Il Dispari 20180507 – Redazione culturale

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Il Dispari 20180507 – Redazione culturale

Il Dispari 20180507

Il Dispari 20180507 – Redazione culturale

Caterina Guttadauro La Brasca

LA STORIA SIAMO NOI

Era la solita ora, pomeriggio inoltrato e nelle vie assolate di un povero paese della Sicilia si ripeteva lo stesso rituale: tre bambini avevano più o meno finito di fare i compiti ed erano sull’uscio di casa, pronti a fare qualsiasi cosa fosse loro chiesto pur di avere poi il permesso per andare a giocare a pallone, nella piazzetta antistante la chiesa.

Le mamme brontolavano ma, erano maschietti e lo sport li aiutava a scaricare la loro vivacità e a farsi degli amici.

Cosi Erasmo, Giuseppe e Gaetano si riunivano, strada facendo, e giù a rotta di collo, lungo la via acciottolata, con il rischio di percorrerla ruzzolando, se uno dei tre avesse perso il passo.

La verità che raccontavano era tale solo in parte:

si recavano sì nella piazzetta ma per andare al “Circolo dei Reduci”.

Era una casa a piano terra, malandata, dove seduti su delle sedie poco stabili c’erano i vecchi del paese, quelli che erano parte della sua storia, che erano andati in guerra ed avevano avuto la fortuna di tornare.
Tre di loro portavano gli stessi nomi di quei ragazzi dei quali erano i nonni.

Un’insegna di cartone, attaccata alla porta con lo spago e che regolarmente cadeva quando c’era vento, spiegava a chi aveva la fortuna di sapere leggere, che coloro che si riunivano in quella casa erano uniti da un passato di eroismo e di battaglie che, tenuti in vita dalle parole, erano diventati ricordi.

Tutti e tre avevano servito la loro Patria, ognuno in modo diverso dall’altro ma con lo stesso
patriottismo e lo stesso coraggio.

Quasi tutti avevano un bastone a cui si appoggiavano per alzarsi, le ferite di guerra parlavano ancora e l’intensità del dolore non permetteva loro di dimenticare.

In quella misera stanza, ogni giorno, si consumava la liturgia del racconto ed erano diventati così bravi che se uno si fermava perché, quasi soffocato dal fumo del sigaro, ripetutamente aspirato e spento, l’altro continuava anche per lui.

Le donne non capivano questa necessità di parlare sempre del passato, soprattutto ai ragazzi che potevano rimanere turbati.

Ma i vecchi erano testardi e sapevano che credere in qualcosa significava lottare perché non sia dimenticata.

Così i ragazzi si accovacciavano ai loro piedi e, in religioso silenzio, ascoltavano quello che tre giovani soldati avevano fatto nella prima guerra mondiale per farli nascere in una terra più libera.
Erasmo era stato ben cinque anni in guerra, spesi in parte a combattere e in parte prigioniero degli Austro Ungarici che gli avevano rubato l’infanzia dei suoi figli.

Giuseppe era il più malridotto dei tre:

arruolato fresco di laurea, fu mandato in prima linea, al comando di un drappello di uomini coraggiosi.

Era il primo ad andare all’assalto e l’ultimo a rientrare.
Già, perché allora si combatteva così, corpo a corpo ed a fermarti erano solo le bombe o la morte. Tutte le volte che rientravano da un’operazione, Giuseppe contava i suoi uomini e, se qualcuno mancava all’appello, si tornava indietro a cercarlo, vivo o morto.

Durante una ritirata, ormai sopraffatti dalla superiorità numerica del nemico, fu individuato e, mentre correva, per sfuggire alle bombe che piovevano dall’alto ed al fuoco di una mitragliatrice che si faceva strada tra gli alberi, saltò dentro un pozzo dove riuscì, fortunatamente, a trovare un appiglio: era un arbusto dalle profonde radici che lo sosteneva mentre le sue gambe, ferite, penzolavano inerti dentro l’acqua di un inverno ghiacciato.

Quella notte – Giuseppe pensò – che fosse l’ultima e proprio mentre lasciava andare le mani, ormai ferite per la lunga presa, prima di perdere i sensi sentì una voce che gridava: «Venite, qui c’è il Capitano.»
Lo salvarono ma le sue gambe rimasero per sempre indolenzite.

