Come i cinesi – volume secondo – Ambiguità capitolo 7

Come i cinesi – volume secondo – Ambiguità capitolo 7

Ambiguità capitolo 7

Capitolo 7°

Il giorno seguente, agevolati da una serie di combinazioni favorevoli, abbiamo preso a volo quel treno che non risultava possibile nei nostri programmi di coincidenze.

Subito l’impatto con gli scompartimenti, divisi in ambienti separati per fumatori e composti da quattro poltroncine attraversate da un passaggio centrale, rivestiti di moderni tessuti plastificati a disegni geometrici quasi vivaci che li facevano apparire decisamente più affini ai pullman turistici di quanto non erano state le carrozze pollaio dei tempi precedenti, mi portò a considerare come, ormai da anni, non usassi più partire da una stazione ferroviaria.

Ero disinformato dei vantaggi e dei cambiamenti per tante persone che, come me un tempo, vivevano grosse fette d’esistenze in quella dimensione di trasferimenti.

L’auto, l’aereo: altri ritmi, altre comodità, differenti consuetudini.

Le vecchie carrozze di terza classe, in legno, cigolanti e dense d’individui silenziosi, di fumo e di odori campagnoli, i viaggi di Natale stipati fino ai buchi dei cessi, per ore seduti su valigie gonfie come i ventri delle cavalle, la testa ciondolante tra cosce e caviglie di gente meno tempestiva ad appropriarsi un angolo.

Quel treno Napoli-Roma delle 16,12 del 25 ottobre sembrava a paragone un treno firmato.

A noi non mancavano i giornali, tuttavia, la lentezza del convoglio e le frequenti fermate, la malinconia del crepuscolo -quando non incombe il buio anche se il tramonto è già sfumato-, lasciavano intatta l’illusione d’essere di nuovo insieme, in una posizione -ora lo credo- più di tregua che di pace, suscitata -lo so- dalla fine del nostro modus vivendi provocata dall’ultima serie di affronti -seduti per ore nell’altro crepuscolo, sulle scale di una piazza in un giorno di settembre-.

Eravamo saliti

a parole nuove

Credere.

Nella necessità del silenzio.

Capire.

Verso emblemi

uniti e umani.

Vivere.

Avremmo avuto vergini voci

Saremmo stati sassi e asciutti

Saremmo stati brocche e bocche.

Per sogni.

Un altro piccolo passo, pronte le bende, mentre campagne, strade, stazioni sfilavano a turni incoerenti e noi ci tenevamo solo per mano:

-«Se non ti avessi veramente voluto, ora saresti con lei.»

-«Impossibile.

Non ricominciare.»

-«Perché impossibile?»

Sulle scale della piazza al crepuscolo:

-«Non puoi amarmi, volermi libero, e pretendere che ti racconti sinceramente finanche i sogni.

Libertà è anche non dire, libertà è anche mentire».

La mano nella mano sul treno al crepuscolo:

-«Se credi di poter essere sincera ti chiedo una cosa.»

-«Dimmi.»

-«Ti spiacerebbe, se a volte tornassi da lei?»

Campagna, strada, stazioni:

-«No.»

-«Allora, sappi, che d’ora in avanti sarò sincero come questa risposta.

Se non t’importa, a maggior ragione non ti dovranno interessare i particolari.

Se hai mentito, ti mentirò.»

Campagne, strade, stazioni.

Mi stanca il peso

ieri sottratto a consuetudini

scelte

in lente successioni di giochi ambigui.

 

Mi aggiro, ti punto,

scarnisco, ti pungo,

mi essicco.

Nella mia memoria, in quel giorno di settembre sulle scale al crepuscolo il vero protagonista, al di fuori dell’evidenza, era risultato il sipario -all’inizio trasparente, poi opaco, infine primo piano con tutta la determinazione di un contrasto antitetico- che una miriade di azioni, apparentemente autonome anche se troppo concomitanti e consequenziali per non destare almeno sospetti, calava al di sopra delle nostre abitudini in una sorta di dissolvenza.

