GISELA JOSEFINA MONTILLA LÓPEZ

GISELA – LA PERSONA

Donna caratterizzata da una cospicua varietà e pluralità d’interessi, nonché da eccezionali abilità.
Questa, sinteticamente, è l’incantevole Gisela Josefina Montilla López.
Cantante e lei stessa autrice dei suoi testi, danzatrice, annunciatrice, poetessa, scrittrice.
Personaggio eclettico dall’animo idealista, sentimentale, caloroso.
Talora una striatura di velata tristezza, flebilmente, struggentemente, intarsia il suo viso.
Chissà, il rimpianto per ciò che è trascorso e lontano, per le sue orgogliose radici, per la madrepatria, per il suo Venezuela.
Il rapporto sentimentale con le sue tradizioni natie è assai consistente, ben radicato, estremamente palese.
In realtà è un amore, un sentimento incommensurabile.
Il soffio vitale di Gisela profuma di emotiva sensibilità, intenso impulso amoroso, riguardosa considerazione per la vita, serena tolleranza.
Ipersensibile, non di rado le capita di sciogliersi in lacrime al cospetto della bellezza del Creato, di un’opera d’Arte, di un bambino che soffre.
Ovunque passi, Josefina lascia spumeggianti scie d’Amore.
Questa encomiabile Donna è un perpetuum mobile, non sta mai ferma.
È indefessamente impegnata nella Cultura, nel sociale, nella solidarietà, in tutto ciò che possa agevolare l’amicizia, la comprensione fra i popoli.
Il suo bon ton, coeso con la sua armonia e il suo dolce sorriso, è un istintivo passe-partout, vincente nei rapporti umani.
Gisela è una fucina di genialità, di creatività.
Lei ama l’esistenza e la sua incrollabile fede le ha permesso, le permette di superare i momenti più foschi.
La Venezuelana confida decisamente nelle virtù umane, in assenza delle quali non è dato esigere dal prossimo né amore né considerazione.
Spontaneità e senso della vita sono sostanziali per lei.
È idealista, riformatrice, innamorata dell’onestà e generosa.
La Montilla Lopez, incomparabile ed emancipata, predilige essere interprete della ribalta, tuttavia incessantemente indipendente.
Ha una forma mentis estesa, equilibrata, innovatrice, imparziale.

GISELA IN POESIA

Per Gisela la poesia è un elisir di lunga vita.
È la panacea universale quando il suo cuore stilla rosso dolore, un dolore terebrante inciso dalle parole che dilaniano, dagli oblii che centrifugano alla volta del baratro.
L’Artista venezuelana ha un intimo sole, ogni volta un sorriso avvincente, desiderio di una società migliore, di un’umanità più fiorente che mai, con le sue passionalità, festosità e serenità.
Lei è una creativa fuori dall’ordinario che riesce a convertire in poesia qualsiasi cosa che vede e reputa stimolante, come il riflusso di un’onda, le stelle, la linea del tramonto.
Nella sua poetica infonde amore, audacia.
La Caraibica si aderge di frequente nell’universo delle sue idee, e si riscatta in evoluzioni mentali, proiettando aneliti intensi e, ciononostante, ciò che la delinea travolgente e ottimista, è il ritorno sulla terraferma, tra gli Umani.
Ed eccola lì, a spargere tracce, nel modo in cui, dentro di lei, il tempo andato ha cesellato icastiche orme che nessuno potrà, in nessun caso, più eliminare.
Josefina è poetessa dall’espressione ultraterrena, ardente, emotiva, avvincente e affascinante, come lo sguardo delle donne del suo Venezuela, di quelle donne che sono l’autentico brand della gradevolezza, della festosità, della gentilezza.
La Lopez è la poetessa dell’inquietudine, del desiderio non compiuto, rimasto immobile, brumoso, come lei stessa versifica ne “L’universo siamo noi”, laddove comunica che la sua anima ancestrale transita su tutto il suo corpo, blandendo l’aria che respira, quando afferma, romanticamente e utopisticamente, che un arcobaleno possa inglobare un intero universo.
Le sue mani, prosegue, sono le impronte di una storia che fu.
Mare, Terra, Aria, sono una congiunzione fatale che colpisce con lo stiletto del desiderio appannato, per comprendere tutto ciò che le gravita all’intorno ed essere in grado di andare oltre quel che fu, che è e che sarà.
Gisela intuisce, auspicabilmente in un transitorio nichilismo, l’inefficacia della contesa (patente è il riferimento all’attuale situazione politica in Venezuela), poiché il vulnus resterà eternamente nella sua mente celeste, che la lambirà, ogni volta, per elargirle un po’ d’amore, buon senso e fantasioso tormento.
La poesia, per Gisela, è anche un potente strumento di denuncia della violenza sulla donna, troppo spesso martire di menti aberranti.