Gaetano era il più giovane dei tre

e il suo amor patrio era pari alla sua voglia di vivere e divertirsi. Era sbadato e fu grato a Dio quando fu assegnato alla foresteria, lontano dal fronte dove sarebbe andato incontro a morte sicura.
Il minimo rumore di combattimento lo disorientava al punto da fargli mollare qualunque comando stesse eseguendo per rifugiarsi in qualche posto più sicuro.

Quando arrivò alla conclusione che nessuna guerra poteva essere la sua, decise di accorciare i tempi e si cacciò uno spicchio d’aglio dentro un orecchio.

La paura aveva vinto sul coraggio, ma, spese notti intere a scrivere messaggi da recapitare ai familiari per quei feriti che non sarebbero più tornati.

Si procurò un’otite purulenta ed il Comando fu costretto a rimpatriarlo perché il timpano si danneggiò a tal punto da rimetterci l’udito.

Le tasche della sua divisa, sopravvissuta anch’essa alla guerra, erano piene di bigliettini e, laddove fu possibile, arrivarono a destinazione.

Tutti e tre erano partiti perché quando la Patria chiama il dovere impone di andare, ma in guerra ti misuri con te stesso oltre che con il nemico e, quando torni, ti accorgi che le macerie non sono solo fuori ma anche dentro di te…

Caterina Guttadauro La Brasca

 

Angela Maria Tiberi recensisce “Il colore degli aquiloni”

scritto da Francesco Terrone

Francesco Terrone è un noto personaggio internazionale della cultura italiana, profondamente umano, che colpisce il cuore del lettore dal primo verso e grida al mondo di smettere di odiarsi facendo le guerre ed opprimendo gli innocenti come i bambini, e sente la necessità che l’amore va vissuto quotidianamente per eliminare la violenza esistente fra le mura domestiche.
In questo testo c’è la declamazione dell’amore e le sue varie sfaccettature

“Le stagioni dell’amore”

Le stagioni dell’amore sono così,
ognuna di esse ha i propri colori,
i propri sapori,
le proprie emozioni,
così ogni amore
ha l’amore
che gli spetta
il cuore che
gli tocca.

Immenso è l’amore verso la vita, e il legame che lo lega alla sua amata traspare nella poesia

“La vita è bella”

Aggrappati a me
amore mio,
so del tuo tormento,
del tuo dolore,
ma la vita
è bella
vivila…
È bello ascoltare
il canto degli uccelli,
sentire lo scroscio
delle acque dei ruscelli,
sentire il profumo
dei fiori,
sentire il calore
del mio amore…
Aggrappati a me
raggio di sole
che illumini
e riscaldi
il mio cammino…
Solo attraverso
i tuoi occhi
posso vedere
i colori della mia vita…
Aggrappati a me
e fammi vivere.
Vivi, amore mio…

Profondamente sentita da me, perché delusa d’amori non ricambiati ma attaccata alla vita e alla poesia che mi guarisce dal mio mal di vivere e credere sempre nella bellezza dell’esistenza anche quando l’amore non viene corrisposto da chi si ama, è questa poesia profondamente veritiera. Inutilmente…

Quand’ero
ragazzo
pensavo che le lacrime
cadendo dagli occhi
e bagnando
un fiore
potevano contribuire
a farlo crescere.
Oggi penso
che le/mie lacrime
cadendo
dagli occhi
possono
solamente
farlo seccare…

Meditazione, quando l’amore non è corrisposto non occorre piangere ma basta l’indifferenza per dimenticare.
Amando la propria vita e la propria esistenza e perdonando il proprio simile c’è pace in se stessi ed armonia intorno a sé.

