Il Dispari 20220124 – Redazione culturale DILA

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Il Dispari 20220124 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220124

Il Dispari 20220124 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220124 – Redazione culturale DILA

Dal libro di Bruno Mancini “Per Aurora volume terzo”

La sesta firma – 8a puntata

Capitolo quinto

[…]

Molto probabilmente loro, gli emigranti erranti, al ritorno sull’isola compivano uguale servizio informativo per i miei familiari, i miei amici, e soprattutto per lei.

Non riuscivo ad immaginare quali novità carpissero nei fugaci incontri che ci concedevamo, né come le modellassero per renderle interessanti, ma certo ne facevano assiduo argomento lungo tutte le noiose giornate degli inverni ischitani trascorse al circolo sportivo giocando a maniglia:

Quando al Dottò gli ho confidato che è nato Isidoro, mi ha stretto il polso, fissato negli occhi e “Portami una foto. Non dirlo a nessuno. Ti prego” così ha detto “Ti prego”. Gliela porto. Me l’ha fatto giurare su mammà.»

In quegli anni di testarda determinazione, pur prestando scarsa attenzione alla cura della mia anima, compivo enormi sforzi tesi ad impedire che decelerassero gli intervalli delle pause di lavoro. Ne avevo bisogno. Esse erano necessarie a rendere accettabili le tenui ragioni in virtù delle quali riuscivo a non ribellarmi contro la serie di eventi, certamente per me spiacevoli, ma che nondimeno, se solo l’avessi voluto, sarei stato in grado di impedire anche con una semplice telefonata, un messaggio, una cartolina.

Fossi partito un anno dopo, il costo del mio dolore sarebbe stato il premio della mia attesa.

Soprattutto.

Il premio del suo dolore, la gioia della sua scelta.

Soprattutto.

Fossi partito un anno dopo, saremmo stati uniti e nostro figlio si sarebbe chiamato…

Giunse.

La telefonata con la quale Gilda accettava l’invito che le avevo scritto sul biglietto lasciato la sera prima alla cassa del bar, mi sembrò più un atto di cortesia che foriera di felici aspettative:

Disturbo? Sono Gilda.
Vado a prendere il pupo all’asilo, poi potremmo incontrarci alle giostre.
Alle cinque all’angolo della posta, va bene?»
Alle… Gilda… sì, sì va bene, benissimo…»

Tu tu tu tu…

La meraviglia per la rapidità con la quale mi aveva contattato, lo stupore per la docilità del suo seguire il mio desiderio senza porre domande, la scelta di andare in un luogo affollato dando adito a pettegolezzi, tutto ciò ed altro ancora, furono motivi che mi convinsero a credere che Gilda non aveva capito la ragione vera del mio invito.

Avvaloravo l’ipotesi che lei non aveva potuto comprendere le mie intenzioni in quanto non ero stato sufficientemente esplicito.

Esplicito?

Ammiccante.

Il Dottò vuole passare un po’ di tempo in giro prima di tornare nel castello della sua libertà.”, forse aveva pensato così.

Se il Dottò avesse una intenzione segreta non avrebbe scritto un biglietto, né tanto meno lo avrebbe consegnato aperto alla cassiera, dandole l’opportunità di leggerlo.

Uno che cerca un’amicizia più intima con una donna, non le chiede di uscire con il bambino.

Sarà in partenza per altri mille anni e vuole rinverdire ricordi passati.

Aveva ragione.
Tre, quattro, mille ragioni.
Decenni di raziocinanti eccessi, avevano inaridito finanche ogni mio elementare presupposto di comunicabilità.
Bravo!
Avevo speso gran parte della vita nella peggiore maniera.

Solo.

Solo, da solo.

Solo, da solo, senza essere solo.

Alla telefonata di Gilda seguì lo sferragliante rumore del chiavistello divenuto rugginoso per essere rimasto a lungo inutilizzato.

Geltrude, entrando con la cautela e la discrezione di chi non deve disturbare:

Dotto’ già sveglio?
Come mai?
State bene?»
Sì. Tutto a posto.
Tu sei mai stata sola?»
Dotto’ per stare soli, bisogna essere soli. Io non sono mai stata niente, figuriamoci se mi potevo permettere il lusso di essere sola.
Stare sola?
La solitudine!
Voi ve la potete permettere.
Io no.»
 

Capitolo sesto

Lunedì 12 Agosto, ore dodici, alla civile formalità giuridica del nostro matrimonio mancavano solo cinque firme.

Meno cinque.