“MI HA VIOLATO”

Canta, o dea, l’ira d’Achille Pelide,
rovinosa, che infiniti dolori inflisse agli Achei,
gettò in preda all’Ade molte vite gagliarde d’eroi,
ne fece bottino dei cani, di tutti gli uccelli
– consiglio di Zeus si compiva – da quando prima si divisero
contendendo l’Atride signore d’eroi e Achille glorioso.
Ma chi fra gli dèi li fece lottare in contesa?

È l’invocazione con cui il poeta Omero chiede a Calliope di dargli la forza per narrare i fatti raccontati nel poema.
Calliope, la musa ispiratrice della poesia epica.
Poesia epica, ovvero dell’epos, della narrazione poetica di gesta eroiche.
E si direbbe che sia proprio la musa Calliope a dare la forza a Gisela Josefina, per concepire, per scrivere, per narrare il doloroso eroismo della protagonista della poesia:

“MI HA VIOLATO”

Allontanati da me, lasciami respirare.
Sei la fine di un orizzonte,
sei un destino senza futuro,
sei un tunnel senza uscita.

Esci da me.
Amore falso e ambiguo, parole che feriscono.
Un colpo, uno e un altro.
Manipolazione delle parole.

Esci da me.
Sei la spada che trafigge il futuro,
sei una pietra che fa male senza pietà.
Sei inconscio, sei immaturo,
sei la morte a guardarti in faccia.

Esci da me.
Un colpo, un altro e un altro.
Le preghiere sono congelate,
i sogni non si realizzano,
le speranze sono svanite.
Un colpo, uno e un altro.
Io non esisto per te.
La mia anima sanguina,
davanti al dolore impresso sul mio corpo.

Esci da me.
Le mie cicatrici parlano da sole.
Guardo il futuro, guardo il mio corpo nudo.
Ogni parte di me ha un dolore disegnato.
Cerco di nascondere le prove, truccandomi.

Esci da me.
Fingi spudoratamente
falsità di parole intelligenti.
Esci da me.
Oggi la mia voce vuole gridare: basta, basta…
ma non possono sentirmi,
perché piangono intorno a me.

È una commovente lirica di censura della violenza sessuale.
Versi che espongono un argomento che attualmente assilla e amareggia la società:
gli abusi sulle donne, martiri inermi di brutali follie.
La donna è un essere meraviglioso, naturalmente ben disposta ad amare.
La donna dà l’impressione di essere fragile, ma è perseverante, particolarmente in amore.
Questa creatura non dovrebbe in nessun caso essere sottoposta ad abuso, segnatamente dalla persona che ama, da quel soggetto con cui tutto condivide, in cui qualsiasi sogno ha riposto.
Violarla è l’andare in pezzi di quei sogni, è il trapasso di qualsiasi aspettativa, è gioia sbriciolata in angoscia, è amarezza.
Nondimeno lei persevera nel nutrire emozioni favorevoli nei confronti del suo aguzzino, fino all’afflato finale.
È questa una poesia epifanica del conflitto intimo della vittima, il suo crudele, umano dolore, il suo tormento.
La Musa dei Caraibi raggiunge con delicatezza e nitidezza le trepidazioni umane più impenetrabili e dilanianti, la reclusione e la sensazione di vacuità dell’anima della vittima.
Gisela conduce il lettore nelle tortuosità di uno degli aspetti più complessi del malessere della società attuale.
“MI HA VIOLATO” produce un’eco per tutte quelle donne che sperimentano un patimento analogo.
La poetessa padroneggia una tecnica espressiva in cui cadenza e armonia si amalgamano a meraviglia, tanto da delineare versi scanditi ed elegantemente musicali.
Versi scanditi sui battiti del cuore.