“Everest”

C’è una montagna
sulla cui cima
nessun uccello vola,
nessun ‘aquila
fa il proprio nido…,
quella cima
è la cima
del mio cuore
la cima della mia solitudine…
nessun amore
vi fiorisce,
nessun amore
può mai morirvi…

I sostenitori dei suoi testi esprimono concetti molti profondi e ci invitano a riflettere sulla poetica del nostro amato Francesco Terrone e, sinteticamente,

Eugenio Santelli dichiara:

“…artista raffinato,poeta dai contenuti forti ma essenziali per le tematiche affrontate,dal linguaggio ricco, attinente, preciso, evoluto, e che ha cultura e passione, idee ed emozioni che sanno imprimere una svolta al nostro mondo, che ne ha bisogno,che ne ha bisogno,che ne ha un terribile bisogno,sprigionando in tutti coloro che lo leggono un senso di pace, di pace vera, interiore ed esteriore.”

Bellissima la conclusione del testo dopo la profonda lettura del suo meraviglioso curriculum
Condivido il suo pensiero e la mia tristezza passa leggendo le sue poesie.
Vista l’attività che svolge come ingegnere e imprenditore, la poesia potrebbe sembrare un hobby ed invece essa è per lui una ragione di vita.

Angela Maria Tiberi

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DILA

Premi Otto milioni

Il Dispari 20180430

Il Dispari 20180430 – Redazione culturale

Editoriale

Così come voluto da Gaetano Di Meglio, Direttore di “Il Dispari”, in questa pagina continuiamo la pubblicazione di tutti i testi proposti nell’antologia “Penne Note Matite” edita da Il Sextante di Mariapia Ciaghi.
Oggi tocca a me presentato da Roberta Panizza.
Buona lettura!

Bruno Mancini

Nel leggere i versi “ad ampio spettro” di questo poeta, il lettore si trova ad attraversare le più diverse sensazioni emozionali: a tratti stupito rapimento per il modo in cui il freddo tecnicismo delle figure retoriche, fluendo da questa penna, sia capace di trasformarsi in palpabile emozione; oppure una certa qual perplessità derivante dall’esplicita asprezza di alcune espressioni le quali però, nell’immediatezza del messaggio così consegnato al lettore, riescono a racchiudere una forza e una potenza non consuete in poesia; oppure ancora simpatia, quasi tenerezza, per l’immagine del giovane poeta che traspare da certi versi in alcuni momenti accorati ed enfatici, certamente ancora limpidi.

Sensazioni, emozioni, flash intermittenti sulla vita interiore di un poeta: di questo si “accontenti”chi legge Bruno Mancini così, come dovrebbe accadere per la lettura di un qualunque altro poeta nel quale ci troviamo ad imbatterci.

Lasciarci trasportare nel percorso, forse tortuoso certo ineguale dei versi che vi propongo del nostro autore, ci farà entrare in contatto e vivere in prima persona i caleidoscopici accadimenti interiori di un’anima in una visione che solo la vera poesia può offrirci.
Roberta Panizza

Poesie di Bruno Mancini

Un’ombra

Un’ombra
sconvolge
la piana di alghe statiche
con ritmo lento di medusa
con pause di dolcezze lunari
– sotto
le sabbie
smosse
più calde ed umide -,
un’ombra una carne un’ora
Tu.

Non sono un principe

È nuova notte di luccichii vagabondi
nei cieli scuri dell’emisfero boreale,
notte di San Lorenzo,
senza luna e senza nuvole
sfilacci di bagliori intensi:
quasi comete.

È breve notte di desideri eterni
abbracciati all’amata sulla spiaggia,
notte dei primi turbamenti,
in angoli distanti dalla folla
sorrisi silenzi sospiri:
quasi nirvana.

È ancora notte di fichi d’india nel cervello
a sciami indecisioni prive di senso,
notte dell’ultimo verdetto,
per l’uomo che manca di difese,
e invoca appigli pretestuosi:
quasi giustizia.

In questa notte di balconi aperti
dove l’afa ristagna indisturbata,
oggi stanotte,
nemmeno chiedo aiuto alla leggenda
e mi destino un ruolo di coerenza:
“Domani sarò Principe del tutto o nulla”.

Fui tuo, silenzio,

Lo so, fui tuo, silenzio,
in mille notti d’alba
là dove
incerta
soligna
smaniosa
intensa
l’eutanasia propone ancora un dopo.