L’Assessore Delegato, doppio petto filo di scozia blu notte spagnola, cravatta parigina fucsia con animazioni americanizzate, camicia celeste cielo di primavera inoltrata lungo il fiume Danubio, calzini bianchi dei pastori greci di capre macedoni, scarpe con tacchi cinesi lacci coreani pelli di vacche australiane ed argentine e fodere d’antichi ricami persiani, egli, L’Assessore Delegato, baffo di limitate pretese ma oggetto d’innumerevoli caricature, democristiano, ex democristiano, felice sorridente, convinto assertore dei principi fondamentali ed inalienabili del matrimonio, del divorzio, della natura, della caccia e della pesca, delle zanzare e delle zoccole (topi, ratti, pantegane) giganti e ben nutrite, delle etnie marocchine e padane, della civiltà napoletana e padana, dell’Italia e della padania, della patria unita, della patria in pezzi regionali, della patria in pezzettini provinciali, della sua personalizzata minuscola patria comunale, egli, il Celebrante la Cerimonia Civile, terminato un breve discorsetto ufficiale (bella coppia, sono certo sarà un matrimonio modell… e simili cazzate), introdusse il rito laico delle firme sul registro.

Apponendovi la propria (elaborata in una schifezza d’immenso ghirigoro geroglifico) con ostentata teatralità, non creò disagio all’istantanea apparizione del ricordo nel quale mi rivedevo il pomeriggio dell’incontro alle giostre con Gilda.

Ho impegnato un secolo per decidermi a fare il primo passo.
Senza ribellarmi ho lasciato che la nostra amicizia giovanile, il nostro affetto, la reciproca irriducibile attrazione che ci dominava, scadessero in un algido rapporto tra il “Dottò” e la padrona dell’American bar.
Ho visto il tuo ed il mio amore, come su quella giostra, girare girare girare fino a perdere il senso dell’equilibrio, e non ho porto loro una mano a sostegno.
Devo recuperare non solo il tempo perduto, ma soprattutto il coraggio di esistere.
Sposiamoci domani.
Tu sai quanto ti amo.»

Così le avevo detto nel luna park aspettando che Isidoro terminasse un giro sul trenino.

-«Mamma mamma, è bellissimo, ci sono gli indiani e Manitù.»
Vuoi fare un altro giro?
Vai.
Dai il gettone all’uomo con la divisa rossa.
Vai.»

Gilda non mi aveva chiesto dove ci saremmo sposati o dove avremmo vissuto, né chi sarebbero stati i testimoni, nessuna domanda relativa al ristorante, al viaggio di nozze, alle foto, agli invitati, bomboniere, addobbi floreali, limousine, paggi paggetti, velo velette, musica cori coretti anelli… catene.

Nulla.

Gilda aveva iniziato dicendo:
Va bene…», poi aveva atteso che il pupo fosse lontano, ed allora, guardandomi negli occhi:
E lui?»

Sarà mio figlio.»

Continua lunedì prossimo

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Il Dispari 20220124 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220124 – Redazione culturale DILA

ARTEMENTE FLORENCE

Una stanza piena di fiori dipinti sull’armadio grigio.
Lampadario di fiori bianchi che addolcisce la tua presenza
nell’ambiente di una grande città medioevale “Firenze”.
Bell’Arno che scorre dolcemente verso il mare
come il flusso della vita che va inghiottito con la morte.
Volti sorridenti e profondi come i libri lasciati nelle stanze.
Artemente Florence è bello guardarti nello specchio della  stanza
di una porta che socchiude la tua intimità.
Vieni ed unisciti a noi per gustare queste dolci emozioni,
indelebili come il volto del nostro primo amore e del primo bacio,
colto come le primule di primavera che ricordano le lenzuola
profumate e riscaldate dal tepore della stanza, avvolgenti sulla pelle,
dopo una tempesta di tremenda pioggia notturna.

Angela Maria Tiberi
Presidente delegata Italia associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA”

Il Dispari 20220124 – Redazione culturale DILA

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Il Dispari 20220124 – Redazione culturale DILA

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Il Dispari 20220117 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220117

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Il Dispari 20220117

Dal libro di Bruno Mancini “Per Aurora volume terzo”

La sesta firma – 7a puntata

Capitolo quinto

Da quel pomeriggio di sole arrogante e di buia solitudine, nel quale neanche il pudico esplicito invito di Gilda aveva ottenuto l’effetto di distogliere il mio proposito di partenza, non ero ritornato sull’isola se non in occasione di qualche festività, e non avevo mai cercato di incontrarla.