Nella piazza teatro-spazio di scintillanti suggestioni l’autunno ormai prossimo, aveva attutiti gli abbagli delle luci della ribalta proponendosi con un occhio di bue teso a dimensionare la fase di monologo introspettivo.

La sfrenata adunata per il concerto rock tra fumi, applausi, grida, liberava orizzonti, lasciando per segni rifiuti, erba calpestata ed un palco molto simile ad una città futura per chi l’avesse inserito in uno squarcio di visuale tracciato tra le zolle del prato.

Città lunare asettica e muta, stagliata tra le stelle.

I microfoni, i corpi asimmetrici degli strumenti, la batteria, le percussioni, come agganciate anche loro ad immagini di costruzioni stellari, e futuristiche.

L’autunno imminente vedeva la piazza e le strade teatro sgombrarsi dei protagonisti spettatori vocianti e vibranti, ed osservava gli impercettibili mutamenti d’immagini che ne mutavano i significati includendovi tristezze di saluti e melodie di chitarre e di flauti.

Nuovi emblemi per antichi modelli.

Un sipario calava totale.

Oltre che tra palco e platea la forza del nuovo destino della rappresentazione in corso, si nebulizzava tra le file di poltrone e modificava i parametri ambientali e psicologici con i quali ciascuna nostra presenza doveva confrontarsi.

Nell’angolo in cui prima c’era un contatto, restava una sedia vuota; dove un movimento di folla disattenta, la pazienza stanca dei negozianti; al sole battente, ora si sostituiva, con gli sfumati, il crepuscolo.

Su quelle scale, alla luce di un giorno ormai sbiadito, avremmo potuto inventare un ricordo lontano, sentirci importanti ciascuno per la propria parte, e disegnare il volto del nostro futuro, avremmo potuto, aprendoci senza riserve, superare insidie artatamente inserite a salvaguardia dell’unico sbocco possibile.

Non fummo in grado, disarmati, di commuoverci per la scoperta che di reale tra noi non era cambiato niente.

Più attenti alla imponderabilità di consuetudini estranee, che non alle certezze di nostre sensazioni insostituibili.

Quel giorno di settembre al crepuscolo, seduti sulle scale di un palazzo-ufficio tutto marmi e imponenza, semi tondo pugno posato con decisione in un tessuto urbano d’altra fattura, la mente gradatamente, già in parte penetrata dai titoli di coda dell’incalzante finale, andava attenuando i simboli di notti sconvolgenti.

Le folli e patetiche disperazioni, rabbie, allegrie, vacuità del tuo essere stato spavaldo Pulcinella in cerca di un abito adatto a sostituire quello liso sì ma comodo e caldo che -rimane il mio convincimento- avevamo bruciato per mia disattenzione e strappato per tua incredulità, scivolavano nelle tristezze ed incertezze e debolezze di una tenera Pierrot frastornata dal trovarsi sola e senza specchi in un grande magazzino.

-«So che non potrò fare a meno di amarti, per sempre, qualunque siano le tue scelte.

Ti voglio libero, e per ciò ho cercato in me stessa la forza per dimostrarti che pur da sola riesco ad esistere.

Non mi dovrai altro se non la sincerità, per consentirmi di vivere anche i tuoi sogni.»

-«Non puoi amarmi, volermi libero, e pretendere che ti racconti sinceramente finanche i sogni.

Libertà è anche non dire, libertà è anche mentire.»

Quel giorno un mio amico, Lelio, compiva cinquanta anni.

Anche è stata una scure

sul pendio

il nostro rotolare avvinti

per erbe.

 

TESTO COMPLETO IN LETTURA LIBERA

Dedica – Introduzione

Ambiguità

Capitolo 1

Capitolo 2

Capitolo 3

Capitolo 4

Capitolo 5

Capitolo 6

Capitolo 7

Capitolo 8

Capitolo 9

Capitolo 10

Il nodo

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Così e così

Il premio

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Il chioccolo del fringuello

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Come i cinesi volume secondo

seconda edizione

ID 29z5vq

ISBN 978-1-4710-5423-5

Bruno Mancini
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Creato: 13 settembre 2022
Modificato: 14 settembre 2022
Libro, 98 Pagine
Libro stampato: A5 (148 x 210 mm)
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Prezzo di vendita: EUR 14.00