GISELA NELLA PROSA

Nel presente testo la letterata venezuelana, Gisela Josefina Mantilla Lopez, con istintiva, irriflessa disinvoltura, esterna incondizionatamente, assolutamente, la propria, intima emotività nei confronti di quei martiri, escludendo qualsiasi distinzione di sesso, che hanno subito abusi, efferatezze, tanto nelle facoltà intellettive quanto nella sovranità del proprio corpo.
Gisela definisce questa storia “una piccola storia”, dal momento che raccoglie, in forma sintetica, un avvenimento a tal punto intollerabile per un essere umano, che la facoltà di giudizio e la sensibilità dell’autrice hanno preferito cassare qualsiasi minuta circostanza che fosse stata in grado di provocare un profondo turbamento nell’emozionalità del pubblico.
Questa “piccola storia” assume successivamente la forma, la struttura di una “grande storia”, considerando che è una hot topic che, epocalmente, persiste nella falcidia di vittime, che crescono in numero ogni giorno, con una deturpazione spirituale, con un oltraggio psichico che non consentono loro di sopravvivere.
Tanti individui (uomini, donne e bambini) hanno lasciato questa vita in assenza di qualsiasi loro dichiarazione di validità giuridica o storica in merito, un quid appropriato ad attenuare ad memoriam questo loro dolore, ma eternamente catturato dall’oblio.
L’autrice mette in inchiostro, comunica con radicale, eccezionale franchezza, identificandosi in quella ragazzina ferinamente depredata del suo candido giglio, delle sue fantasie che ancor non conoscono il male, dei suoi balocchi.
E ancora, l’autrice si identifica in quella ragazzina che adesso alza il tono della voce per farsi sentire, per denunciare la sua turpe vicenda.
La scrittrice amorevolmente, sensibilmente auspica che qualcosa prenda l’aire e raggiunga l’emotività del genere umano, a volte ignaro, a volte dolosamente, ignobilmente sordo.
Gisela anela appassionatamente che alcune cose migliorino nelle persone, sotto l’aspetto morale e spirituale, fino a consentire ai cuori di aprirsi alla solidarietà e all’ottimismo, abiurando il tassello empio del mosaico umano e lasciandolo cadere, irrevocabilmente, nell’insondabile oblio di quelle tenebre in cui, per nessuno, sia più possibile recuperarlo.
“Sono stata violentata” di Gisela Josefina Montilla Lopez, è una storia che si distingue per la sua essenziale chiarezza, originalità, attenzione e intensità.
La scrittura è fluente e definita, la psicologia è esauriente, qualsiasi vocabolo è ben collocato, l’insieme è narrato con eleganza emotiva, efficace e possente.
È una storia vibrante, intimamente impressionante che non può e non deve lasciare indifferenti.