Fosse soltanto vita,
coraggio di mai dette bestemmie
qui mentre
la sento
l’invoglio
l’invidio
la temo,
la debolezza che m’impedisce il dopo!

Il verso non ha tempo d’aspettare
finisce all’alba se finisce l’alba.

Parla creatura

Parla creatura
nel segno del delirio
invoca l’ora
spingimi forte
e taci.

Calare in sospiro frenato
Calare in rimossa esistenza
Calare lucida coltre
sul grembo assorto.

Urla viziata fronte.

Parlo di te

Parlo di te
con me
nella semplicità di un riposo
sull’acqua
parlo di te
nella sincerità di una solitudine
con me
sull’acqua.

Parla di te
con me
un filo d’erba
sull’acqua
l’immagine di un’isola
sul mare
nella sincerità di un riposo
parla di te
a me
nella semplicità di una solitudine
sull’acqua
il volo di un volo di gabbiani.

Anche è stata una scure

Anche è stata una scure
sul pendio
il nostro rotolare avvinti
per erbe.
Così furono notti
scavate nei giorni.
E se c’era una bocca
era mossa su un seno:
calice lungo
cola aroma
con un sottile scorrere.
Sulle pietre
sulla carne.
Mani cieche veloci
e la terra nelle dita
e ogni volta più acuto l’affanno.
Notti intere
scavate nei giorni.

Ceri nel buio di una notte

Ceri nel buio di una notte
oltre desiderate vane trasparenze.
Desiderate notti
quando solo si sentiva muovere
senza posa, incantata,
una mano su un cuore
– ed era niente finanche l’eterno –
e l’addolciva e lo spaccava
fiore di neve su azzurro.

Stelle sul mio cammino,
e una scala mostrava e velava,
e tu, che pure velavi.

Ceri nel chiuso di una stanza,
alti sopra disumana speranza.

Speranza di ritorno
solitario a carpire volo d’affetto,
veloce abbaglio
che la mente perdona.

E chiuderò nell’ossessione incerta.

Sono già colmo,

Sono già colmo di balzani presagi,
ora che il timpano auricolare destro
assorbe a malapena il caos
il caos di motori arrugginiti,
la feccia di pagliacci umani,
la polvere del nulla.

Schierando eventi di memorie,
listelli a forma di scacchiera,
il padiglione sinistro
sinistro reticola notizie drogate
– sarà la prima volta che…-
– che prima volta, l’ultima -.

Ho tempo ancora per ricomporre
mosaico dal centro al nulla
zigrinando in fuochi a spirale
spirale verso infiniti agganci alla follia,
nel mi bemolle minore
per un bel sogno che non dura sempre.

Eudonna Magazine

Trimestrale alla cui redazione collabora l’Associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA”.

Il Sextante di Mariapia Ciaghi ha presentato a Faenza c/o la Loggetta del Trentanove “Le Nostre Donne“: bipersonale di Guido Angeletti e Franco La Spada con esposizione di esemplari dei gioielli in ceramica di MUKY.

In occasione dell’inaugurazione c’è stata la presentazione di Eudonna Magazine (acquistabile ad Ischia presso l’edicola sita nella Piazzetta San Girolamo), trimestrale alla cui redazione collabora l’Associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA”.
La rivista fino dalla prima uscita ha già ottenuto ampio consenso per qualità grafica e contenuti.

L’evento si chiuderà con il Recital del soprano Tania Renzulli.

Guido Angeletti,

nato a Bologna il 24 ottobre 1954, dopo esperienze come designer e realizzatore di gioielli artistici, la sua passione per la scultura lo porta a iscriversi all’ Accademia di belle Arti di Bologna, dove consegue il Diploma Accademico in scultura nel 2004.

Nell’ultimo periodo concentra la sua attenzione creativa sul mondo femminile.

Da questo è nato un gruppo di opere, dal titolo “Le Nostre Donne” che vogliono evidenziare alcuni aspetti della condizione della donna e il suo ruolo nel mondo di oggi.

Queste sculture, fuse in allumino e bronzo con la tecnica della cera persa, risentono, nella finitura delle superfici, delle precedenti esperienze nel campo del gioiello artistico.