Titolo Per Aurora volume quarto
Sottotitolo Il Libro di Sonia – Il Nodo
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Edizione Nuova edizione
Edizione ampliata
Licenza Tutti i diritti riservati – Licenza di copyright standard
Titolare del copyright Bruno Mancini
Anno del copyright 2022

Dialoghi, intimità, ragionamenti, passioni, le irrazionali note, cadute, catarsi, sdegni, i vari volti di un atto, gli equivoci, i nodi, le sfide, i sensi dei vinti, i come, perché, dove, se, che abbiamo macinato più contro di noi per dare che non verso di noi per avere, più sciocchi per idoli che lucidi d’esperienze, sempre senza pause catalizzatrici.

Per Aurora volume secondo

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Come i cinesi – volume secondo – Ambiguità capitolo 6

Come i cinesi – volume secondo – Ambiguità capitolo 6

Ambiguità capitolo 6

Capitolo 6°

 Io non sono né Gino né Lelio e tu non sei Clara e neppure Antonella.

Terminata la stesura del breve racconto, riportato nelle pagine precedenti (tuttora senza titolo ma che forse chiamerò “Clara e Gino, o Come i cinesi”), per il quale mi ero impegnato durante alcuni giorni con un ritmo di lavoro miscelato in una turbolenza assolutamente priva di regole, tentavo di celare il pizzico d’emozione che di solito libero in queste occasioni.

A tavola, nel bagno, di notte, in auto, al telefono, durante qualunque incontro, spettacolo, azione, mi era accaduto, spesso e comunque, di essere assalito dalla necessità di scrivere, cancellare, modificare, dettagliare, correggere.

Il capoverso iniziale “Se non c’è più niente, e niente c’è da difendere, voglio conservare la memoria, le mie memorie per cercare di dare un senso ed un seguito all’assurdo tentativo di far quadrare il cerchio (tu cerchio io quadrato) che ho esasperatamente inseguito.” era stato l’oggetto della prima indecisione, trattenendomi a lungo sulla ipotesi di cambiamento da “tu cerchio io quadrato” a “lei cerchio io quadrato”.

L’ultimo contrasto, molto cruento, quasi una rissa tra la mia immaginazione e la flebile logica che ne tollerava le stravaganze accondiscendendo fino al limite dell’impossibile, questo contrasto, infine perdente per la fantasia svolazzante, verteva intorno alla ipotesi di abolire completamente il breve capitolo finale e di formulare una postilla, da inserire addirittura dopo la parola fine, composta con sole cinque parole “Due giorni dopo si uccise”.

Avevo, di certo, trasmesso lo scomposto dimenarmi in difesa ora dell’una ora dell’altra tesi dal piano mentale anche a qualche tipica funzione fisica, somatizzandolo in maniera visiva.

Tutto ciò non era sfuggito alla tua attenzione.

Neppure era passato inosservato il modo liberatorio con il quale avevo depositata la penna sul tavolo mediante un lancio ben calibrato, un gesto improvviso e rapido, di appagante soddisfazione che la faceva rotolare sul vetro verde oliva della scrivania da sempre ingombra di fogli frammisti a cicche, libri e bicchieri semivuoti.

Né per te era rimasto inavvertito il movimento delle labbra, poco più di un sussurro soddisfatto, quasi un soffio prolungato, in accompagnamento alla parola fine che stavo scrivendo, a grandi lettere, sull’ultima pagina del blocco di fogli strapazzati sotto il graffiare disarticolato della mia solita scrittura nervosa ed incomprensibile.

Ti sei, semplicemente, seduta sulla sedia accanto, mi hai fissato.

Serena, tranquilla, distesa.

Davanti a cosa?

Impossibile sottrarsi al magnetismo, impossibile fuggire dalla gabbia: mi stavi lentamente chiudendo in una gabbia non eludibile.

Qualunque azione diversiva tentassi, si trasformava immediatamente in fasulla, stupida, ed inadeguata a liberarmi dalla docile oppressione della tua semplicità gestuale.