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NAUSICAA di Milena Petrarca

NAUSICAA

PERSONALE RIFLESSIONE DI MAURO MONTACCHIESI
*
Quinto Orazio Flacco autorizza poeti e pittori a tutto osare.
“Pictoribus atque poetis; quidlibet audendi semper fuit aequa potestas”.
Il Venosino sostiene che non si devono tarpare le ali né al genio lirico né alla vena pittorica.
(Orazio Ars poetica, v. 10)

Milena Petrarca è perfetta, eccelsa ipostasi di questo postulato oraziano, poiché fastosa demiurga di entrambe le Arti.
Un epifanico paradigma, di questo suo straordinario magistero, è fornito dalla sua “Nausicaa”, sia con un dipinto dai colori delicati ed equilibratamente distribuiti sia con una poesia epigrafica, ma densamente, vibrantemente eloquente.
Nausicaa è un nome che discende dal greco ‘Nausikaa’, che richiama alla memoria la figlia di Alcinoo, conosciuta da Ulisse nell’Odissea.
La Nausicaa del dipinto, nonostante la nudità, comunica una certa riservatezza, sentimentalismo, delicatezza, grazia, coinvolgente passione.
Altresì, la protagonista della tela, oltre a suggestione e spiritualità, promana sapiosessualità, ovvero seduzione fisica ed erotica, inscindibile dall’empatia cerebrale, dal particolare richiamo per la saggezza, per l’etica dell’altra persona.
Milena Petrarca traspone il dipinto in poesia.

“Nausicaa” è come una farfalla in volo”:
La resurrezione, la metamorfosi in divenire dell’Artista, le sue aspettative e il suo ardimento, ma addirittura la sua consapevolezza a proposito della caducità dei giorni fortunati.

“I suoi capelli sono Cascate di luce”:
I suoi capelli:
La sua capacità di rigenerarsi.

“Sono cascate”:
Interruzione dell’immobilismo, dinamismo in direzione di un destino permeato di ottimi risultati.
Un presentimento fausto, che postula il passaggio dalla preoccupazione e dalla monotonia, al desiderio di esistere e cimentarsi nelle diverse circostanze che l’esistenza propone.
Disponibilità alla volta di un futuro differente, incentivo a scuotersi e a dare un significato alla personale esistenza.

“Di luce”:
L’Artista sta conquistando eccezionali traguardi di coscienza e armonia.

“Nausicaa è una Fanciulla Eterea”:
L’etere, ovvero l’aura, il cielo, l’etra, la volta celeste.
E una gradazione di celeste, insieme alla luce dei capelli e a tratti d’incarnato, è armonicamente predominante sulla tela.
Aristotele presumeva che l’etere fosse eterno, inalterabile.
Appunto per l’eternità e la staticità dell’etere, il cosmo veniva contemplato come luogo d’invariabilità, in opposizione alla Terra, luogo di costante metamorfosi.
La fanciulla eterea, un subliminale anelito dell’Artista di eternità cosmica.
La fanciulla eterea, a occhi chiusi, fa immaginare, fa affiorare diverse sfaccettature intime dell’Artista, della sua personalità, che trascendono cospicuamente la conoscenza del corpo.
È l’hic et nunc dell’Artista, il suo esistenzialismo nell’attimo in cui l’opera è eseguita, è l’istantanea, o meglio il dipinto di un frammento della sua vita.

“Un Sogno”:
L’Artista cerca di difendersi dai messaggi che le arrivano dall’inconscio.
Un inconscio che talora grida dolore, stanchezza, necessità di una pausa, ma che si tende a ignorare, presi dall’entusiasmo di creare, di fare.

“Un Bocciolo di rosa”:
Bisogno di sentimenti, tenerezza, sincerità.

“Nausicaa si erge Dolcemente
E si affaccia
Alla vita
Come una farfalla in volo”:
È la crisalide, invero, che si affaccia alla vita.
La farfalla, in questo caso, è la fanciulla che diviene adulta.
La crisalide è il divenire ineluttabile, con i suoi cambiamenti.
Positivi? Negativi?
Faber est suae quisque fortunae:
Ciascuno è artefice della propria sorte.
Trito aforisma con cui Appio Claudio Cieco asseriva che per l’essere umano
sono più determinanti la decisione e l’agire, piuttosto che l’incidenza del fato.

