Il Dispari 20240429 – Redazione culturale DILA APS

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Il Dispari 20240429 – Redazione culturale DILA APS

Il Dispari 20240429

Il Dispari 20240429 – Redazione culturale DILA APS

Michela Zanarella in libreria con il romanzo “Quell’odore di resina”

Un esordio che pone al centro la determinazione e il coraggio delle donne.

Michela Zanarella, pregiata penna di questa testata giornalistica, Socia Fondatrice dell’Associazione culturale “Da Ischia l’Arte“, comunica che dal 22 marzo è disponibile in libreria il suo primo romanzo “Quell’odore di resina” edito da Castelvecchi.

Dopo numerose pubblicazioni di poesia in Italia e all’estero, l’autrice si mette alla prova con la narrativa, senza dimenticare la poesia che si respira anche tra queste pagine.

Un esordio che pone al centro la determinazione e il coraggio delle donne.

Come sinossi del suo romanzo lei scrive:

La protagonista è una giovane con tante insicurezze e infiniti sogni.

La sua quotidianità è scandita dal lavoro in un ambiente poco femminile e da rari momenti dedicati a sé stessa.

La vita la mette costantemente alla prova e le riserva incontri ed esperienze inaspettati.

Un tragico incidente cambia per sempre il suo modo di essere e la porta a compiere delle scelte.

Dopo momenti di sconforto e dolore, arriva chi sa comprendere il suo desiderio di fuga da una realtà che non la fa sentire libera.

Ma le ombre e i fantasmi del passato non se ne vanno.

Solo i luoghi d’infanzia nel ricordo e una nuova passione sembrano ridare fiducia e coraggio alla protagonista, che cerca di non arrendersi.

Imparare a conoscersi non è semplice.

Saranno le parole la chiave perfetta del cuore.

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Michela Zanarella è nata a Cittadella (PD).

Dal 2007 vive e lavora a Roma.

Giornalista pubblicista si occupa di relazioni internazionali e collabora con la redazione di Periodico Italiano Magazine, Laici.it e Brainstorming Culturale e altre testate.

Ha pubblicato le seguenti raccolte di poesia: “Credo” (2006), “Risvegli” (2008), “Vita, infinito, paradisi” (2009), “Sensualità” (2011), “Meditazioni al femminile” (2012), “L’estetica dell’oltre” (2013), “Le identità del cielo” (2013), “Tragicamente rosso” (2015), “Le parole accanto” (2017), “L’esigenza del silenzio” (2018), “L’istinto altrove” (2019), “La filosofia del sole” (2020).

Le sue poesie sono state tradotte in oltre dieci lingue.

È tra gli otto co-autori del romanzo di Federico Moccia “La ragazza di Roma Nord” edito da SEM.

È speaker di Radio Doppio Zero.

Socio corrispondente dell’Accademia Cosentina, fondata nel 1511 da Aulo Giano Parrasio.

Ha collaborato con EMUI-EuroMed University, piattaforma interuniversitaria europea, e si è occupata di relazioni internazionali.

Presidente della Rete Italiana per il Dialogo Euro-Mediterraneo (RIDE-APS), Capofila italiano della Fondazione Anna Lindh (ALF).

Presidente Onorario dell’Enciclopedia Poetica WikiPoesia.

Collabora inoltre con la rivista di letteratura “Nuova Euterpe“.

Presidente dell’Associazione “Le Ragunanze”, presiede la giuria dei concorsi letterari “Città di Latina”, “L’Arte in Versi”, “Accendi le parole”.

Ogni venerdì sera conduce la trasmissione di video-interviste “Le parole accanto” per PuntoZip la Cultura in un piccolo spazio.

 

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Michela Zanarella

Il Dispari 20240429 – Redazione culturale DILA APS

Antonella Ariosto intervista Caterina Novak

È  il  pomeriggio  del quattro febbraio di questo anno, ci troviamo nello splendido salotto artistico culturale, “Interno 4” a Roma, della bravissima artista, attrice, modella, presentatrice Chiara Pavoni.

Pomeriggio di premiazioni dell’Associazione DILA APS di Ischia, alla presenza del Presidente Bruno Mancini e di molti artisti premiati, sia nell’ambito  della scrittura, che della pittura e della musica.

Nel salotto di Chiara si svolgono eventi importanti ed intensi.

Oltre ai premiati, ci sono ospiti che uniscono ed esibiscono la propria bravura e cultura a quella degli altri, una superba esposizione.

Una donna, un’artista eccelsa, che ho conosciuto in quel pomeriggio è la bravissima mezzo soprano Caterina Novak.

Caterina si è esibita con due brani diversi ma molto belli: “Habanera” dalla Carmen e “Non ti scordar di me”.