Ricalcavo la parola fine, la ripetevo con forme diverse, la infiocchettavo con volute di segni strani e indecifrabili, tutto inutile, i tuoi occhi ne illuminavano i contorni tanto intensamente da condurmi in un globo di luce privo di uscite visibili.

Mi chiedevo “Quanti minuti mancano?”, mentre le tempie mi pulsavano oltre ogni controllo.

Tentavo di sistemare il disordine dei fogli sparsi ovunque, illudendomi, infatti, il respiro uguale che muoveva il tuo petto, placido, disteso, continuava ad immobilizzarmi con un fluido di etere impercettibile.

Mi raccomandavo “Non posso distrarmi”, intanto che le mie gambe continuavano a vibrare per proprio conto come  se fossi una marionetta abbandonata da un teatro dei pupi. Cercavo il pacchetto di sigarette, accendevo ed iniziavo a fumarne una, ma ero sconfitto, poiché come una piccola poesia d’amore la tua mano portata alla tempia creava nel fumo uno svolazzo dietro cui mi andavo perdendo senza speranza.

M’imponevo “Non devo parlare” ma non fino al punto da riuscire a fermare una parola:

-«Allora?»

-«Allora cosa?»

Notte, giorno

notte giorno

e via ancora.

Complicità di cambi

forme ermafrodite

due solitudini.

-«È l’ora non ti prepari?»

-«Non vado.»

Finalmente!

Il dubbio, proprio il dubbio, lo stesso dubbio,

prendeva il mio posto nella gabbia, liberando contemporaneamente la mia esistenza.

Incredibile.

Ripopolavo lo spazio, dimensionavo il tempo.

Incredibilmente semplice.

Un processo di trasformazione, io credo alle tue parole, avvenuto con immediatezza, da Corea a Chopin, superando d’un balzo qualsiasi analisi.

Un altro piccolo passo, pronte le bende.

-«Perché?»

-«Non vado.»

Ti ho abbracciata pensando “Povero amore mio, che tristezza mi incute la tua pena -forma più semplicistica della pietas cristiana-; che tenerezza mi agita la tua paura -di un salto che ti gratifica solo se paracadutato (infine da me)-; che passionalità mi suscita la tua debolezza di non aver saputo odiare, di non vivere per vendetta ma solo dei loro rispettivi desideri; che coraggio capirti ancora e sempre riottosa non a confronto di intuito di sensazioni (le credi tue prerogative), bensì di parole vere e  conseguenze precise e logiche.

Ritrovi il sonno.

Ricerchi il mio incontro.

Ti bastano risate semplici.

Vorresti più che sentirti libera essere libera.

E come fai!

Col rimpianto di un salto andato deluso nel momento dello stacco?

Con me presente?

Amandomi?

Ingenua e candida.

Io voglio e tu vorrai di più e meglio!», e dicendo:

-«Vengo un poco ad abbracciarti.»

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Ambiguità

Capitolo 1

Capitolo 2

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Capitolo 4

Capitolo 5

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Il nodo

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Il chioccolo del fringuello

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ID 29z5vq

ISBN 978-1-4710-5423-5

Bruno Mancini
ISBN 978-1-4710-5423-5
Versione 4 | ID 29z5vq
Creato: 13 settembre 2022
Modificato: 14 settembre 2022
Libro, 98 Pagine
Libro stampato: A5 (148 x 210 mm)
Standard Bianco e nero, 60# Bianco
Libro a copertina morbida
Lucido Copertina
Prezzo di vendita: EUR 14.00

Titolo Per Aurora volume quarto
Sottotitolo Il Libro di Sonia – Il Nodo
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ISBN 978-1-4710-5423-5
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Edizione Nuova edizione
Edizione ampliata
Licenza Tutti i diritti riservati – Licenza di copyright standard
Titolare del copyright Bruno Mancini
Anno del copyright 2022

Dialoghi, intimità, ragionamenti, passioni, le irrazionali note, cadute, catarsi, sdegni, i vari volti di un atto, gli equivoci, i nodi, le sfide, i sensi dei vinti, i come, perché, dove, se, che abbiamo macinato più contro di noi per dare che non verso di noi per avere, più sciocchi per idoli che lucidi d’esperienze, sempre senza pause catalizzatrici.