L’estetica pittorica di quest’opera si dipana all’interno di struggenti campiture cromatiche, diversità emozionali e tonali perfezionate con naturale e autentica tensione dinamica, con eccezionale tecnica figurativa.
Il tratto di pennello è leggero, è soffice, come pure il rapporto luce – colore, che icasticamente riverbera sulle impressioni intercettate dall’osservatore.

La lirica, nella sua profondità concettuale, è sontuosamente coerente nella sua gioiosa, entusiastica espressività, nella sua squisitezza di sentimenti, nel suo euritmico, impareggiabile splendore.

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MILENA PETRARCA

L’estetica di Milena sembra assurgersi a interprete del «non reale». Milena reifica (non è un ossimoro) le proprie emozioni in autonome stesure di tratti, modellati, cromie, rendendo evanescente, fugando, qualsiasi tangenza con la realtà esistenziale. L’estetica di Milena si propone un target ben definito: il messaggio. Milena anela di comunicare significati e contenuti, derubricando al minimo qualsiasi iconografia canonica, fino a produrre pure combinazioni di elementi, intesi come quintessenza «suprema» delle sue visioni. Questo genere di estetica, in effetti, rende icastico un iter pingendi tramite il quale il Nous della Nostra “pantografa” la realtà esclusivamente in alcune sue minime peculiarità. Milena dipinge in maniera compiutamente aseistica rispetto ai modellati reali più invalsi, trovando figure e visioni totalmente inusitate e dissimili da quelle più tritamente liturgiche. Milena Petrarca è Pittrice dai cromosomi permeati di grandi delicatezza e raffinatezza. La sua Arte è totalizzante, poiché magicamente rapisce, senza ambagi, d’emblée. Milena riassume in sé una sublime ἀρετή (aretè), ovvero un peculiare magistero nell’esaltare i propri valori spirituali e morali, che si reificano nella sua Arte straordinaria. La Pittrice si esalta nel fondere, nel suo sui generis cachet, emozioni liquide e accese passioni, che si traducono in cromie vibranti, in fenomenali energie tonali che propagano prospettiva e luce. Con le sue opere Milena adima nei penetrali più imi e reconditi dell’esistenza, fino a esaltare la metafisica della spiritualità, in virtù dell’orfismo immanente nel conflato iconico – cromatico che la contraddistingue, fino a sprigionarne l’afflato, l’elata poiesi pittorica.

