiaggia di sera

no potentino muto muto suoni ‘no returniello

turnanno c”o penziero a ‘e gruosse ammore antiche.

 

Lasciarmi circondare da ricordi ed emozioni

e scrivere poesie come ‘e na vote

fino a quanno ammore me sbatte mpietto

questi colori intorno a me mi rendono ubriaco e triste.

 

E tu pe’ me si sempe mia sempe mia

rimane in questo cuore così com’è adesso

la luce è cannella mi sento attratta

‘a chistu ammore ‘e fuoco ca me rapisce ‘o core.

 

Sull’ereva nfuriata d”o risturante indiano

sturduto a ll’uocchie belli ‘e chesta fata mia

cumparsa areto ‘o lumme ‘e ‘na luce fioca

rapito ‘a chist’ incant resta l’anima mia.

 

Le promesse e i giuramenti non devono essere lasciati indietro

sarria felice e tu la mia regina

Ischia è la terra di questo grande amore

e il mito e la passione dell’eterna giovinezza.

 

E tu pe’me si sempe mia sempe mia

rimane in questo cuore così com’è adesso

la luce è cannella mi sento attratta

‘a chistu ammore ‘e fuoco ca me rapisce ‘o core.

 

https://www.dilaaps.it/bruno/sempe-mia-video/

Franco De Biase, , Bruno Mancini, Franco De Biase, , Bruno Mancini,

Franco De Biase, , Bruno Mancini,

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EMMEGIISCHIA

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Il Dispari 20240212 – Redazione culturale DILA APS

 

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Il Dispari 20240212

Il Dispari 20240212 – Redazione culturale DILA APS

Il Dispari 20240212 – Redazione culturale DILA APS

La Premiazione all’Interno numero 4

Domenica 4 febbraio ore 17 presso “Interno 4” Via della Lungara 44 Roma, importante evento culturale, musicale, artistico, con premiazione.

Da Ischia a Roma tutti i premiati della dodicesima edizione del premio “Otto milioni”.

Il presidente DILA APS Bruno Mancini e Chiara Pavoni, bravissima  attrice, modella, presentatrice e splendida “padrona del salotto culturale” hanno premiato tutti i vincitori del concorso, presenti qui a Roma.

Ulteriori premi sono stati donati anche dal Presidente della rivista La Sponda, Benito Corradini.

All’orario stabilito le luci del salotto si sono illuminate di arte, musica e premi.

Splendide le esibizioni  delle virtuose musiciste:

Maria Luisa Neri – violino

Giorgia Sabatini – violino

Roberta Coco – oboe

Santina Amici – pianoforte.

Complimenti  alle bravissime cantanti liriche Il Dispari 20240212 – Redazione culturale DILA APS la quale ha proposto due esibizioni molte belle: “Habanera” e “Non ti scordar di me”.

Complimenti a Paola Di Silvestro per il  suo personale arrangiamento, chitarra e voce, della canzone “Summertime”.

Vincitori  e premiati del concorso:

Luciana Capace,

Angela Maria Tiberi,

Milena Petrarca che ha esposto alle pareti del salotto i suoi meravigliosi quadri, opere davvero ammirevoli.

Il Dispari 20240212 – Redazione culturale DILA APS

Il Dispari 20240212 – Redazione culturale DILA APS

Altra presenza importante è stata quella del bravissimo professore psicoterapeuta Evaldo Cavallaro che del salotto è molto assiduo.

Come nota personale desidero dichiarare la mia grande emozione quando sono stata inviata da Chiara Pavoni a declamare una mia poesia tratta dalla silloge “La Valigia di…” (edita da Luciano Zampini Editore con copertina del bravissimo e originale pittore milanese Bruno Vergani), libro che insieme ad un’altra mia opera, un racconto breve”Nina e i suoi voli” (edito Accademia Edizioni ed Eventi), ho presentato nel prestigioso Centro Internazionale di Brera a Milano, in occasione  del Bookcity 2023, su invito dell’Associazione di Promozione Sociale “Da Ischia L’Arte DILA APS” durante un evento condotto da Chiara Pavoni ed organizzato dal Presidente DILA APS,  Bruno Mancini.

Il Dispari 20240212 – Redazione culturale DILA APS

Il Dispari 20240212 – Redazione culturale DILA APS

Il pomeriggio artistico, culturale, musicale, si è infine concluso con l’emozionante performance con cui la bravissima Chiara Pavoni ha declamato la poesia di Bruno Mancini “Eppure se” tratta dal libro”Dialogo di una schiava”.

Una poesia, vuoi per gli splendidi versi, vuoi per la magistrale recitazione, arrivata di filato all’anima.

Il bagaglio emozionale ha così raggiunto il culmine, lasciando in tutti noi presenti un’impronta indelebile.

Antonella Ariosto    

Il Dispari 20240212 – Redazione culturale DILA APS

Il Dispari 20240212 – Redazione culturale DILA APS

 

 

 

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