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Come i cinesi – volume secondo – Ambiguità capitolo 5

Come i cinesi – volume secondo – Ambiguità capitolo 5

Ambiguità capitolo 5

Capitolo 5°

 

Oggi è notte.

Oggi è ancora notte.

Oggi non è il 24 Ottobre.

La notte del 24 Ottobre.

La notte tra il 24 e il 25 Ottobre.

Anzi la notte tra mercoledì e giovedì del 24 Ottobre.

Oggi è notte.

Comunque.

Quella notte del 24 Ottobre, Clara non usciva dal raggio della mia visuale, la mia mente, lontana dietro le lunghe passeggiate, quella notte si uccise.

 

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Come i cinesi – volume secondo – Ambiguità capitolo 4

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Ambiguità

Capitolo 4°

 Clara quella notte del 24 ottobre non si consentiva azioni che mi potessero distogliere dal putiferio delle tempeste di domande, attese, ricordi, immagini e sentimenti che senza alcun dubbio e con molta evidenza mi possedevano non solo mentalmente.

Ma quella notte del 24 ottobre Clara non usciva dal raggio della mia visuale.

Con l’accappatoio di spugna lungo fino alle caviglie, davanti allo specchio ovale ad asciugare i capelli, truccando gli occhi con movimenti consueti (il rosso sulle labbra, il piumino sulle gote, la spazzola dal manico d’argento), Clara più che vivermi intorno m’immergeva completamente nella sfera cosmica della sua presenza.

Mi appartenevo meno di un biscotto inzuppato nel latte.

Intanto che si avvicinava l’ora, Clara velava le gambe distese verso l’alto con calze di seta trasparente, Clara chinata cambiava le scarpe, Clara, il busto eretto e il seno scoperto, portava le braccia dietro la schiena, ed io cominciai a rincorrere visioni e delizie, giorni e notti. Completamente dissociato, fuso in un passato presente futuro. Il nostro.

La mia mente si assentava dietro i ricordi.

Quando le lunghe passeggiate che l’inverno, petulante per le deboli piogge, aveva consentito lungo le marine mosse da canne ed oleandri e mirti frizzanti di brezze, con l’azzurro del grande orizzonte incerto per nuvole a nembi o cumuli in rapidi movimenti di sopraffazioni, e il mare specchio di venti e di soli densi dei rossi tramonti, salvate solo dalla memoria, orbe di affetti, lasciavano il passo alle notti di una estate infinitamente immobile, baldanzosamente sprezzante dei nostri uragani, statica, laccata, accoccolata nella soavità della risacca, estasiata per la purezza di luce delle minime forme stellari, -le sabbie, smosse, ancora calde all’alba-.

Clara ed io insonni.

Ecco che ora s’avvicina il turno.

Scoppiarono fulmini nel cielo in tempesta.

E la garanza rosa vinse.

-«Chi era?»

Il nome, era ciò che Clara voleva sapere.

-«Cosa importa!» rispondevo sapendo di essere sincero.

La bicicletta passando attira lo sguardo al vezzo di un piccolo bordo giallo che, inserito attorno al raggio di una ruota, durante il rotolamento sembra moltiplicarsi fino ad ottenere, alla massima velocità, di essere visto come un cerchio nel cerchio: un alone di colore più brillante.

Il particolare acquistando vivacità blocca, a chi osserva, il sapore dello sforzo della corsa, e non consente a colui che pedala di rendersene conto.

-«Quante volte?»

-«Tante.»

Allora lei si gettava a cercare il suo tutto con bramosie che non le erano mai state rivelate, sensuale in abbandoni per scelte captate dalla voglia di somigliarmi e di assecondarmi, di prendermi interamente e di cedermi senza ritegno, libera di ambire di imitarmi, decisa a donare i suoi pudori in cambio di una partecipazione totale alla matrice della mia sessualità più intima.