Dopo le sue esibizioni, con immenso piacere abbiamo concordato questa intervista esclusiva per il quotidiano Il DISPARI Diretto da Gaetano Di Meglio.

D- Caterina puoi parlarci brevemente di te persona e di te artista?
R- Sono una persona semplice, affidabile, generosa ed ottimista.
Sono nata da una nobile famiglia che ha le sue radici in Dalmazia.
Ho preso come nome artistico quello della nonna Caterina Novak.
La mia carriera come mezzosoprano nasce da una audizione con un Direttore d’orchestra americano il M. Fritz Maraffi che mi fece debuttare, dopo gli studi al Conservatorio S. Cecilia di Roma, nell’Hansel und Gretel di E. Humperdinck e nel Die Fledermaus di J.Strauss.
Fu un vero successo.
Vinsi due concorsi internazionali in seguito ai quali mi chiamarono molte compagnie di giro per altri ruoli in Barbiere di Siviglia, Così fan tutte, Rigoletto, Traviata, Madama Butterfly, Carmen, Nabucco, Trovatore, Aida.
Vinsi due borse di studio e andai a studiare all’estero al Conservatorio di Lussemburgo dove con il M. Erik Werba ebbi il piacere di affrontare il repertorio barocco e liederistico.
Feci una audizione a Torre del Lago con Katia Ricciarelli che mi chiamò al Teatro di Lecce e mi fece debuttare nel Viaggio a Reims e nell’Andrea Chenier.
Cantai anche con Jose’ Carreras e con Cecilia Gasdia che è l’attuale direttore artistico dell’Arena di Verona. 
 

D- Come definiresti la musica secondo le tue esperienze?
R- Una potente pozione magica che fa restare sempre giovani, un dono di Dio per esorcizzare il dolore, un modo di esprimere la propria personalità donando agli altri il meglio di sé.

D- A parer tuo è più facile cantare da solista o cantare in un coro?
R- Cantare in un coro è molto più facile che cantare da solista.
Cantare da solo sulla scena richiede di avere un perfetto self control, una ottima tecnica di respirazione, molto coraggio per affrontare il pubblico e la critica, avere nervi saldi, scioltezza nei movimenti, capacità interpretative.
Insomma cantare da solista è un’altra cosa!

D- Puoi raccontarci un episodio tra i tanti della tua carriera, che più ti è rimasto stampato?
R- Ci sono tanti episodi divertenti che potrei raccontare.
Quello che ricordo in modo esponenziale è quello successo una volta, mentre ero a Milano e cantavo Amneris in Aida.
Al terzo atto il soprano restò senza voce e per salvare l’opera cantai dietro le quinte la sua parte.
Alla fine dell’opera, la soprano, mi abbracciò dicendo: “Sei stata fenomenale Caterina! Questa volta hai sostenuto due ruoli nella stessa opera”.

D- So che ti sei esibita al Teatro dell’Opera, è stata una bella esperienza? 
R- Cantare nei grandi enti lirici come il Teatro dell’Opera di Roma o nei Teatri esteri in Corea, in Giappone e soprattutto in quelli del nord e del sud America è stata per me una esperienza indimenticabile sia per le grandi orchestre con cui ho dovuto lavorare che per gli incontri con maestri e pianisti di alto livello internazionale.

D- Sono più facilitati nella carriera musicale gli uomini o le donne?
R- In genere nella carriera sono più facilitati gli uomini in quanto seppur sposati spesso lasciano a casa mogli e figli e continuano a viaggiare in tutto il mondo cantando.
Per una donna è un po’ più complicato ma non impossibile!

D- Che consigli daresti a chi si occupa di Musica e Spettacoli, per aumentare la presenza di pubblico?
R- Sicuramente creare grandi eventi che coinvolgano più artisti di fama internazionale, scegliere un tema di risonanza mediatica, teatri conosciuti, buoni omaggio e curare con saggezza il programma in modo che il pubblico non si annoi mai anzi si diverta e ne esca arricchito.

Antonella Ariosto

Il Dispari 20240429 – Redazione culturale DILA APS

Chiara Pavoni e Antonella Ariosto

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Chiara Pavoni e Novak

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Il Dispari 20240422

Il Dispari 20240422 – Redazione culturale DILA APS

Così o come

Un racconto di Bruno Mancini

inserito nel volume “Per Aurora volume terzo” Ottava puntata

Parte seconda

CAPITOLO PRIMO

I bulbi oculari mi facevano male, forse per la scarsa luce, forse per il poco sonno, forse per le tante ore trascorse a scrivere, forse per l’età, ma certamente andava ascritta al mio disordine mentale una qualche responsabilità per aver provocato il loro roteare senza punti fissi di riferimento.

Fermò le dita affusolate di mia madre, piegò verso l’alto il corpo armonico di mia sorella, e con la voce profonda di mio padre «Io sono Ignazio» disse.