La Pittrice tende a destare, per poi centrifugare, trepidazioni immanenti nell’osservatore, radicalizzando ed esaltando il magico (talora onirico) charme dei colori, il loro orfismo, potente nel catalizzare catarsi, rito magico di purificazione, liberazione dell’anima, sia dell’Artista sia del fruitore d’opera. Milena ha grande talento nell’affrancare la propria fantasia, sentendosi pienamente emancipata dagli stereotipi accademici, segnatamente quelli iconici. Le direzioni estetiche verso originali sperimentazioni sono per lei infinite, eclettiche, con traguardi impensabili, quantitativamente e qualitativamente. L’arte di Milena afferma che può vibrare un’estetica delle cose che germina dalle cose stesse, che rifugge qualsiasi imitazione, identificandosi così in un sui generis paradigmi estetici, avant – lettre di un singolare universo. Apprezzabilissimi sono gli ambiti di sperimentazione di Milena, che talora pare librarsi dal piano delle immagini, fino a trasformare in esperienza estetica anche la più tangenziale gestualità, o la materia stessa. Questi ambiti di sperimentazione enunciano il concetto di “kháos” che è, comunque, un’osmosi inscindibile della realtà, una sua manifestazione, verosimilmente più irrefutabile di quanto prospetta l’umana razionalità. I dipinti di Milena introducono a una variegata, articolata asimmetria degli oggetti, del tangibile, del cosmo, le cui leggi, per quanto postula la fisica, sono logiche, ma il cui portato, per quanto postula la termodinamica dei processi irreversibili, si trova sempre in condizioni di defettibile bilico, di non equilibrio, di “kháos” totale. Il “kháos” totale (macrocosmo) si contrappone, manicheisticamente, al “kháos” individuale (microcosmo dell’Artista). L’Artista ha la forza e il coraggio di scendere (catabasi nel microcosmo) ad ima fUndamenta, fino ai penetrali più reconditi del proprio Labirinto e lì prendere visione di tutte le sue fate morgane e di portarle, poi, in superficie (anabasi nel macrocosmo), senza remore, senza inibizioni. È pura anagogia, pura elevazione spirituale! È deflegmazione da qualsiasi impurità, emancipazione da qualsiasi zavorra.Da tutto ciò il “kháos” estetico di Milena, che è estrosamente, aulicamente “poietico”, latore di una visione incontrovertibilmente non empirica, bensì metempirica, che va “oltre” l’umana sensibilità, a sublimazione del suo “lirico” afflato pittorico, a sublimazione delle onde gravitazionali, del loro divino, universale, numeroso concento. Milena sembra abiurare qualsiasi τέχνη canonica, fino a sviluppare una pittura sui generis. Soggettivamente prevale l’impressione che il dialogo tra i soggetti protagonisti sia, invero, sovrastato da un coartato monologo interiore dei singoli. Nelle sequenze il tempo sembra smarrirsi tra i suoi stessi, metafisici meandri. Il time-lapse sembra subire fibrillazioni spaziotemporali, un “back-and-forth” di emozioni e di ambienti. Nei cromatismi delle sue iconografie scorrono sincronicamente le ore, i giorni, gli anni, apparentemente in un unicum. Il cachet cromo-figurativo si presenta segnatamente estetizzante, pregno di stream di coscienza. Il tempo diventa un fluire trascendente, un’associazione d’idee e d’immagini. La dinamica emozionale dei personaggi viene fusa con l’esigenza plastica. L’ensemble è affascinante per il topos, per l’energia dei sentimenti, per l’icasticità del dialogo pittorico, per l’orfismo struggente che vibra, pulsa e sussulta in ogni singolo amplesso. L’Arte di Milena può essere definita “sublime”, un sublime che germina dal manicheismo sensibilità-ragione. Un conflato di dolore e gioia che scaturisce dal senso di umana caducità, dall’assoluto, dall’imponderabilità del tempo-spazio.

La tigre è un animale eccezionalmente ammaliante. La sua energia è contemporaneamente yin (femminile) e yang (maschile). La tigre è storicizzata come guida in un percorso iniziatico, capace di dirigere i “catecumeni” nella giungla, per concludere un ciclo vitale e iniziarne un altro. Ergo, la tigre è un animale in surplace tra due dimensioni. È pure ritenuta protettrice, capace di esorcizzare il male. Nella cultura buddista la tigre è ipostasi di fede e di ascesi spirituale. Il suo tallone di Achille, se tale veramente è, è il grandissimo amore materno che la pervade e caratterizza, a causa del quale sarebbe disposta a qualsiasi cosa, fino a immolare la propria vita. La tigre è emblema di potere, pathos, saggezza. È l’animale che insegna all’uomo ad affrontare la vita con ardore e temperamento, ponendolo in collegamento con energie sia fisiche sia istintuali. Incita a emancipare le emozioni dal labirinto interiore, a disinibire la sessualità e ad aumentare il potere di concentrazione. La tigre è un unicum con la forza, con la tenacia necessaria nelle ordalie più probanti. È stimolo per l’uomo a procedere nel proprio percorso spirituale. È emblema di personale palingenesi, clavis lectionis del giallo della sua livrea. La tigre è la luce della coscienza che trionfa sul buio interiore. Nell’oroscopo cinese la tigre (in quanto segno astrologico) è pregnante di un animo indomito e veemente, estuoso e ardente, magnetico e generoso. Il segno occidentale equivalente è l’Acquario, ovvero il segno di Milena. Una scelta casuale, la sua?
*
Tratto dal libro edito “Napule è Napule” – Carta e penna Editore

Recensione libro “Napule è Napule…” di Mauro Montacchiesi

Napule è Napule… di Mauro Montacchiesi

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LA SIBILLA CUMANA

SIBILLA CUMANA

Facilis descensus Averno:
noctes atque dies patet atri ianua Ditis;
sed revocare gradum superasque evadere ad auras,
hoc opus, hic labor est.