Cercava i desideri reconditi del maschio complice compagno e vi si abbandonava pronta a proporsi con orgasmi impetuosi, continui, asfissianti, per poi, sfinita, ricominciare; pronta a tutto: a credere nel suo vero sesso, a ricevere dal centro delle cosce -belle lisce carnose carnali-, dai capezzoli grandi e tesi, dalle labbra schiuse e spavalde, dai glutei superbi, dal culo, dalla fica, dai denti, dal collo, dalle dita dei piedi, le sbornie di una virilità incredula, le carezza di mani finalmente libere da inutili rispetti, il peso del corpo a schiacciarla, le frasi di un’altra lingua e di un’altra libertà, scossa, sbattuta, stordita.

Canoa dal docile lago al ritmo sfrenato delle rapide.

-«È tuo prendilo!»

-«Ti faccio male?»

-«Si, ancora, ancora!»

-«Che vuoi di più, parla!»

-«Tutto ciò che tu vuoi.»

-«Ed io che voglio?»

-«Avermi insieme a lei.»

E sento bestemmiare il cielo

e sento l’aria pungermi la carne

e sento quel malvagio gallo

in vicinanza di morte

di Cristo ricordarmi il tradimento.

-«Puttanaaa!!

È vero, ma tu menti».

Urlava premeva più forte urlava premeva più velocemente urlava premeva più forte più veloce urlava più più -il dubbio, il mio dubbio, pretesa di possesso- per Clara che non cessava orgasmi.

Sfidavamo il massimo del piacere, se c’è un massimo al piacere e lo gettavamo a pale sui terminali delle nostre

intimità.

 “D’altri diluvi

una colomba ascolto”.

-«Portala, ti prego, falla venire.»

Apriva gli occhi per guardare il mistero che l’incatenava sfidandole il clitoride -ed ero io a farlo- fiorito tra le tenere labbra da poco rasate -ed ero stato io a volerlo- per la prima volta -per mano sua-; chiudeva gli occhi e le tornavano con l’impeto dei primi giorni -avvinghiata alla virilità del suo nuovo uomo-, le unghie nella carne -ti amo, ti voglio, sono più femmina-, le sue voglie incontenibili; si guardava nello specchio grande -un flash già troppo per godere- prona, -le tette a dondolo, le labbra aperte, la schiena tesa ed arcuata, morbida, la mia faccia nei capelli, in alto i fianchi quanto più in alto possibile-, posseduta incredibilmente posseduta dalla schiena alla gola.

Mistero.

Lei che non aveva voluto accettarvi quasi nemmeno una carezza, lei stringeva, spingeva, spremeva, posseduta dalla schiena alla gola.

Un dito era stato un’offesa.

Il maschio aveva vinto, il maschio senza pietà: dalla schiena alla gola.

Lo baciava, lo leccava, lo stringeva al petto e sui capezzoli e chiedeva baci mani oscenità, tutto.

-«Ti prego, falla venire, voglio vederti con lei.»

-«Con te!»

Il respiro, l’affanno, l’urlo

-«Sìììì…», senza memoria, asfissiata, un attimo, e giù sul letto di fianco immobile, solo la mia mano sulla faccia a seguirne, tenera, i contorni.

Nella più bella notte

della più bella estate

le tue belle labbra

bella,

le promesse più belle

hanno cantate.

 

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Come i cinesi – volume secondo – Ambiguità capitolo 3

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Capitolo 3°

Forse Clara in quella notte del 24 Ottobre aveva scoperto che io non ignoravo (per averla già letto a sua insaputa), la prima parte della lettera che mi aveva promesso più volte durante i nostri dialoghi dei giorni precedenti, e che aveva appena abbozzata durante una delle mie ultime lontananze per una ulteriore “pausa di riflessione”.

Forse lei, formulando una giusta interpretazione per le forzature con le quali avevo spinto la sua riluttanza, poteva anche essere pervenuta al convincimento che non erano stati frutti del caso i temi su cui ci eravamo confrontati con assiduità durante lunghe ore di certezze sbiadite.

Né era improbabile che avesse assegnando, in particolare, un significato preciso al silenzio totale che avevo utilizzato per circondarla, mentre poco per volta ma con decisione e precisione, lei aveva snocciolato, in antitesi a me, l’immagine, il carattere, la forza, le paure, del suo mitico uomo vero.