-«Ignazio?»

-«Sì Ignazio»

-«E allora? Con ciò? Che cazzo significa? Basta indovinelli. Parla o vai. Ignazio, Filippo, Marco Aurelio, Giulio Cesare che me ne fotte del tuo nome!
Parla o vai.
Bevi, fuma e vai di corsa.
Non ho mai tempo per nessuno, figuriamoci oggi.
Non ne ho abbastanza neppure per me!»

-«Io sono Ignazio di Frigeria e D’Alessandro.
Tuo fratello gemello.»

Scolorire al buio.
Perdere battiti cardiaci.
Stoppare il respiro.

Chiusi gli occhi e mi chiesi se credere che i sogni si generino prima dei fatti, oppure se persuadermi che ne siano una rappresentazione.
Le fantasie germogliano da oniriche trasgressioni mai metabolizzate, oppure ne costituiscono le origini?
Prima l’uovo o la gallina?
Ignazio di Frigeria e D’Alessandro: il mio passato di sfrontate personificazioni dei mali del mondo.
La droga, la guerra, l’azzardo, lo stupro, si erano, tramite lui (visto da sempre quale compendio d’ogni maleficio), materializzati nella persona del traghettatore piagnucoloso che si dichiarava mio fratello e del quale mi impressionavano alcune caratteristiche fisiche: la voce profonda di mio padre le dita affusolate di mia madre ed il corpo armonioso di mia sorella.
Nel mio passato era stato un sogno, una visione?
A raccogliere i cocci di una bottiglia era la presenza di un incubo, d’una allucinazione?
Allora, quando scrivevo di Ignazio il combattente in Viet Nam, mi sfidava una forza di coesione che non si lasciava cancellare dal tempo e dalla distanza?
Il richiamo di una energia sconosciuta?

Nella situazione che stavo vivendo per il trasferimento che mi accingevo a compiere, ero oppresso dall’ossessione di pretendere una vicinanza familiare?
Ignazio, per me, padre madre sorella?
Mi chinai nell’atto di sollevarlo, ponendo i gomiti fra tronco e braccia, e quando il suo viso, assecondando i movimenti che compivo, giunse ad un palmo dalla mia bocca «Non ho fratelli» sentenziai «Non ho mai avuto gemelli, tu sei il parto della mia fantasia, tu sei mio.
Ignazio di Frigeria e D’Alessandro mi appartiene.
u mi appartieni», attesi l’attimo necessario a che deglutisse l’assoluta determinazione da cui mi sentivo invaso, e stringendo i polsi fra i pugni chiusi ai lati del suo torace, con la calma della follia «Perché sei qui?» gli chiesi.

Finalmente, sul soffitto, al centro del mio mondo, accesi il faro delle grandi occasioni.

Il Dispari 20240422 – Redazione culturale DILA APS

CAPITOLO SECONDO

Non poter descrivere nei dettagli la serie di virulente emozioni che mi procurò il prosieguo dell’incontro con il mio gemello Ignazio, è il prezzo che voglio pagare per non derogare dalla militaresca sottomissione al principio di essenzialità nel quale ho deciso di rinchiudere l‘esposizione di questa storia.

Ero certo «Alle venti sarò da Aurora.
Non un minuto oltre».

E come potrei esaurire, con locuzioni brevemente tratteggiate, la descrizione del patos -posso dire a mala pena celato-, che lui mi aveva procurato definendo con frasi stringate la precisa e dolorosa ricostruzione dell’intrigata vicenda che aveva determinato la nostra separazione, nel 1943, tra guerra, fame, tradimenti?

Avevo ascoltato un Ignazio finalmente privo di reticenze.
Albeggiava.
Il gallo, i passeri, la fresca brezza che in tempi andati forse spegneva le lampade a petrolio sulle vie, il primo discreto avvicinarsi di un pullman di linea, il rombo soffuso del volo aereo Venezia Napoli, segnalavano con sufficiente precisione lo sviluppo delle ore.
Le quattro e venticinque.

Ero certo «Alle venti sarò da Aurora».

Il Dispari 20240422 – Redazione culturale DILA APS

Se mi sarà concesso, quantunque in un luogo differente e con altra penna, colmerò le tante lacune di questa ricostruzione, cimentandomi in una impresa narrativa che non potrà in quel caso essere ridotta ad un breve racconto.
Se sarà.