Neppure un contatto.

Nessuna corrispondenza, né una telefonata.

Perché farlo?

L’incontro dei nostri sentimenti avrebbe avuto necessità di ulteriore maturazione, d’altre vicende, per manifestare completamente l’attrazione che ci possedeva da sempre.

Un anno… due anni… il tempo indispensabile a che la fanciulla diventasse una donna.

Ma io ero partito troppo presto.

Lasciando incustodito l’unico fiore del mio giardino.

Tuttavia, ogni volta che gli strani incroci dei flussi migratori avevano condotto un qualche nostalgico compaesano dalle mie parti, dopo i convenevoli e le informazioni sulle condizioni delle nostre famiglie, immancabilmente, egli, chiunque fosse e per qualsiasi motivo si trovasse in viaggio,  mi parlava di lei.

Voci diverse in tempi a volte molto distanti tra loro, accontentando la mia inesauribile malcelata tristezza, riuscivano a farmi rivivere un lampo dell’essenzialità che avevo abbandonato con crudele autolesionismo.

Gilda la rossa.

Ha aperto un bar, il Ruk Ruk, frigge panzarotti ed arancini a bizzeffe.»

Ha fatto i soldi, si è comprata una casa con giardino e terrazzo, sai, nel vicolo della fontana.»

La notte di San Lorenzo si sono appostati quasi tutti i suoi pretendenti, una cinquantina, sul marciapiede di fronte al Ruk Ruk per farle sapere che se avessero visto cadere una stella, lei sarebbe stato il desiderio espresso.

Senza scorno.»

è sempre più focosa e appassionata, ma continua a non volere nessuno.»

Guglielmo ‘O Stuorto le ha detto che tu hai rinnovato il contratto di lavoro per altri cinque anni, si è messa a piangere e non si è vista in giro per tre giorni.»

 

Ha cambiato tutto il locale.

Ti spiegai com’era?

Adesso, come si dice, è un locale moderno.

Niente più panzarotti, sta aperto solo di notte, ha tolte le reti e le nasse dalle pareti, tutto nuovo, lucido, americano, la musica, i liquori, le sedie alte intorno al banco, le luci nascoste sotto i tavoli e dentro le bottiglie.

C’è scritto “GILDA, AMERICAN BAR.”»

Non si vede più a fare la spesa, a sculettare sul corso, a scegliere nei negozi una tovaglia da aggiungere al corredo.

Esce la sera e ritorna all’alba.

Da casa al locale e tutto il contrario.»

è venuto uno di un altro paese, parlava italiano spagnolo, si muoveva come una femmina, aveva una voce incupita e le mani più lunghe del normale, è entrato una sera da Gilda, e il domani in piazza comprava i fiori per lei.»

Gilda ha saputo che ti avevo incontrato e mi ha chiesto se era vero che avevi firmato per altri cinque anni.

Che le dovevo dire?

Le ho risposto “è vero”.

Mi ha detto “Vieni a bere una birra al nostro addio.” Che significava? Tu lo sai?»

Quel mezzo straniero le ronza intorno senza tregua.

Si vanta di aver combattuto in Viet Nam. Mostra spesso a tutti una ferita, secondo lui provocatagli dalle schegge di una mina.»

Ha la barba su tutta la faccia, si vede solo il naso e la fronte.

A me pare drogato.»

Rosina ha detto che Carmela ha detto che lei (Gilda) ha detto a lui (lo straniero) che lui le pareva una faccia conosciuta: “I tuoi occhi li ho già visti, la tua voce la conosco, ti muovi come… “ non ha specificato il nome, ma lei, Rosina, crede che Gilda stesse pensando a te.»

L’ha messa con la pancia, sì, come si dice, l’ha incinta, e appena l’ha saputo è sparito, squagliato. Nessuno ne ha più saputo niente… mi spiace per lei, ma è un grande stronzo, fa schifo.

Nemmeno un indirizzo ha lasciato. Un numero di telefono, nulla.

Svanito come al tocco di una bacchetta magica.»

Gilda lo chiama “Il Bastardo”.»

Il pupo è biondo, si chiama Isidoro.»