Le poche frasi della lettera solo abbozzata ne ribadivano i concetti:

 “…un vero uomo con la forza di ammettere le sue debolezze, i propri errori, le cadute, accantonando la stupidaggine di restare per orgoglio, sapendolo, confinato troppo a lungo nel limbo del quotidiano amorfo.

Un uomo vero è leale.

Un uomo vero è spavaldo nei suoi principi.

Un uomo vero quando ama non procura palpiti piuttosto ecc. ecc.”.

Le continuava a sfuggire, purtroppo, la conclusione che ne avevo tratto.

Convinto della validità di quelle teorie, convinto che per lei non lo ero stato prima, non ero apparso durante né lo sarei stato mai, mi chiedevo perché quest’uomo, io, egoista possessivo a tratti cattivo, molto cattivo, superbo, solo, subdolo, schiavo di sesso finanche, e poi ancora prepotente, vile, borioso, incostante, infine, ma solo per non risultare eccessivamente prolisso, infine la ciliegina: incapace di amare in quanto aduso a prendere e “poi” forse dare, incapace di un amore disinteressato, “unico” (nel senso di pulsante solo per quanto ha in se stesso), questo uomo -io- accanto ad una donna che ne conosceva i limiti, i difetti, i guasti fino all’ultima piega; questo uomo -io- accanto ad una donna bella libera sincera innamorata pulita tradita offesa maltrattata uccisa, che non aveva remore, arroccata alla sua cima, nell’indicare, ripetere, rimpiangere, amare, (questo uomo -io- accanto a lei), perché?

Percorrendo quale sentiero, si giunge ad una risposta eloquente e descrittiva per la domanda che in fondo è semplicemente banale?

Verificare non quanto mi ami, ma quanto mi vuoi” erano le parole di Clara che maggiormente mi apparivano significative e sulle quali continuamente mi soffermavo a pensare, permettendo, inconsciamente, che assumessero proporzioni crescenti, una volta private del contesto

generale in cui lei le aveva inserite con quello scritto

provvisorio ed incompleto.

Fino ad apparirmi esse stesse come la chiave per

distruggere le coperture faticosamente montate dalla mia Clara.

Non conta convincere, mi ripetevo, basta vincere, e poi subito e continuamente “Verificare non quanto mi ami, ma quanto mi vuoi” in un’altalena ossessionante.

Fingiamoli coriandoli

questi brandelli di giorni

queste illusioni di vano.

Poi l’ombra assorbe.

è semplicemente banale chiedermi “Quanto mi vuoi“, e risulta tutto confuso.

Quanto, di che?

Voglio, per cosa?

Per amica, compagna, amante, moglie?

Quanto di che?

Con quanta lealtà la voglio amica?

Con quanta possessione per amante?

Con quanta reciprocità la voglio compagna?

Con quanto affetto per moglie?

Quanto mi vuoi?”, mentre temo di non volerla più nell’unico modo che mi ha sempre interessato: “amare e diventare scemo”, simile a “mia senza provocazioni”, fino ad identificarci.

Una strada diversa che ci conduca verso la storia qualsiasi di persone comuni, con baci e abbracci e tenerezze se vuoi, a me non interessa, è veramente un fatto suo.

Peggio, anche se lo volessi, e lo vorrò, non potrei.

Non posso.

Agli angoli degli occhi

sotto pigrizie amiche

prepara a morte

nostalgia.

Passa più parti

lampo di tempo indietro

indietro secoli

e sempre come sempre.

Cambia

se non adesso

a morte.

Alla viola nasce il pensiero

e posso ancora muovermi,

venirti accanto

e senti la corteccia

vecchia e inutile.

Clara quella notte del 24 ottobre non si consentiva azioni che potessero distogliermi dal putiferio delle tempeste di domande, attese, ricordi, immagini e sentimenti, per me amiche ma che senza alcun dubbio e con molta evidenza mi possedevano non solo mentalmente.

Il tempo della mia attesa veniva avanti con incollato ad ogni attimo un dubbio, lo stesso dubbio, sempre lo stesso dubbio, che simile ad un galoppo, avvicinandosi l’ora, attecchiva con percussioni più rapide e sonore alla radice del mio sistema nervoso.