Ecco quindi che la materia prende vita attraverso il gioco plastico di curatissime lucidature a specchio alternate a testurizzazioni e patinature classiche che caratterizzano una delle peculiarità espressiva dell’artista.

Franco La Spada,

artista trentino, nato a Brentonico – Rovereto il 14 dicembre del 1955, frequenta l’Istituto d’Arte a Trento.Maestro d’arte,dipinge murales e meridiane abbellendo i paesi di montagna a partire dalla sua Brentonico.

Molte le mostre personali con particolare attenzione al soggetto femminile.La donna è da sempre fonte inesauribile di ispirazione e immensa è la quantità di opere che la vede protagonista nella produzione artistica.

Conquistato dal soggetto femminile Franco La Spada “sa cogliere, sempre prima con il cuore, quello che la vita gli pone davanti”. Franco, come scrive Iva Berasida tempo fa da maestro a gruppi femminili lungo percorsi di apprendimento artistico. Anche questa frequentazione, attraverso l’arte, gli ha permesso di entrare nell’anima e nella mente delle donne, con garbo, rispetto e leggerezza. Innamorato del soggetto femminile,lo dipinge con sentimento di ammirazione ed emozione e ne fa emergere seduzione e dedizione, virtù e piacere,ambiguità e sincerità cogliendo l’intima essenza delle donne.”

MUKY, Wanda Berasi

nasce a Trento il 9 ottobre del 1926.
Giovanissima si trasferisce a Roma ed è allieva di Mazzacurati, Leoncillo e Guttuso all’Accademia Tedesca di Villa Massimo. In quel periodo espone con personali a Roma, in Canada, in altri luoghi in America e in Austria.

Nasce il nome d’arte MUKY: “Allora le donne non erano considerate nell’arte; erano schiacciate nell’orgoglio e nel talento. MUKY era un nome che non permetteva di capire, a chi vedeva solo le mie opere, se ero un uomo o una donna. E ha funzionato“.

Nel 1955 arriva a Faenza città della ceramica. Inizia a collaborare nello studio dell’artista Domenico Matteucci che diventa il compagno della vita.

Estroversa, solare, intelligente, attenta, aperta al mondo, diventa riferimento artistico e culturale per la città. Porta l’informale modellando e smaltando forme in nero e bianco, esponendo le sue opere in Europa, America, Giappone, Sud Africa.

Apre al pubblico le porte della sua casa ancora oggi, con ospiti importanti: Enzo Biagi, Ruggero Orlando, Roberto Gervaso, Tonino Guerra, Raul Casadei, Alberto Bevilacqua, Vittorio Sgarbi, Franco Fontana, Nino Migliori, Maurizio Galimberti, Mario Pincherle, Dario Fo, Paolo Poli, Ottavia Piccolo, Alessandro Bergonzoni, Cesar, Enzo Dallara.

Ognuno ha lasciato una scritta su un piatto di ceramica componendo una straordinaria collezione con centinaia di dediche a rappresentare uno spaccato della cultura italiana.

TANIA RENZULLI

Ha iniziato gli studi musicali in Svizzera.

Dopo essersi iscritta al Conservatorio di Santa Cecilia di Roma, si è qui diplomata in canto nella classe del baritono Paolo Silveri. Ha cantato nelle principali città italiane e all’estero, rappresentando tra l’altro l’Italia in Grecia, durante le manifestazioni per Atene «capitale della cultura europea».

Oltre a lusinghieri consensi di critica e di pubblico, ha ottenuto numerosi premi, tra cui: Premio ACLEA , Premio IL GABBIANO, Premio FOYER DES ARTISTES.

Laureatasi in lettere con lode presso l’Università degli Studi la Sapienza di Roma , ha conseguito varie specializzazioni nel campo dei beni culturali , dove è stata impegnata in collaborazioni con diverse testate giornalistiche e Radio televisive, soprattutto in ambito musicale.

In tale settore si dedica attualmente sia all’attività organizzativa sia a quella esecutiva , prevalentemente concertistica. Grazie alla duttilità della tua voce, il suo repertorio spazia dalle arie da camera all’opera, dal musical alla canzone napoletana.

 

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Bruno Mancini

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