Continua lunedì prossimo

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Il Dispari 20220117

Il Dispari 20220117

Liga Sarah Lapinska intervista Ajub Ibragimov,

quinto classificato alla sezione “Arti grafiche” del Premio “Otto Milioni – 2021”

D: «Come fai a creare per così tanto tempo senza perdere il tuo sogno?
“Quali emozioni per il nostro Premio Made in Ischia “Otto milioni?»
R: «La cosa più importante nelle mie opere d’arte è l’idea.
L’arte digitale e la tecnologia digitale sono come una bacchetta magica nella mia mano, che mi permette di scegliere istantaneamente i colori e trasformare il mondo in cui viviamo.
Il mio stile di vita è: mi sveglio quasi ogni mattina con un’idea di cosa posso fare oggi. Mettermi in contatto, parlare e rimanere in contatto.
Ho creato circa 1000 opere d’arte. Ho regalato la maggior parte di loro. Quando vedo un sorriso e mi rendo conto che la mia opera sia piaciuta, ho la voglia subito di regalarla.
Circa 300 delle mie opere sono nella mia galleria personale.
Se non c’è segreto e scintilla nelle nostre opere d’arte, allora non sono commuoventi e vengono rapidamente dimenticate»
Ho partecipato al Premio”Otto milioni”organizzato dall’Associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA” e io dico un grande grazie agli organizzatori invitando tutti a scrivere ancora e ancora di questo premio per non dimenticare. »
 
D: «Che cos’è il tempo?»
R: «Il tempo è un dono di Dio per noi.»

D: «Hai affrontato delle resistenze quando hai deciso di diventare un’artista?»
R: «Non ho incontrato resistenza attiva. Mio padre, che ora è morto, era un sacerdote musulmano. Secondo la religione musulmana non è permesso dipingere esseri viventi. Pertanto, mio ​​padre all’inizio non era contento della mia scelta, ma in seguito ha cercato di capirmi e mi ha persino sostenuto nello studio.»

D: «Come sei riuscito a stabilirti in Germania?»
R: «Sono in Germania da 19 anni e sto pensando di restare qui per tutta la vita.
Non appena sono arrivato, mi è stata data una casa in cui vivere e ho ricevuto assistenza medica per alleviare lo stress. Sono stato aiutato ad arrivare qui, ma mi sono impegnato molto.»

D: «Sei sempre rimasto in contatto con la tua gente nel Caucaso e con colleghi e amici in tutto il mondo?»
R: «Sono stato in contatto, in particolare, con l’artista Abu Pashaev e con il critico e storico d’arte Alvi Dakho.
In tutto il mondo, dall’India all’America, sono invitato alle mostre, ma non è possibile andare di persona ovunque.»
 
D: «Come riesci a organizzare le mostre?»
R: «A causa dei vincoli della pandemia di COVID ora è un problema organizzare mostre dal vivo. Le opere vengono toccate da adolescenti che hanno preferito quadri e grafiche a discoteche o concerti, così come da persone molto anziane che hanno desiderato guardarle.»

D: «Come vengono organizzate i master class?»
R: «Ai danzatori di lezginka viene mostrato un posto dove ballare. All’artista viene anche mostrato il suo posto per mostrare la sua maestria. Non importa quali colori sono a portata di mano in quel momento.»

D: «Quali idee hai come maestro di designi? Le tue astrazioni, così come la tua calligrafia, stanno benissimo su tessuti, costumi, tappeti, vasi, decorazioni per la casa. Ricevi suggerimenti?»
R: «L’interesse è grande e positivo. Tuttavia, nessun accordo è stato ancora raggiunto».

Il Dispari 20220117

Il Dispari 20220117

Il Dispari 20220117

Il Dispari 20220117

D: «Cosa ti dà la forza di vivere?»
R: «Possibilità di contatto e stima di creare. 
Va bene se l’artista ha la sua bottega, o almeno il suo spazio, dove può creare e sperimentare senza ostacoli. Energia e ispirazione diminuiscono nelle difficoltà della vita, così come quando non ci rendiamo più conto di ciò di cui abbiamo veramente bisogno. L’arte e la creazione sono lo stesso che l’amore.»

Il Dispari 20220117

Il Dispari 20220117

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Il Dispari 20220110 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220110

 

Il Dispari 20220110 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220110 – Redazione culturale DILA

Dal libro di Bruno Mancini “Per Aurora volume terzo”

La sesta firma – 6a puntata

Capitolo terzo

  […]
Forza, basta chiacchiere, vuttamm ‘e mane. A una voce.
Ohhh vai. Ohhh vai. Ohhh issa: Ohhh issa.
Metti uno scanno.
Vuttamme vuttamme.
Ohhh vai

I notturni lavoratori del fondo marino non si scandalizzarono più di tanto, quando notarono che mi ero steso a riva con scarpe e cravatta, mezzo dentro e mezzo fuori della risacca.