Seduto, le gambe, per propria scelta, vibravano con moto in continua accelerazione.

La vista della porzione di strada affollata che per anni mi aveva affascinato nella varietà e nella moltitudine di abbigliamenti, personaggi, situazioni, sembrava come

stamparsi, fotografata, ad ogni ritorno del dubbio.

Se c’era il dubbio non c’era altro, solo fissità ed i miei arti vibranti. Lo stesso dubbio osava pretendere la propria esistenza,  dileguandosi dopo comparse che nonostante fossero sempre più brevi, s’imponevano giungendo con maggiore frequenza.

Troppo brevi per consentirmi di prendere una decisione, troppo frequenti per liberarmene.

È tutto un bluff: aspetto che crolli.”

E se arrivo tardi?

È tutto un bluff, aspetto che crolli; le consegno le pagine che ho elaborato, e che mi ha visto scrivere dicendole: «Vedi, sapevo già tutto, non hai segreti.

E se arrivo tardi?

Se tardando a prendere l’iniziativa me la trovo davanti con un saluto di circostanza per una lontananza ormai scontata?

Il dubbio, lo stesso dubbio, sempre lo stesso dubbio, è chiaro, era l’altro.

Era la sostanza, l’identità, l’anima.

-«Vuoi che ti fermi?

Anche tu vuoi verificare?

Rispondi, perché possa decidere.»

«Troppo comodo, troppo elementare, servito.

Hai già deciso (quella volta) anche per me (privo d’assenso) di noi, devi, voglio che ti ripeta.»

Dialogo immaginario e monotono sul filo di una lancetta che s’avvicinava ad un’ora.

Sappiamo di essere antichi

sappiamo l’azzurro

sappiamo lo scacco

sappiamo il consiglio.

Quadri, parole, poesie.

Chi più, chi meno.

 TESTO COMPLETO IN LETTURA LIBERA

Dedica – Introduzione

Ambiguità

Capitolo 1

Capitolo 2

Capitolo 3

Capitolo 4

Capitolo 5

Capitolo 6

Capitolo 7

Capitolo 8

Capitolo 9

Capitolo 10

Il nodo

Il nodo

Così e così

Il premio

La coda

Il chioccolo del fringuello

Il chioccolo del fringuello

Come i cinesi volume secondo

Come i cinesi volume secondo di Bruno Mancini

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Come i cinesi volume secondo

seconda edizione

ID 29z5vq

ISBN 978-1-4710-5423-5

Bruno Mancini
ISBN 978-1-4710-5423-5
Versione 4 | ID 29z5vq
Creato: 13 settembre 2022
Modificato: 14 settembre 2022
Libro, 98 Pagine
Libro stampato: A5 (148 x 210 mm)
Standard Bianco e nero, 60# Bianco
Libro a copertina morbida
Lucido Copertina
Prezzo di vendita: EUR 14.00

Titolo Per Aurora volume quarto
Sottotitolo Il Libro di Sonia – Il Nodo
Collaboratori Bruno Mancini
ISBN 978-1-4710-5423-5
Marchio editoriale Lulu.com
Edizione Nuova edizione
Edizione ampliata
Licenza Tutti i diritti riservati – Licenza di copyright standard
Titolare del copyright Bruno Mancini
Anno del copyright 2022

Dialoghi, intimità, ragionamenti, passioni, le irrazionali note, cadute, catarsi, sdegni, i vari volti di un atto, gli equivoci, i nodi, le sfide, i sensi dei vinti, i come, perché, dove, se, che abbiamo macinato più contro di noi per dare che non verso di noi per avere, più sciocchi per idoli che lucidi d’esperienze, sempre senza pause catalizzatrici.

Per Aurora volume secondo

TESTO COMPLETO IN LETTURA LIBERA

Come i cinesi – volume secondo

seconda edizione

Racconti

Ambiguità

Il nodo

Il chioccolo del fringuello

Come i cinesi – volume secondo

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Come i cinesi – volume secondo

seconda edizione

Racconti

Ambiguità

Il nodo

Il chioccolo del fringuello

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