MILENA PETRARCA

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L’estetica di Milena sembra assurgersi a interprete del «non reale». Milena reifica (non è un ossimoro) le proprie emozioni in autonome stesure di tratti, modellati, cromie, rendendo evanescente, fugando, qualsiasi tangenza con la realtà esistenziale. L’estetica di Milena si propone un target ben definito: il messaggio. Milena anela di comunicare significati e contenuti, derubricando al minimo qualsiasi iconografia canonica, fino a produrre pure combinazioni di elementi, intesi come quintessenza «suprema» delle sue visioni. Questo genere di estetica, in effetti, rende icastico un iter pingendi tramite il quale il Nous della Nostra “pantografa” la realtà esclusivamente in alcune sue minime peculiarità. Milena dipinge in maniera compiutamente aseistica rispetto ai modellati reali più invalsi, trovando figure e visioni totalmente inusitate e dissimili da quelle più tritamente liturgiche. Milena Petrarca è Pittrice dai cromosomi permeati di grandi delicatezza e raffinatezza. La sua Arte è totalizzante, poiché magicamente rapisce, senza ambagi, d’emblée. Milena riassume in sé una sublime ἀρετή (aretè), ovvero un peculiare magistero nell’esaltare i propri valori spirituali e morali, che si reificano nella sua Arte straordinaria. La Pittrice si esalta nel fondere, nel suo sui generis cachet, emozioni liquide e accese passioni, che si traducono in cromie vibranti, in fenomenali energie tonali che propagano prospettiva e luce. Con le sue opere Milena adima nei penetrali più imi e reconditi dell’esistenza, fino a esaltare la metafisica della spiritualità, in virtù dell’orfismo immanente nel conflato iconico – cromatico che la contraddistingue, fino a sprigionarne l’afflato, l’elata poiesi pittorica.

La Pittrice tende a destare, per poi centrifugare, trepidazioni immanenti nell’osservatore, radicalizzando ed esaltando il magico (talora onirico) charme dei colori, il loro orfismo, potente nel catalizzare catarsi, rito magico di purificazione, liberazione dell’anima, sia dell’Artista sia del fruitore d’opera. Milena ha grande talento nell’affrancare la propria fantasia, sentendosi pienamente emancipata dagli stereotipi accademici, segnatamente quelli iconici. Le direzioni estetiche verso originali sperimentazioni sono per lei infinite, eclettiche, con traguardi impensabili, quantitativamente e qualitativamente. L’arte di Milena afferma che può vibrare un’estetica delle cose che germina dalle cose stesse, che rifugge qualsiasi imitazione, identificandosi così in un sui generis paradigmi estetici, avant – lettre di un singolare universo. Apprezzabilissimi sono gli ambiti di sperimentazione di Milena, che talora pare librarsi dal piano delle immagini, fino a trasformare in esperienza estetica anche la più tangenziale gestualità, o la materia stessa. Questi ambiti di sperimentazione enunciano il concetto di “kháos” che è, comunque, un’osmosi inscindibile della realtà, una sua manifestazione, verosimilmente più irrefutabile di quanto prospetta l’umana razionalità. I dipinti di Milena introducono a una variegata, articolata asimmetria degli oggetti, del tangibile, del cosmo, le cui leggi, per quanto postula la fisica, sono logiche, ma il cui portato, per quanto postula la termodinamica dei processi irreversibili, si trova sempre in condizioni di defettibile bilico, di non equilibrio, di “kháos” totale. Il “kháos” totale (macrocosmo) si contrappone, manicheisticamente, al “kháos” individuale (microcosmo dell’Artista). L’Artista ha la forza e il coraggio di scendere (catabasi nel microcosmo) ad ima fUndamenta, fino ai penetrali più reconditi del proprio Labirinto e lì prendere visione di tutte le sue fate morgane e di portarle, poi, in superficie (anabasi nel macrocosmo), senza remore, senza inibizioni. È pura anagogia, pura elevazione spirituale! È deflegmazione da qualsiasi impurità, emancipazione da qualsiasi zavorra.Da tutto ciò il “kháos” estetico di Milena, che è estrosamente, aulicamente “poietico”, latore di una visione incontrovertibilmente non empirica, bensì metempirica, che va “oltre” l’umana sensibilità, a sublimazione del suo “lirico” afflato pittorico, a sublimazione delle onde gravitazionali, del loro divino, universale, numeroso concento. Milena sembra abiurare qualsiasi τέχνη canonica, fino a sviluppare una pittura sui generis. Soggettivamente prevale l’impressione che il dialogo tra i soggetti protagonisti sia, invero, sovrastato da un coartato monologo interiore dei singoli. Nelle sequenze il tempo sembra smarrirsi tra i suoi stessi, metafisici meandri. Il time-lapse sembra subire fibrillazioni spaziotemporali, un “back-and-forth” di emozioni e di ambienti. Nei cromatismi delle sue iconografie scorrono sincronicamente le ore, i giorni, gli anni, apparentemente in un unicum. Il cachet cromo-figurativo si presenta segnatamente estetizzante, pregno di stream di coscienza. Il tempo diventa un fluire trascendente, un’associazione d’idee e d’immagini. La dinamica emozionale dei personaggi viene fusa con l’esigenza plastica. L’ensemble è affascinante per il topos, per l’energia dei sentimenti, per l’icasticità del dialogo pittorico, per l’orfismo struggente che vibra, pulsa e sussulta in ogni singolo amplesso. L’Arte di Milena può essere definita “sublime”, un sublime che germina dal manicheismo sensibilità-ragione. Un conflato di dolore e gioia che scaturisce dal senso di umana caducità, dall’assoluto, dall’imponderabilità del tempo-spazio.

La tigre è un animale eccezionalmente ammaliante. La sua energia è contemporaneamente yin (femminile) e yang (maschile). La tigre è storicizzata come guida in un percorso iniziatico, capace di dirigere i “catecumeni” nella giungla, per concludere un ciclo vitale e iniziarne un altro. Ergo, la tigre è un animale in surplace tra due dimensioni. È pure ritenuta protettrice, capace di esorcizzare il male. Nella cultura buddista la tigre è ipostasi di fede e di ascesi spirituale. Il suo tallone di Achille, se tale veramente è, è il grandissimo amore materno che la pervade e caratterizza, a causa del quale sarebbe disposta a qualsiasi cosa, fino a immolare la propria vita. La tigre è emblema di potere, pathos, saggezza. È l’animale che insegna all’uomo ad affrontare la vita con ardore e temperamento, ponendolo in collegamento con energie sia fisiche sia istintuali. Incita a emancipare le emozioni dal labirinto interiore, a disinibire la sessualità e ad aumentare il potere di concentrazione. La tigre è un unicum con la forza, con la tenacia necessaria nelle ordalie più probanti. È stimolo per l’uomo a procedere nel proprio percorso spirituale. È emblema di personale palingenesi, clavis lectionis del giallo della sua livrea. La tigre è la luce della coscienza che trionfa sul buio interiore. Nell’oroscopo cinese la tigre (in quanto segno astrologico) è pregnante di un animo indomito e veemente, estuoso e ardente, magnetico e generoso. Il segno occidentale equivalente è l’Acquario, ovvero il segno di Milena. Una scelta casuale, la sua?
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Tratto dal libro edito “Napule è Napule” – Carta e penna Editore

Recensione libro “Napule è Napule…” di Mauro Montacchiesi

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