Le pratiche faticose della loro quotidianità non lasciavano balenare il flusso di emozioni che mi spingevano in quell’atteggiamento irrazionale e palesemente sconveniente.

Docile, m’immergevo tra i bisbigli della sabbia rotolante sulla sabbia e della spuma spruzzata sulla spuma, con la ragione offuscata dall’incontrollabile seducente rapimento di scrivere la prima poesia per Gilda.

Volevo scrivere la mia prima poesia d’amore per Gilda.

Mentre la risacca inzuppava gli indumenti che indossavo dalla mattina, e sussurrava tra i pensieri di una passione tanto antica quanto trascurata, procurandomi la sensazione di essere avvinghiato da un doppio gelido intruso, di colpo, l’inquietante dubbio di aver osato troppo mi fece barcollare e scivolare nel mare, fino alla gola.

Volevo scrivere la mia prima poesia d’amore per Gilda, quando ormai avevo già osato troppo!

Infatti, uscendo dal bar, la lunga malinconia cui avevo costretto, da sempre, la mia passione per la rossa inquilina di tutti i miei sogni, si era procurato un varco utile a lasciarle un biglietto.

Avevo lasciato per lei un biglietto alla cassa: “Quando potrò fare una passeggiata, cenare, andare alle giostre, al mare, con te ed il tuo bimbo?

Sarà bello.
Promesso.
Telefonami, 081081081.”

Il Dispari 20220110 – Redazione culturale DILA

Il Dispari 20220110 – Redazione culturale DILA

Capitolo quarto

Le donne delle mie terre sono come le mie terre: arse e rigogliose, luccicanti discrete ed ammalianti, cangianti, vulcaniche, abbandonate sfruttate maltrattate vilipese, affascinanti nonostante tutto.

Le più belle del mondo per me che le vivo, fantastiche per i fortunati che riescono a raggiungerne le riservate essenze.

Tante volte mi ero invaghito delle une e delle altre!

Fin da ragazzo, durante ogni ritorno sull’isola, gustavo le metamorfosi, sia del caos cittadino da antichi equilibri pastorali, sia dei luminescenti palazzacci rapidamente mutati in scintillanti alberi stagliati tra un sole al tramonto e l’ombra di un ruvido promontorio.

Allo stesso modo, nei piacevoli abbandoni che permeavano i diversi percorsi d’avvicinamento alla mia isola, inserisco anche una lenta dissolvenza dell’incessante lamentoso miscuglio di suoni artificiali metropolitani.

Gli gnomi custodi degli antichi tesori naturali, e le gelose vestali addette alle tradizioni patriarcali, insieme abbarbicati sulle mie terre, lasciavano fluire, a poco a poco, bucolici chiarori ad incontaminati segnali acustici di ben definite presenze (pur se prodotti dai martelli e scalpelli vibranti fra le braccia indolenzite di baldi muratori), dai quali, l’attenzione con cui percorrevo le varie tappe che caratterizzavano i miei ritorni, distillava un fascinoso nettare di nostalgia.

Giungere una sera, una notte, da mille chilometri nel porto della mia infanzia era sempre stato uno scoppio d’amore per la mia attesa priva di lusinghe.

D’amore è troppo?
Va bene, allora, d’amore!

Ad ogni ripartenza, dopo una breve o lunga permanenza, quando ormai la contrada, i boschi e le marine già mi avevano riconsegnato il dono di trasformarsi nella mia seconda pelle, allora ogni volta, senza alcuna eccezione, mille volte, le ricordo tutte, poggiavo il piede sul battello con la triste certezza di amare una Maria Luisina Teresa Giuseppina… Gilda.

Gilda.

In un pomeriggio di luglio di tanti anni fa mi girava intorno, rincorsa dalla balia con in mano un piatto di polpettine, una bambina mingherlina e indisponente.

Gilda.

Non voleva mangiare, voleva mangiare alle sue condizioni, voleva mangiare ma sapeva che se avesse fatto meno moine non sarebbe stata inseguita, coccolata adulata.

Il giorno della mia promozione scolastica al ginnasio, avevo tredici anni, Gilda finì a rotolare veloce tra le ruote della bicicletta (che per quella occasione avevo ricevuto in regalo) ed i miei piedi, che a mala pena toccavano terra con la punta.

Ruzzolammo entrambi per terra.
Al Corso Colonna, davanti al bar Italia.
La balia mi ordinò, quasi un presagio: “Acchiappala.”