Scendere agli Inferi è facile:
la porta di Dite è aperta notte e giorno;
ma risalire i gradini e tornare a vedere il cielo,
qui sta il difficile, qui la vera fatica.

Sono le parole che Publio Virgilio Marone
(Eneide VI, 126-129)
fa rivolgere dalla Sibilla Cumana a Enea.

Nell'”Eneide” virgiliana, Deifobe, la sibilla cumana, è una veggente, psicopompa (guida nell’aldilà) di Enea, al quale chiarisce gli arcani del regno.

BREVE COMMENTO SULL’ESTETICA DI MILENA PETRARCA

Milena Petrarca è l’esteta dell’equilibrio e della luminosità. La pittrice, per mezzo del suo talento, dona trepidazioni all’esistenza, oltre il tempo, laddove ieri e domani, tangibile e intangibile si fondono. I suoi capolavori seducono l’anima, veicolandola in una dimensione borderline, tra oggettività e fantasia, orfismo e lirismo. Milena è Maestra dalle accentuate emotività e autenticità nel produrre immagini incerte tra concretezza e meraviglia, in cui si ripete la figura della donna nelle sue variegate manifestazioni che ne affermano la delicatezza e la fermezza, la raffinatezza e l’audacia. Dai quadri di questo genio partenopeo, dalla straordinaria delicatezza, si arguisce in quale modo l’immagine della donna si esalti in icona di amore, nel significato più esteso del vocabolo: un amore che va considerato come passione che fonde e conforta, che instilla energia e fiducia, che sconfigge astio e conflitti, crudeltà e individualismi. Le sue immagini di donna, che di frequente condensano grazia e amore, sono saldate all’ambiente e ai toni della stagione dei fiori. Concezioni febbrili, dipinte in gradazioni che evolvono in conformità della condizione psicologica che le penetra. Ciononostante, a celebrare grazia, delicatezza e fantasia incise nella leggiadria femminile, è la luminosità, componente basilare, per mezzo della quale l’artista comincia ad avanzare nella sua opera, onde rendere le sinfonie della vita, laddove le trepidazioni si inseguono, adesso pure e fatate, adesso tristi e toccanti. Milena Petrarca, in tali raffigurazioni femminili, evidenzia il fervore davanti ai desideri nei quali confidare, ciononostante addirittura malinconia e amore e quell’angoscia per una percezione di un’ipotetica emarginazione sentimentale o sociale. Nella sua iconografia femminile, frequentemente avviluppata da una luminosità, adesso forte, adesso leggera, l’artista ha tratto afflato dalla tecnica raffinata e morbida della Scuola Veneta, che nacque in età repubblicana, determinando la cesura decisiva con la consuetudine bizantina. Il transitare a poco a poco da una tonalità all’altra, senza stacco, è la tecnica pittorica che Milena Petrarca utilizza, mirando a sfumare i margini delle forme e a delinearli minimamente decisi e articolati, a beneficio di una più ampia scioltezza dei margini stessi e dei lineamenti, producendo la reazione visuale della dissolvenza. Milena prosegue per mezzo di minute progressioni di luminosità e pigmenti che, fondendosi unitamente, plasmano il risultato dell’intimità intuitiva e forniscono agli occhi l’autentica idea degli spazi effettivi tra le entità iconiche. La luminosità e la transizione graduale delle tonalità, si manifestano come costituenti determinanti nelle sue tele, nelle quali la concretezza lambisce la fantasia, apparendo le forme come sollevate all’interno di una dimensione di trascendentale fascino. Milena Petrarca magistralmente gioca con la luce, unitamente ai suoi riverberi e alla reazione dei pigmenti, i quali si trasformano in effetto luce, indugiando parimenti su alcune disarmonie cromatiche. Per mezzo della luce, Milena Petrarca riesce a cogliere e “fotografare” istanti d’icastici bagliori soprannaturali.