In sintesi, il suo racconto iniziò dall’età di cinque anni, nel 1948, quando io vivevo ad Ischia senza luce elettrica e senza acqua corrente.
Ignazio abitava, con la famiglia dalla quale a sua insaputa era stato adottato, in una sfarzosa tenuta spagnola assegnata, in segno di cameratismo, dal “Franco” allora dominante all’amico gerarca fascista che si era rifugiato sotto la sua protezione subito dopo la fuga del re dall’Italia.
Nel 1948 la balia gli svelò una prima parte del segreto: «Sei un bimbo adottato.»
Lui non capì e proseguì nella sua infanzia.
O non volle comprendere?
A me quell’anno non dissero niente.
Tutto, così, proseguì uguale a sempre.
Nella solita consuetudine.
Nel 1961, compivamo diciotto anni.
L’invecchiato comandante in esilio convocò il giovane Ignazio nello studio tappezzato da grossi volumi di libri mai letti, ed in quella occasione parato a festa con stendardi sfilacciati di una unica etnia svolazzanti tra tazzine da caffè rigorosamente nere, per comunicargli, adagiando rispettosamente la mano destra sulla banderuola che tra tutte figurava il riconoscimento per il maggiore atto di eroismo bellico, ufficialmente formalmente «Tu hai un fratello gemello.»

La frontiera nazionale del Montecarlo passa attraverso la struttura edilizia d’alcuni alberghi, cosicché ai privilegiati clienti è sufficiente spostarsi di una camera nello stesso ambito residenziale per godere degli effetti giuridici di un altro stato.
Simile trasferimento fece Ignazio.
Solo?
Con un fratello?
Io sono, lui è.
E tutto proseguì nella stessa identica ripetitività quotidiana.
A me nel 1961 non dissero nulla e nulla mutò.
Nessun particolare era rimasto inciso nei miei pensieri.

Mi chiesi quanti parenti ed amici avrebbero avuto la facoltà d’aiutarmi provvedendo alla discreta ricostruzione dei segnali che, forse, io non avevo recepito, oppure che, invece, in una ipotesi maggiormente attendibile, nessuno di loro in tanti anni si era mai proposto di far balenare davanti alla mia mente. Neppure sotto una qualsiasi forma allegorica o mediante l’ambigua divinazione di un improbabile oracolo.

La gente che mi era stata vicina, spesso amica, a volte finanche unita da un vincolo d’intimità, e che sapeva, la gente delle mie terre, delle mie case, dei miei rifugi, non aveva, fino ad allora, illuminata un’ombra sufficiente affinché potessi impossessarmi delle vicende essenziali alla comprensione di questa parte della mia storia personale!

Ignazio era stato davvero tutto nella vita: un gran colpo di sfida perenne.

Non mi svelò alcun particolare somatico o caratteriale della sua madre adottiva, neppure durante il sofferto ricordo del segreto che lei gli aveva voluto rivelare, mentre oramai le sfuggiva la vita, dicendogli «Tuo fratello è Bruno Mancini.» Poco dopo, serenamente, finì.
Sono il fratello, ma per lui non cambiò nulla.
Non ne ero a conoscenza, e per me fu ancora come prima.
Tutto uguale per noi.

Veniamo al dunque.
La sua confessione ebbe termine alle cinque e trentotto.
ra suonata la sveglia dell’inquilino, di professione muratore, che alloggiava nei locali adiacenti alla parete del mio angolo di complicate meditazioni.
Era male tarata, può darsi volontariamente, altrimenti perché avrebbe strimpellato alle cinque e trentotto?
Cinque e trenta va bene.
Cinque e trentotto non va bene.
Non collima.
Non si spiega.
Siamo tutti formalisti.
Lui disse «Sono qui perché mi hanno convocato.
Aiutami.
Voglio il tuo aiuto.»

-«Che incredibile coincidenza! Quando?»

-«Fra poco, alle venti.»

Quanto tempo occorre per arrostire una catasta di funghi campagnoli d’origine dubbia, e mangiarli tra fette di pane pugliese e litri di birra popolare?
Quanto tempo ci vuole per fare uscire dallo scroto i coglioni distrutti e sbatterli nel ventre della puttanaccia internazionale?
Per salutare gli amici?
Mortificare i nemici?
Stringere al petto la donna amata?
Bere, bere, bere, scrivere, scrivere?
Guardare le stelle?

Troppo.

Neppure intendo dilungarmi intorno alle priorità che tentavano di occupare un posto nelle poche ore disponibili.
In questo contesto potrebbe risultare un elenco penoso, lacrimevole, mentre invece, con una differente atmosfera, sono sicuro di non aver difficoltà a dimostrarne la bellezza emotiva, pur nelle contrastanti armonie.

A titolo di esempio: avrei dovuto provvedere a cambiare l’acqua nella boccia di vetro dei miei amici pesciolini rossi ed aggiungere qualche razione supplementare di scaglie Goldfish Food, non senza irritante dispendio di minuti preziosi, oppure dare precedenza alla chiusura dei rubinetti?

Il Dispari 20240422 – Redazione culturale DILA APS

DILA

NUSIV

 

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