Crescendo, gli anni di differenza tra me e lei divennero meno vistosi, ma i percorsi delle nostre scelte si divaricarono in direzioni quasi mai congiunte.

Spilungona e scorbutica, da adolescente le prendeva e le dava senza piangere.

Come un vero maschiaccio rompeva il naso ai bulletti se la trattavano da femminuccia, salvo poi correre annaspando, una sera d’aprile, verso le mie gambe che reggevano la grossa moto avuta in regalo per l’ultimo esame universitario.

Il ragazzetto di turno, quasi un presagio, le urlò: “Acchiappalo, perché se parte rimani sola.”

Alcuni anni dopo, pur essendo consapevole di aver programmato una lunga, forse lunghissima lontananza, in me non vi era stata superbia decidendo di lasciare gli amici ed i luoghi cari senza voltarmi.

In quella occasione non fu assente dal caos del mio mondo interiore né il forte dispiacere di uscire dal palcoscenico delle spavalde passioni giovanili, né la consapevole testardaggine di rifiutare che mio padre continuasse a credersi padrone della mia vita.

L’aveva fatto per quasi un quarto di secolo, doveva bastargli.

Nel pomeriggio luminoso e silenzioso in cui, senza valigia e senza cappotto, m’incamminai verso il battello che mi avrebbe trasportato oltre il muro prigione dell’isolamento marino, sulla così detta terraferma, quel giorno, era il tre settembre di un anno bisestile, la mia partenza non mi apparteneva come una fuga superba, ma come il risultato della indomabile spinta di un dolore.

Gilda, nella sfacciata bellezza della sua fresca fioritura, rossa, accoccolata ad accarezzare una micina spelacchiata sulle scale di una banca, vedendomi camminare da solo e desiderando che le giungessi accanto, fece un cenno d’invito ed appoggiò la mano sul gradino, mostrando il posto al suo fianco dove avrei potuto sedere.

Tanto bastò alla gatta per scappare nella mia direzione.

Prima la bestiola e poi lei, non so se per inseguirla o per venirmi incontro di corsa, scivolarono rotolando tra le mie gambe.

Quasi fosse stato un presagio, la vicina chiesa sbatacchiò tutte le campane, la nave all’ormeggio fischiò con tutti i fumaioli, l’allarme antifurto sconquassò le vetrate dell’istituto di credito, mentre un tassista di passaggio pigiando il clacson come si usa al corteo di una sposa, rideva rideva rideva suonava suonava suonava diceva diceva diceva “Acchiappala acchiappalo acchiappala acchiappalo.”

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Continua lunedì prossimo

Il Dispari 20220110 – Redazione culturale DILA

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LA VOCE DI CIRCE: “A Ischia l’incanto ti punge gli occhi per quanto è immenso.”

Il romanzo epistolare “La voce di Circe”, scritto da Lucia Fusco, edito da Senso Inversi, è il racconto dell’affascinante storia d’amore tra Mariano e Elettra.

Mariano vive a Caracas mentre Elettra vive a Roma.
Un racconto dell’emigrazione in Venezuela, avvenuta prima della seconda guerra mondiale, dei genitori di Mariano provenienti dalla Basilicata.

Elettra sposata, ma separata dal marito viziato e maldestro, incontra Mariano a Roma.

Il romanzo epistolare è ricco di altri personaggi importanti collegati ai due protagonisti.

Il ritmo della lettura segue l’avvicendarsi delle stagioni, travolge con la profondità delle passioni.

Lo stile è discorsivo, elegante e scorrevole.

L’autrice ci porta a conoscere le bellezze di Roma, dell’Agro Pontino, e dell’isola d’Ischia scrivendo, tra l’altro “A  Ischia l’incanto ti punge gli occhi per quanto è immenso. Non sai dove riposare lo sguardo. Salire sul monte Epomeo è stato emozionante, avevo tanti ricordi di questo luogo, ci ero stata da ragazzina con i miei genitori e con Ferruccio, mi ricordavi di questo tempio della natura, dicono che qui si trovi una porta magica, Agartha, che conduce al centro della terra dove esiste un mondo sotterraneo. Dalla cittadina di Serrara Fontana abbiamo […].

La Voce di Circe è una storia intensa, con finale da scoprire.

Facciamo gli auguri alla scrittrice Lucia Fusco, Vice Presidente delegata Italia dell’Associazione culturale “Da Ischia L’Arte – DILA” per un sicuro successo editoriale.

Angela Maria Tiberi

Il Dispari 20220110 – Redazione culturale DILA

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