LA SIBILLA CUMANA

SOGGETTIVE PERCEZIONI

SUBLIMINALI MESSAGGI DAL DIPINTO

La “Sibilla Cumana” è un dipinto emozionale, idoneo a suggestionare lo stato d’animo rendendolo cordiale e armonioso. La Sacerdotessa di Apollo punge la passione, comunica affetto, amicizia. È amore per il prossimo, emotività, gioventù, purezza. Riverbera di delicatezza, amabilità, eleganza, pace e affettuosità. La Deifobe di Milena Petrarca è icona dell’universo femminile. Allevia il pensiero dalle negatività, ha un poderoso vigore rasserenante. La Sibilla Cumana è dare e ricevere amore, è nitidezza dell’intelletto, è dolcissima, ma prorompente sensualità.

*
Tratto dal libro edito “Napule è Napule” – Carta e penna Editore

Recensione libro “Napule è Napule…” di Mauro Montacchiesi

Napule è Napule… di Mauro Montacchiesi

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…come un’alba tenue

Madre Celeste,
concedimi la gioia infinita
di un tenero bocciolo che vagisce alla vita,
cancella la nostalgia che infesta l’anima,
fammi trovare una limpida sorgente
sul brullo sentiero della vita,
così, come fresca una linfa
che plachi le aspre arsure del destino.
Madre Celeste,
resuscita tra le mie oscillanti incertezze
le illusioni annegate.
Mi sento come un’alba tenue
che pavida tentenna
davanti ai primi crini di sole.
In questi afflati di crepuscolo
mi sento annegare in un’opaca palude di tedio
e mi convinco
che anche le mie spasmodiche fughe oniriche
siano state già preordinate.
Concedimi, Madre Celeste,
la gioia infinita di un raggio di sole
che superbo bacia la terra,
dischiudimi gli arcani che attraverso l’universo
aliano nel grembo dei cirri,
così, in modo ch’io possa comprendere verità immortali,
rarefatte nelle evanescenze del tempo.
L’anima, talora,
sembra volermi rinnegare.
Il tempo incede veloce esondando
dagli incerti, fragili argini della vita
e io, Madre Celeste,
come un bambino mi aggrappo al tuo grembo,
similmente a un’eco
che s’insinua nel crepuscolo di un’utopia.
Cala il sipario del vespro
e io mi consumo nella selva di un’irta esistenza.
La mia anima è reclusa in una cripta d’acciaio
e il tormento, talora, diventa nitido e violento,
risvegliandomi al tempo delle fiabe.
A stento percepisco il tuo ansioso afflato,
Madre Celeste,
e intanto rigagnoli di bagliori planano
sul viso incerato di luna.
Chissà,
incontrerò stille di pianto negli occhi della verità
e anch’io approderò alle porte del mistero.
Si dissolve la notte e spunta l’aurora.
Le mie mani s’illudono di sentire le tue.
La mia anima vibra nella fantasia
di un inusitato universo.
Chiudo gli occhi e finalmente m’inebrio di serenità.

*
Tratta dal libro edito “Làbrys – Opus Hybridum de Labyrinthismo”
Aletti Editore

PAGINA PERSONALE DI MAURO MONTACCHIESI

Làbrys-Opus Hybridum de Labyrinthismo di Mauro Montacchiesi

Làbrys-Opus Hybridum de Labyrinthismo di Mauro Montacchiesi

Làbrys-Opus Magnum de Labyrinthismo (Labirintismo), Mauro Montacchiesi

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